— L’hai vista la cuginetta Mnemosine come s’è fatta bella?
— O Zeus, tieni a cura, con i tuoi appetiti, Hera è vendicativa e lo sai!
— Mio caro Prometeo, è più forte di me, il Fato trascende la nostra volontà, in barba alla nostra potenza…
— Metti sempre il fato in mezzo alla tua barba, quando ti conviene. Comunque ci ho parlato, mio caro Zeus, non le piacciono gli dei… troppo supponenti, troppo presuntuosi, e tu… tra gli dei…
— Prome’, non ti prendere troppe confidenze… Chi dovrebbe preferire? Non dirmi che s’è invaghita di quelle tue creature moleste, gli uomini?
— Se vuoi non te lo dico, ma purtroppo… Devi ammettere che sono venuti proprio bene mio caro Zeus, e guarda che li hai plasmati tu, pure a tua immagine. E l’idea è stata tua, ti volevi fare dei giocattoli, degli idoletti, dei pastorelli, pronti ad adorarci, più di quanto fanno i nostri parenti, serpenti!
— Prome’, non mi fare scolloriare la corona di fulmini, che già me ne hai combinate peggio che zuzza, vabbe mi hai aiutato a far fuori mio padre e a prendere il potere, ma mi pare che te ne stai approfittando. Prima gli insuffli l’alito vitale, a quelle belle statuine, con la scusa che ci devono fare i sacrifici, poi mi hai fatto lo scherzo delle parti degli animali sacrificali, a loro la ciccia e a me le scanfazze…
— O Zeus divino, ma tutto è esito, conseguenza da presupposto, Fato se vuoi. Il soffio vitale ci voleva, sennò che soddisfazione a farci pregare e a maltrattarli ogni tanto. E poi mi pare che soffi vitali di fanciulle umane, ne hai respirato un po’, da allora… Di che ti lamenti? Riguardo alla carne dei sacrifici: mio caro Zeus, il soffio vitale ha bisogno di essere alimentato, proteine mio caro. Mica sono immortali, povere creature! E le interiora fanno pure più fumo sull’altare.
— Va bene, forse ti perdono, ma valle a parlare!
— Ci ho già parlato, o Zeus, lascia perdere, è una tipa strana, ci ha certi pensieri che gli camminano per la testa… N’è cosa per te, peggio di Hera!
— Che vuoi dire, che non sono in grado di sostenere una discussione colta?
— Macché, a quella piacciono i giovanotti umani, i pastori, manovali, proletari. Dice che li trova interessanti, promettenti, ricettivi, bisognerebbe solo darli qualche istruzione, qualche strumento…
— Non ricominciamo Prome’. Basta così con i doni agli uomini, e se mi girano un giorno o l’altro mando un diluvio, e mi ci sciacquo i piedi.
— Tuo fratello Poseidone ne avrebbe a male, oppure potrebbe rivendicare pure la terra, visto che l’hai fregato con le profondità marine, però s’è rifatto con le sue creature, le sirene, dice che hanno inventato un gioco, canto lo chiamano, che fa drizzare anche i capelli, anche…
— Vabbe’ ho capito, non mi vuoi aiutare, ma mi hai dato abbastanza indicazioni lo stesso, vediamo se la cuginetta ci casca, che ci vuole a fare il pastorello…
*****
– Oh, mio bel pastore, cosa fai di bello?
“Non devo farmi scoprire padre degli dei, mugugnerò, emetterò versi senza significato, così forse cade nella trappola” — Uh! Grrrrr! Mbeeee!
— Vieni qui mia bella statuina, mio pupodipezza, io ho nome Mnemosine, ripeti Mne-mo-si-ne.
— Eh! Brumbete! Mbuuuu!
— Monello cattivone — scroscio di ceffone — ripeti Mne-mo-si-neeeee.
“Ahi che botta, ci avevo messo il dolore, per costringerli a pregarci, ma mica sapevo che faceva così male. E quando uno si cala nelle vesti, s’incarna, s’incorpora… Meglio che l’accontento, che al dolore non sono aduso…” — Mnie-Muo-Sssc-Nie…
— Bravo — schiocco di bacio su guancia imberbe. — Vedi che se vuoi impari. Ti insegnerò io, a dare il nome alle cose, così te le ricordi, così potrai parlarne con gli altri e richiamare le stesse cose tante volte, anche quando non ci sono, anche quando bisogna cacciarle, anche quando bisogna sognarle…
“Ci aveva ragione Prometeo, strana forte la cuginetta, ma quando schiocca il suo bacio…”
— Mmmmua — indice sulla gota, — mmmua mmmua.
