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© R. Magritte, La violazione

Matteo è un nome importante per il Cristianesimo ma il Matteo di cui vi sto per raccontare non lo sa. Anzi, lui non solo non ne sa nulla, non ne vuole nemmeno sapere. È infatti ateo, come tutti i ragazzi moderni lo è senza impegno, perché il Dio cattolico è un prodotto che ha perso nella lotta tra le industrie del consumo massiccio e, ormai, si avvia a scomparire. Proprio questo fatto i giovani lo intuiscono, seppure non lo comprendano,e in numero costantemente minore si avviano verso l’iscrizione a quello che potremmo definire superficialmente un partito fallito. Anche per questa ragione i preti che oggigiorno s’incontrano sono sempre più anziani. Solo le televisioni e i vecchi giornalisti di classi ormai quasi superate, continuano a ignorare la cosa e a fingere che sia tutt’altro che finita, la Chiesa.
Prima di raccontarvi di Matteo, vi racconterò di Padre Alberto: parroco da cinquant’anni e ormai svilito e cadente. Quando Padre Alberto decise di farsi prete, lo fece con quell’entusiasmo scialbo tipico dei giovani preti siciliani, i quali sembrano spesso aver scelto di prendere i voti sacerdotali una mattina di agosto, stufi d’andare al mare e indecisi tra un tè freddo o una coca cola.
Padre Alberto ha diretto negli ultimi trent’anni di carriera la stessa parrocchia in maniera totalmente anonima – la qual cosa non è da poco di questi tempi.
Una mattina di qualche settimana fa, Padre Alberto passeggiava reggendosi al bastone di legno con il manico a forma di testa di cane stretto nella mano. Era una fredda alba di febbraio e il prete, ormai travolto dall’insonnia senile, passeggiava cercando aria fresca per il suo stanco respiro.
Quella stessa mattina Igor, un giovane critico letterario di grande talento, gironzolava in auto come spesso faceva nelle prime ore del giorno, quando poche macchine s’incontrano e i lavoratori più volenterosi si avviano già verso iloro incarichi a bordo di vecchi e sporchi furgoni. A quell’ora del giorno il sole non si è ancora fatto forte, in cielo, del posto alto che gli spetta e sembra arrancare tanto lentamente che personalmente mi stupisco sempre di vederlo svettare, di lì a poche ore, in cima come una bandiera bianca.
Ad ogni modo; caso volle che Igor, amico di Padre Alberto, stesse percorrendo una strada fuori mano del paese con l’asfalto rattoppato e semisommerso da ciottolato e polvere, proprio là dove il parroco si stava accorgendo d’essersi perso.
L’auto rallentò lentamente e con gentilezza s’accostò di fianco all’anziano clerico che stringeva il suo cappello nero dalla larga visiera attorno alla testa, tentando di resistere al vento che glielo voleva portare via. Con una mano ancora sul cappello e l’altra sempre avvinghiata alla testa di cane del bastone, Padre Alberto alzò gli occhi verso il fianco della strada alla sua sinistra e vide l’auto accostare e abbassare il finestrino. Era Igor.
«Padre Alberto buongiorno! Le posso dare un passaggio?» disse frettolosamente.
Il vecchio sorrise e, reggendo il bastone tra il braccio e il fianco, tirò la maniglia della portiera che si aprì.
«Padre Alberto come sta? C’è molto freddo stamattina, vero?»
«Igor, grazie di questo passaggio, ti manda la provvidenza. Sì, c’è molto freddo, anche se ho visto mattine peggiori, ma proprio oggi sono molto stanco e non disdegno un passaggio. Ecco.»
«Certo. La porto subito in chiesa. Ha la messa da celebrare ora?»
Il prete si sfilò i guanti neri, si tolse il cappello e sistemò il bastone a lato del sedile. «Sì, tra mezz’ora devo celebrare la messa. Di solito non mi allontano così tanto, ma stamane credo d’essermi sbagliato e di aver allungato la strada»
«Ah», esclamò sommessamente Igor corrucciandosi in viso. «Vi eravate perso?»
«No. Ma che perso. Ho allungato la strada troppo, ho scambiato una traversa per un’altra.»
