Commento a
“Tell me the truth about love” di W.H. Auden
“E quando ho domandato al mio vicino,/ che aveva tutta l’aria di sapere,/ sua moglie si è seccata e ha detto che/ non era il caso, no.” Ironico, pungente, idealista, vitale e malinconico è il volto che traspare dalla lettura delle dieci liriche contenute in Tell me the truth about love, raccolta postuma dell’autore inglese W. H. Auden (1907 –1973). Porta alla luce la visione di rapporti sofferti, visti, immaginati o vissuti, lui che credeva fermamente nella lotta rivoluzionaria, tanto da giungere in Spagna per dar man forte contro i Nacionales (1937), lui che proprio da quell’esperienza perderà quasi la fede nella umanità a causa degli orrori commessi da ambo gli schieramenti. E’ stato scrittore, poeta, drammaturgo, dalle letture e conoscenze disparate, egli che dell’amore avea fatto bandiera chiede e si interroga sulla natura di tal difficoltoso concetto “È pungente a toccarlo, come un prugno/ o è lieve come morbido piumino?” . Vive a cavallo delle grandi guerre del novecento e si fa interprete della voracità e vuotezza caratterizzante, considerato l’anticipatore/annunciatore, per certi aspetti, di quella che verrà chiamata la Beat Generation affronta la scrittura con rime, stili e metriche costantemente distinte, facilmente riconoscibili ed apprezzabili in lingua madre, ardue da scovare nelle traduzioni, benché fedelmente riportate. La raccolta prende il nome dalla prima lirica, dove l’ansia della ricerca si connubia al timore del ritrovamento, “Busserà la mattina alla mia porta/ o là sul bus mi pesterà un piede?” ma la curiosità è forte, come la quasi ingenua fanciullesca domanda e la susseguente richiesta d’aiuto “ Darà una svolta a tutta la mia vita?/La verità, vi prego, sull’amore.” In Fish in the Unruffled Lakes vi è “l’evoluzione” e il paragone tra l’istinto animalesco ” Pesci nei placidi laghi/ sfoggiano scie di colori…incede il grande leone/ per il suo bosco innocente “ e il sentimento umano “noi i nostri amori li dobbiamo perdere,/ volgendo uno sguardo invidioso/ a ogni animale e uccello che si muove” finché i due diversi approcci non coincidono nel comportamento dell’amato che, seguendo l’esempio dell’impulsivo cigno, con ardore e volontà, durante la notte, all’oscurità aggiunse il suo amore che il poeta “benedice e celebra”. Ma il tempo è avverso agli amanti col suo fugace scorrere e non ci sono attimi da perdere per colpa d’incuria o negligenza, “segua al pensiero rapida azione./ A che serve pensare?” e le campane scandiscono afflitte la prostrazione del cuore “ I rintocchi… suonan per queste ombre senza amore/ che all’amore non servono.” L’assenza di battito vivifico avvilisce il sentire e l’idea del sentire stesso, bisogna abbandonare l’orgoglio e non cedere al puntiglio, permettendo al proprio fiume di scorrere verso l’oceano e non poltrire all’ombra del salice che diventa abietto in virtù della compromettente oscurità fiorita dalla necrosi di spirito. È un crescente il ritmo della raccolta, un crescente incedere che si fa sempre più personale con l’avanzata delle liriche e in Calypso ritroviamo il patimento dell’attesa, la tribolazione e l’angoscia derivante dal dubbio “Via come un razzo, non fermarti mai – suggerisce al macchinista – Se non è lì quando arrivo in città/ starò sul marciapiede e piangerò…” ma se egli mostrando la sua figura, dovesse confessargli la reciprocità del suo sentore, allora i paesaggi cambierebbero volto, anche gli alberi risulterebbero impregnati d’amore, un diverso amore, ma pur sempre tale e con una finale stoccata ai temporali e spirituali governi afferma “… ordinerei a tutti di aspettare./ Perché l’amore conta ed è potente/ ben più di un prete o di un politicante.” E mostra ancora le dichiarazioni d’eterno legame e grandi effimeri, semplicistici ardori, quasi beffandosi dell’eccesso delle parole, imprime sulla carta ” Io ti amerò finché l’oceano sia/ ripiegato e steso ad asciugare/ e vadano le sette stelle urlando/ come oche in giro per il cielo”. Ma il cambiamento è inesorabile e il tempo, nemico/amico, è sempre pronto a scombinar gl’intrecci, a spezzare “il tuffo dell’atleta“, che sospeso in volo ricade su se stesso e in quel tuffo spezzato, nell’acqua dell’immersione sfumata Auden chiede d’immergere le mani affinché si scopra l’identità del perduto poiché ” …Nella credenza scricchiola il ghiacciaio,/il deserto sospira dentro il letto/ e nella tazza la crepa dischiude/ un sentiero alla terra dei defunti”. E alla tarda ora, quando il vano riflesso degli amanti sbiadisce, il poeta si trova solo nell’immobilità del tempo e dello