L’ufficiale tedesco si presentò: “Mi chiamo Werner von Ebrennac”. E aggiunse: “Mi dispiace”. I suoi ospiti non risposero, come faranno sino alla fine del racconto. L’ufficiale indesiderato era colto e cortese. Faceva il musicista nella vita civile e aveva girato l’Europa. Molto innamorato di Praga, perché “nessuna città ha tanta anima”; e di Norimberga, dove un tedesco “ritrova i fantasmi cari al suo cuore, in ogni pietra il ricordo di coloro che costituirono la nobiltà della vecchia Germania”. Della Francia amava lo Spirito: la sua letteratura, la più ricca di grandi autori, e la cattedrale di Chartres. Vederla umiliata proprio nello Spirito dall’esercito del suo paese; esserne lui stesso, ufficiale di quell’esercito, un occupatore: questa era la fonte del suo immenso dispiacere. Nessun libro francese, e di scrittori pur adulati in Germania, passava più la frontiera. La lotta, la Grande Lotta tra il Potere temporale e il Potere spirituale era cominciata e già persa dalla Francia invasa e occupata. La Francia collaborazionista di Vichy. “Mi dispiace”. E voleva subito con i suoi ospiti mettere in chiaro, dunque, Werner von Ebrennac, che gli dispiaceva occupare quella casa con il giardino dove scorreva la loro vita familiare, ma ancora di più occupare il loro paese, da lui amato. Era la Grande Lotta, l’umiliazione dello Spirito francese che voleva evitare quando parlò agli “uomini vittoriosi” di questa umiliazione. Ma i compatrioti invasori risero di lui. Gli risposero che la politica non è il sogno di un poeta. “Perché credete voi che abbiamo fatto la guerra?” L’abbiamo fatta, dissero ancora ridendo, per guarire l’Europa dalla peste, dal Gran Pericolo del veleno francese, per loro così forte da contagiare persino l’ufficiale Von Ebrennac, farne un pacifico sognatore: “ci si presenta l’occasione di distruggere la Francia, e la distruggeremo”. Distruggeremo la sua potenza e la sua Anima: il Gran Pericolo per l’Europa. È a questo punto che l’ufficiale tedesco chiede l’autorizzazione a “raggiungere una divisione al fronte”, a mettersi in viaggio per l’oriente, per l’inferno; verso “quelle pianure sconfinate dove il grano futuro si alimenterà di cadaveri”. L’autorizzazione gli viene concessa. E lui parte: sconfitto e deriso perché la politica non è il sogno di un poeta, perché il matrimonio tra i due grandi paesi (uno eccelleva nella letteratura; l’altro, la Germania, nella musica) che romanticamente sognava era impossibile. Due anni dopo l’invasione tedesca della Francia, finito di scrivere nell’ottobre del 1941, usciva questo racconto: Il silenzio del mare di Vercors, pseudonimo di Jean Bruller. Così breve e bello. Così breve (meno di cento pagine) e denso di malinconia, rimorso e risentimento ideale. De Gaulle lo fece tradurre, stampare come volantino e paracadutare in Inghilterra. La sua lettura poteva spronare gli inglesi alla resistenza. Questo pensava il Generale. Lo pensava veramente. Il titolo esprime il silenzio rassegnato del popolo vinto. Ma anche il rifiuto – sdegnoso, sprezzante – di una famiglia, più in generale il rifiuto di una parte di quel popolo, e dei suoi scrittori e intellettuali, di ogni forma di dialogo con l’invasore. E non importa che a richiederlo sia il più sensibile dei nemici, il più afflitto per le sorti della Francia. Per questo silenzio totale, il racconto è un monologo: parla solo Von Ebrennac. E i discorsi con i suoi ospiti silenti – sulla Francia, la letteratura, la musica, la guerra – si concludono sempre allo stesso modo: “Vi auguro la buonanotte”. Mestamente, sino all’ultimo saluto prima di partire per il fronte orientale. Mai riceve risposta, mai il saluto è ricambiato dai padroni di casa costretti a ospitarlo. Per questo, quando a Vercors venne proposto di fare del suo racconto un film, che uscì nel 1949, lui si mostrò dubbioso: avrebbe avuto successo un film in cui parlava solo il protagonista? Ma ebbe successo: il regista Jean Pierre Melville evidentemente se ne intendeva, di film e di racconti. Vercors era ingegnere elettronico, ma svolgeva l’attività di disegnatore satirico e di illustratore di libri per bambini. La rapidità con cui scrisse Il silenzio del mare e il successo riscosso dall’opera, diventata simbolo della resistenza al nazismo, fece poi di lui un narratore. Ma il suo nome restò sempre legato a quel suo primo racconto.