*
Oh acque immobili come colate
d’un metallo indurito nelle forme
di nuvole e di specchi; così enorme
l’azzurro scivola fra le ventate
d’attesa, sulle secche affastellate
da grani d’esistenza… Lì non dorme
il fanciullo sul mare, fra l’orme
salmastre dei sogni che ha lasciate
da passi incerti sull’orlo del cielo.
S’appressa così ai gusci, ai resti
dell’onda; lì, solo nel suo sfacelo
cerca piume d’argento, d’altri gesti
perdute, e quell’angelo che uno stelo
del tempo sfiorò: oh, e un poco lo arresti.
*
Perché così facilmente nei pressi
dell’acqua vi sentiamo? Dove un’onda
si infrange sembra piegarsi bionda
l’ala, portarne intrisa gli indefessi
ritorni; dove una fonte confessi
nel suo fresco gorgheggio una profonda
mitezza, appoggiati sulla sponda
raccolti cercate gli echi promessi.
Oh il vostro sguardo vorrebbe uno specchio
fluido e imperfetto per non avverare
il nostro sospetto: che un altro orecchio
colga ormai una voce, crepuscolare.
O forse dove è sete un più vecchio
canto sulle fronti volete versare?
*
Sempre ti cerchiamo avanti a noi
avvolto in un bagliore o recluso
in solitario vagare, deluso
di non poterci arrestare, noi,
i più erranti. Ma questo non puoi,
ché dal tuo amore soltanto profuso
scegliesti d’essere in questo sopruso:
eppure cheto, ed indigente poi
alle spalle sussurri senza imperio,
come una madre asseconda guardinga
gli istinti d’un figlio. Quale criterio
ti porta a cercare la lusinga
della sconfitta? E a vedere più serio
coi nostri occhi cosa li costringa…
*
Come opaca la distesa del lago
veniva sopra l’acque da un remeggio
appena smossa. Così pure il vago
fermarsi dell’infanzia dal volteggio
d’uccelli ai giunchi emersi nel brago.
Ora sponde in lontananza e un ormeggio
risuonano fra i cordami; presago
sulle case è del cielo un drappeggio:
lo sciabordìo pare dalla barca
lambisca le prode e il porticciolo,
mentre lontano negli anni s’ingorga.
Sommessamente dell’angelo parca
è la figura – suo antico barcaiolo -,
che nella bruma poi credi risorga.
*
Chiamami; così spesso risento
nel petto il tuo singulto e l’alto sprone
confuso fra tumulti d’espiazione,
cupi tonfi del sangue. Eppure a stento
nel fruscio che assilla lo sgomento
da quest’ascolto intuirei la ragione
del tuo agire. Sarà esso libagione,
la squilla che viene dal fomento?
L’anima – lo so – è la tua dimora,
senza di essa nemmeno saresti,
e così senza di te in quest’ora
del dolore che cosa, quali gesti
riuscirei a salvaguardare ancora?
Ed udirò le parole che mi presti?