spazio, nonostante le grandi visioni e i giuramenti, i lamenti e i patimenti, il serpente d’acqua continua a scorrere ma il rintocco/battito è cessato e l’uomo, inerte e debole osserva “ il gran fiume- che– correva come sempre“. In Lullaby la dolcezza diventa protagonista, come inno alla bellezza pura e fugace, non importa cosa si possa pensare al di fuori dell’alcova, non importa se l’atto verrà condannato o meno, non conta nulla, se non che avere il proprio spirito a contatto con l’altro ” finché spunti il giorno mi rimanga/ tra le braccia la viva creatura,/ mortale sì, colpevole, eppure/ per me il bello nella sua interezza.” E l’invito a godere pienamente d’ogni secondo “ da questa notte/ non un solo bisbiglio, né un pensiero,/ non un bacio o uno sguardo sia perduto.” E la speranza che sia amore a rinfrancare lo spirito e il corpo nelle giornate di calura ove magari “ occhio e cuore pulsino e gioiscano,/ paghi di un mondo, il nostro, che è mortale”. In At last the secret is out affronta il tema della verità celata che costantemente vien rivelata poiché “non c’è fumo senza fuoco” e ogni atto nasconde un diverso proposito, incalza poi il poeta, parlando al proprio interlocutore “ c’è più di quello che si mostra all’occhio… un motivo privato dietro tutto questo”. In What is that sound l’orrore della guerra e delle sparizioni casalinghe: vien mostrata una coppia che avverte l’arrivo di uomini armati, fino alla fine sperano che la propria dimora venga graziata ma invano e quando, lo sconvolgente timore propone le domande, che incalzanti si susseguono, il compagno cerca di donare rassicurazioni finché l’inevitabile non può più essere scongiurato e alla finale ” Le tue promesse erano inganni, inganni?” la risposta di fedeltà e rassegnata tranquillità vien succeduta dalla visione dello scempio “Oh, è rotto il chiavistello, è a pezzi l’uscio,/ oh, la via che hanno scelto è questa, è questa;/ hanno così pesanti gli stivali/ e hanno occhi di fuoco.” Le due liriche di chiusura, tra le più conosciute del poeta, in virtù di film e canzoni che le hanno citate, narrano diverse struggenti tipologie d’amore: inJohnny c’è il patimento dell’amante, devoto e appassionato il cui batticuore non viene ricambiato, anzi ad ogni sbalzo d’affetto e dimostrazione devozionale egli “con un cipiglio di tuono” se ne va e risultano inutili le tentate effusioni o gli slanci, Johnny è distante e non vuole condividere la gioia dell’amore. Persino nel sogno, il tremante petto sa che continuerà a patire senza ricevere in cambio nulla : Johnny diventa un Dio che tiene in sé la bellezza sfavillante del sole e la misterica incostante luna, lo scenario mostra placidità con stelle luminose, mare calmo e prati verdeggianti ma il sognatore è “in un abisso giù a diecimila miglia” cerca aiuto nelle calma esterna, nelle indicazioni siderali ma Johnny “con un cipiglio di tuono” se ne va. Termina infine la raccolta con la celebre Funeral Blues, inno al tormento derivante dalla perdita funesta del proprio amato. Talmente atroce e sconvolgente è il vuoto causato dall’assenza amorosa che il mondo non ha senso e non deve, non può andare avanti la vita, tutto deve essere oscurato, ogni essere vivente deve tacere e ossequiare il vuoto vestendosi a lutto poiché “ Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed il mio Ovest,/
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,/ il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;” è il momento del cordoglio e le lacrime devono risuonare in ogni angolo, accompagnando lo spirito dolente, carico di amarezza “pensavo che l’amore fosse eterno: avevo torto.” E ogni bellezza naturale è priva del suo smalto se l’amato non potrà goderne, se insieme non potranno gustarne la dolcezza o arricchire quei panorami con la propria meravigliosità. Il significato dell’esistenza ha perso il suo significante, “Non servono più le stelle: spegnetele anche tutte;/ imballate la luna, /smontate pure il sole;/ svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;” perché lui è morto e in virtù di tale infida assenza, nulla al mondo “potrà giovare”. Lui è morto e il suo ricordo langue freddo e vitreo nel poetico sguardo e la penna incide solchi gocciolanti, ma l’ombra dell’amato è destinata a sopravvivere come il lutto e l’afflizione legate al dolore della perdita. La poesia lascerà sospeso in eterno il momento della fine e il profondo amore generato e sgorgato nella purea sanguigna permarrà, come battito o rintocco di campana annunciante al ciel sereno la costante, cangiante fissità dell’universo. “For nothing now can ever come to any good.”