Caso volle che quella stessa mattina, mentre Igor stava accompagnando per pura coincidenza Padre Alberto in chiesa affinché celebrasse in tempo la consueta messa, Matteo -ricordate?- stesse passando a piedi per una via non molto distante da quella che percorrevano i due. Cosa ci facesse non lo so, ma sempre il caso decise che l’auto e il ragazzo si dovessero incrociare di lì a pochi secondi. Così fu.
Igor e Matteo si conoscevano ed erano grandi amici, fraterni.
Non si sa chi dei due vide per prima l’altro, poiché, mentre Igor dall’auto faceva segno a Padre Alberto di aver visto Matteo, quest’ultimo stava già salutando con la mano alzata.
Padre Alberto sbuffò un po’ e disse: «È un tuo amico?»
Igor, che sorrideva, rispose: «Sì, certo».
L’auto rallentò avvicinandosi. Il finestrino del lato passeggero s’abbassò e Matteo salutò per primo il prete e, poi, allungò la mano verso l’amico, seduto, che gliela strinse caldamente.
«Giovanotti c’è freddo. O stiamo dentro o stiamo fuori» disse il prete.
«Sì, certo!», rispose Igor senza guardarlo e si rivolse all’amico: « Matteo sali che ti diamo un passaggio. Portiamo Padre Alberto in chiesa e andiamo a fare colazione?»
«Ok», rispose convinto Matteo e strinse un occhio soddisfatto.
Padre Alberto afferrò il bastone, si guardò rapidamente attorno con gesti scattosi. «Cosa dobbiamo fare? Devo passare dietro?»
«Padre, se non le crea dist…»
«Va bene va bene, passo io dietro che è più largo e posso sdraiarmi un po’» lo interruppe subito.
L’auto s’avvio lungo una larga discesa che terminava quasi un chilometro dopo in una piazza dalla quale, per raggiungere la Chiesa, bisognava svoltare verso destra e proseguire attraverso alcune stradine strette, fin quando l’ultima di questenon si fosse aperta improvvisamente su una grande facciata. Ecco,quella sarebbe stata la Chiesa.
Percorsi pochi metri, Igor presentò Matteo a Padre Alberto, il quale si sentì in dovere di rassicurarsi sulla presenza nella vita del giovane di un lavoro stabile. Un caro pensiero. La discussione, amabilmente cauta, proseguiva senza intoppi sotto la guida del curioso e diplomatico sacerdote.
Superati i primi cento metri, il conducente, Igor, sentì uno strano rumore regolare, come un battito di tamburi che echeggiavano nelle desertiche strade del paese. Dapprima gli parve di poterle sentire chiaramente, poi tutto si zittì e il ragazzo credette di essersi sbagliato ma, poco dopo, il rumore che rassomigliava a un suono ritmico tornò. Igor stette ad ascoltare, lasciando un po’ che il piede si sollevasse lentamente dal pedale dell’acceleratore e la macchina iniziasse a rallentare.
Nel frattempo, alla sua destra Matteo e Padre Alberto continuavano a chiacchierare serenamente per quanto o meglio fino a quando Matteo non ritenesse eccessivamente invasive certe interrogazioni, alle quali doveva replicare esclusivamente con delle risposte chiare, che non stimolassero ancora più la curiosità del vecchio; rispondeva, perché Matteo era sì ateo, ma, comunque, rispettoso degli anziani.
«E giovanotto, possibile che non ti vuoi sposare?», chiese il prete.
Una sagoma enorme e scura, nera come carbone, sbucò ratta da dietro una stretta strada che era più uno spacco di terra battuta tra case ammassate, che una via. L’auto frenò di schianto. Le ruote stridettero, l’asfalto ragliò e gli occhi di Igor si spalancarono come fari azzurri, illuminando l’ombra gigantesca che gli era piombata addosso.
Padre Alberto si strinse al sedile di fronte a lui e cacciò un urlo acuto e femmineo.
Matteo vedendo proprio di fronte al suo lato il corpo enorme di una bestia nera, iniziò a sfogare tutto lo shock subito imprecando. Così imprecò a Dio e alla Madonna, in tutti i modi che conosceva, con una voce forte e gonfia. Il viso gli si colorò di rosso e le labbra gli si stesero come cuoio al sole.