— Bravo bel pastorello, il suono riprodotto dalle tue labbra può essere un nome. Onomatopea. Vuoi un altro bacio? — schiocco, in coda a un più lungo mmm.
“Non resisto, è adorabile come… un dea, se solo parlasse di meno”
— Stai buono pastorello, muammuà solo se studi: facciamo questo gioco, dai un nome alle cose… vediamo, quelle?
“Mi conviene collaborare…” — Mbeeecore! Mmmmua?— E giù, schiocchi di bacio su guancia rossa di passione divina
— Bravo! Vedi? Così le cose diventano tue, prendi possesso, e come se le creassi una volta ancora, e ancora. Anche quando non ti resta che il nome: vedi questa rosa? Riperi roooo-saaa.
— Rrrruoooo-sciaaaa.
— Ora diamola in pasto alla tua pecora, vedi?
— Uuuuediiiii?!
— Non c’è più!
— Iu?
— Ma cos’era?…
— Ea?
— Dillo tu che ti do un mmmuà.
“Come mi sto facendo menare per l’aia da questa civèttola, ma è così adorabile! Che invidia per l’uomo che non sono e a cui sta effondendo il suo amore come miel che stilla dal favo…”
— A rruosciaaaa? — Sciocco, con leggero umidore.
— E a questo che nome dai? E a questo? Bravo! Questa è una metafora! Questo è un simbolo, le cose sensibili che assomiglia a quelle impalpabili! Bravo! Puoi usare le parole per sbozzare, de-finire, affinare altre parole, è un gioco che non ha mai fine, come un castello. Cos’è un castello?: una torre, un Cairn, come i castelli di pietra che fai per ritrovare il percorso, se sei bravo potrai costruire un castello di parole fino al cielo, fino a tirare giù gli dèi dell’Olimpo…
— Il tuono squassò l’aere, e avrebbe tramortito Mnemosine se non fosse stata immortale.
“Devo stare calmo, ma a volte questo femminile… Parlano e straparlano, non capisco se per incoscienza o ipersensibilità, sanno essere brutali senza mostrare colpevolezza. Ma il suono della sua voce è così dolce…” — Tuwn, Baurrrrr…..
— Bravo! Tuono, Paura: due parole in un colpo solo, sei proprio un ometto… — le braccia della cuginetta facevano un bel disegno attorno al collo snello e nervoso del pastorello incorporato dal Saturnide.
“Il tanfo di guai sorpassa quello del beccume, ma quel musetto!, se questa insegna agli uomini a ricordare, la memoria, e pure a scambiarsi le esperienze, attraverso i nomi e il linguaggio, chissà dove possono arrivare… Mi devo preparare… che so?, confonderò le lingue se serve, inventerò le emoji, tik-tok…, ma ora non so resistere” — Mmmmbeell, mbeell Mne-mo-si-neeeee — il pastorello affannava, perso nella curva accennata del seno, aspro ma perentorio della dea fanciulla.
— La racconterai mio bel pastorello, la nostra storia, racconterai le storie, le racconterai intrecciando fatti, nomi e immaginazione, le racconterai per dare corpo alle comunità, accompagnadoti con suoni melodiosi e facendo cantare le parole, con rime, riti, rimandi, ripetizioni, così ricorderai, farai palpitare il cuore tutte le volte che vuoi, anche a distanza di tempo, anche solo richiamando alla mente i fatti che ti hanno emozionato…
“Quanto parla, davvero pericolosa, ragione aveva Prometeo, dovrei lasciar perdere, prima che mi combina qualche danno, che produce qualcosa, le maledette conseguenze, ma come mi fermo?, certo la volontà divina potrebbe, e io modestamente…, ma come si fa a volere, dis-volendo questo afrore, questo sguardo irridente e voglioso allo stesso tempo, questa nenia: clio clio clio…
E fu sera e fu mattina.
Il pastoroolo beava tramortito, e il dio che l’abitava si faceva mille scrupoli:
“Devo stare attento, la cuginetta la sa lunga, mi sta combinando qualcosa, mi sta attirando in una trappola, come formicaleone mi scava la fossa conica rovescia e mi attende al centro, all’apice, e che apice…” Il vincitor de’ Titani s’ammorbidiva, rimollava addirittura, dis-voleva, alla vista della natica svelta e tuttavia paffuta di Mnemosine.
— Regalo!
— Ugggaloooo?
— Soffiaci dentro — e infila in bocca al dio pastorelliforme, senza complimenti, due canne, con buchi, come fossero tibie animali, come fossero auli, diauli, demoni — Soffia, phffffuuuu, ecco così!