La macchina si fermò e i tre s’accorsero che di fronte a loro si era arrestato un maestoso cavallo nero, privo di cavaliere. La sella, scura anch’essa, era stretta al corpo dell’animale ma il fante doveva essere caduto da qualche parte e il cavallo fuggito. Fermo in mezzo al piccolo incrocio, respirava pesantemente ed emetteva vapore bianco e denso dalle narici che si aprivano tutte.
Igor non disse niente, scese dall’auto e si sedette sul marciapiede ai lati della strada. Il prete non si mosse, non disse nulla, rimanendo immobile pari a una statua di sale.
Matteo invece fissava il cavallo negli occhi iniettati di sangue vivo e neri come il manto. Il cavallo a sua volta lo fissava.
Arrivò di corsa un uomo, il fante, il quale disse qualcosa imbarazzato, delle scuse, temporeggiando e cercando di rimontare in groppa all’animale per allontanarsi.
I due ragazzi non capirono una parola dell’uomo che, in pochi secondi, si lanciò sul cavallo al galoppo.
Igor risalì in auto, scambiò qualche sguardo muto con Matteo e ripartì.
Dopo poche centinaia di metri, Matteo sentì la collera per lo spavento subìto scalargli la mente e in breve esplose in un boccheggiare di imprecazioni.
Padre Alberto si scosse un attimo. Sentendo le bestemmie terribili e inumane del ragazzo si staccò dal sedile e si allontanò nell’angolo più distante in cui poteva posizionarsi.
Ma le bestemmie di Matteo non si placavano e ora colpivano anche Cristo e i Santi, cosicché il povero prete si sentì soffocare, si portò le mani alle orecchie e tentò di coprire ogni suono con la sua voce, sempre più forte, per non sentire.
Il delirio si evolveva in un crescendo e le imprecazioni si udivano nitide al di fuori dell’auto.
Igor tentò allora di fare in fretta per giungere il prima possibile di fronte alla Chiesa ed evitare che il sacerdote si vedesse ancora a lungo costretto in quella situazione.
Intanto la gente iniziava a uscire dalle case e tutti sentendo le urla e le bestemmie provenire dall’auto che sfilava, si voltavano, sorpresi, per guardare.
Igor, tentando di raffreddare la crisi di nervi dell’amico scioccato, abbassò i finestrini. Le urla adesso si sentivano chiaramente anche a decine di metri. Matteo non si fermava.
Il prete con le mani ai capelli e le vene del collo gonfie gridò: «No! No! Così sentiranno tutti! No!» e si disperava con gli occhi lucidi. Poi, vedendo che ogni volta che tentava di rialzare i vetri non ci riusciva, si gettava immensamente frustrato sul sedile e si torceva mordendo la stoffa dello schienale.
«Basta! In tutti questi anni mai…! Mai!» gridava.
Un furgone rimase incastrato in una via stretta e l’auto dovette fermarsi. La gente, sentendo le urla, si avvicinava alla macchina e riconosceva il prete, meravigliandosi di vederlo in compagnia di un ragazzo che bestemmiava gridando a squarciagola, rosso in viso come fosse indemoniato.
«No! No! Non è come sembra! No!», gridava disperato Padre Alberto che dal sedile posteriore non poteva neanche scendere.
Lo riconobbero in tanti, poi l’auto ripartì. Finalmente.
Dopo pochi minuti giunse di fronte alla Chiesa. Matteo era svenuto e immobile stava con il capo piegato su una spalla. Igor allora scese dall’auto e abbassò il sedile dal suo lato affinché il prete potesse uscire. Quello uscì, moscio, con gli occhi colmi di lacrime e a testa bassa. Igor non ebbe il coraggio di dire nulla.
Vista la sua Chiesa, il prete le corse incontro piangendo come quel bambino obeso e sottomesso che fu da piccolo.
Igor salì in macchina e si avvicinò all’amico. Lo chiamò e lo scosse per le spalle, preoccupato e spaventato. Matteo allora alzò il capo ridendo e chiese: «Non ti sei divertito?».

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