“Che diavoleria è questa, smembrano le macchine sonanti si Apollo, ma senza corde…, che? L’aria è corda, ora?”
— Qua metti le dita sui buchi, vedi?, se muovi cambia il suono, pensa pastorello mio, a quante ripetizioni e variazioni, a quante combinazioni armoniche, a quante storie di suoni si possono fare…
“Attento Zeus, questa diavoleria fa passare il dolore e la paura, fa sentire gli uomini un po’ dei, che non sia loro disvelato…
— Vedi mio bel pastorello, le dita degne di un dio, prima caoticamente poi sempre più ordinatamente, danzano sui buchi del piffero, il fiato si fa regolare e ritmico, il suono diventa musica, e puoi anche ripetere parole, a ritmo, come il respiro, come gira il mondo, come vibra la colonna d’aria, con il cuore, concorde, con le corde della lira…
“E quanto parli, Mnemosine mia, e quanto ti piace giocare, quanti giochi sai? E che vibrazioni di fianchi e che salti sui piedi minuscoli e svelti, e che perizie da pifferaia… ”
— Rallegrati mio bel pastorello, euterpe, euterpe, euterpe ….
E fu sera e fu mattina.
E il terzo giorno il pastorello rise e il dio che vi si era nascosto dentro si sorprese di questa pratica divina nell’uomo, eco dell’afflato divino prometeico forse, ma certo pericoloso per gli uomini che così possono pure prendersi gioco degli dei, ma la dea fanciulla rise anch’ella con versi d’un usignuolo e il mangiaprolide soggiacette ancora, alla ninna nanna: thalia, thalia, thalia
E fu sera e fu mattina.
Il quarto giorno pianse ai racconti di Mnemosine, il giunonico consorte, ed ebbe invidia degli uomini capaci di commuoversi e di sentire il dolore altrui, di provarne compassione, di ascendere sui pioli della catarsi, e piangendo diluvi si fece asciugare le lacrime dai baci di consolazione della cugina dea e giacque ancora al suono della filastrocca: melpomene, melpomene, melpomene.
E fu sera e fu mattina.
Il quinto giorno l’Uranide fanciulla, mosse le mebra al ritmo del suo respiro, e il dio fulmineo sarebbe stato pronto a darle metà del suo regno, lei non chiese teste mozzate sul piatto d’argento per giacere danzando ancora dicendo ostinatamente: tersicore, tersicore, tersicore.
E fu sera e fu mattina.
Il sesto fu tutto un fuoco di parole, per ridestare lo stancato desiderio del potente padre degli dei e amatore riconosciuto, e ancora giacquero al suono insistente di : erato, erato, erato.
E fu sera e fu mattina.
Il settimo giorno il dio avrebbe voluto riposare, come giorno dedicato alla divinità, e fu come una cerimonia come dio comanda, il cielo e la terra, e ancora giacquero come in un rito sacro, mentre mnemosine ripeteva: polimnia, polimnia, polimnia
E fu sera e fu mattina.
L’ottavo giorno, gli fece veder le stelle, e gli astri mobili e il ritmo del tempo scandito dal loro andare e tornare, e giacquero negli spazi siderali, al suono della cantilena: urania, urania, urania.
E fu sera e fu mattina.
Il nono Mnemosine gli raccontò l’epica della teomachia, che Zeus conosceva fin troppo bene, ma questo non gli impedì di rimanere con la lingua del pastorello in mezzo ai denti lo stesso, per la bellezza che il racconto poteva dare ad avvenimenti tanto violenti e caotici, trasformandoli in gesta eroiche, e giacquero ancora, per l’ultima volta si disse il Lampante, giacquero ancora al suono della cantilena: calliope, calliope, calliope.
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— Non dirmi, o Prometeo, che non ne sapevi nulla, tu ci tieni troppo a questi uomini e finirai per rovinarti per questo.
— Io, o Zeus, ti avrei imbrogliato? Tu corri appresso a ogni femminile che agita questo creato, e poi sono io che complotto? Capisco che si vogliano giustificare le proprie debolezze addossando la colpa a oscuri cospiratori, ma da te non me l’aspettavo? Sei più proceatore che creatore!
— Prome’ sei bravo a parlare, ma prima o poi ti finisce male! Intanto mi sono nate queste nove pesti, le dovresti vedere che sono belle a papà… E Hera, ancora mi presenta il conto novantanove volte nove, e i tuoi cari uomini grazie a loro hanno cominciato a guastarsi, a raccontare, cantare, danzare, disegnare, scolpire, digitare… e chissà quale altra arte ne deriverà…
Maurizio Cairone