Renata uscì dall’ascensore con le borse della spesa, carica come un albero di Natale. Altri cinque passi la separavano dalla porta del suo appartamento, altri cinque passi per entrare, dopo una stressante giornata di lavoro, nel suo mondo privato. Si chiuse con un piede la porta alle spalle. La luce che filtrava dalle tende gialle della cucina era ancora vivida in quel pomeriggio d’estate. L’ordine non era amico di Renata ma l’allegria si, c’era per casa una confusione di oggetti che faceva pensare agli zaini delle ragazzine dove è possibile trovare fra libri e quaderni anche sassi levigati dal mare insieme ai primi rossetti. Trentotto anni, fianchi snelli, alcuni capelli grigi sulle tempie esibiti con spavalderia come se non le appartenesse la paura di invecchiare, come se non avvertisse il trascorrere del tempo, cercava di conservare nei suoi occhi nocciola una scheggia di giovinezza ancora intatta. Si tolse le scarpe e iniziò velocemente a sistemare, nella dispensa, gli acquisti fatti al supermercato; non amava dedicare molto tempo a queste attività. Un giro per casa come per salutare le sue cose, un’occhiata alle nuove foglie del potos che si arrampicava per tutta la parete, una sensazione di benessere nello scorgere la propria immagine riflessa nello specchio dell’ingresso. La stanza di Giacomo era sempre una babilonia ma d’altro canto – pensò – a chi avrebbe dovuto somigliare altrimenti questo figlio. Ritornò in cucina e si diede da fare per preparare la cena, tra poco Giacomo sarebbe ritornato a casa sicuramente affamato. Dispose su un piatto ovale il prosciutto e i formaggi, affettò i pomodori, condì con olio e limone la rucola nella ciotola e tirò fuori dal frigo il piccolo vassoio con i due cannoli di ricotta presi da Nonna Vincenza. Giacomo era fuori da una settimana, in gita con i compagni del quarto liceo e ora, Renata, lo attendeva da un momento all’altro con una grande voglia di abbracciarlo. All’inizio queste separazioni tra loro erano state dolorose per lei, Giacomo trascorreva tutte le vacanze con il padre, ma poi la possibilità di riappropriarsi di un tempo non occupato dalle cure materne, la voglia di fare anche altre cose, avevano trasformato questi periodi di lontananza, in momenti di recupero e di arricchimento di un rapporto così viscerale che avrebbe rischiato di nuocere ad entrambi. Il cigolio della serratura la distolse dai suoi pensieri. Si girò di scatto e Giacomo era lì, con la sua sacca a tracolla e il viso abbronzato dal sole. “Ciao Mamma.” La sua voce sembrava debole come di chi ha molto gridato. “ Ehi che bel rosso hai sulle guance.” rispose lei e si tuffò fra le braccia del suo figliolo con una gioia infinita. “ Voglio sapere tutto: dal colore del cielo a quello della maglietta della ragazza più carina -sentenziò Renata avviandosi verso la cucina – possiamo cenare anche subito se vuoi.” E attese che Giacomo le dicesse come aveva sempre fatto: “ Guarda cosa ti ho portato.” A volte era un sasso o una conchiglia oppure la vertebra secca di qualche animale; Renata mostrava di apprezzare molto questi doni che andavano ad arricchire la collezione naturalistica sulle mensole del soggiorno che insieme avevano messo su raccogliendo reperti ad ogni escursione, ad ogni passeggiata al mare o in montagna. Questa volta invece Giacomo si sedette a tavola e, senza troppi convenevoli, spezzò un grissino e iniziò a mangiare. Renata notò subito che una nuova luce illuminava il viso di quel ragazzo, partiva dagli occhi e si irradiava sul piccolo naso punteggiato di lentiggini , sulla peluria fitta e dorata che rivestiva le guance. Sicuramente non si era rasato nemmeno una volta durante quel viaggio. Il suo figliolo era proprio un bel ragazzo, pensò Renata con un pizzico di orgoglio e, quella sera, aveva anche in volto una pienezza di luce. Lo osservava addentare il pane con gusto e lo sollecitava, con qualche sorriso, a raccontarle i particolari di quei sette giorni di gita con i compagni. “ Ma mamma – Giacomo liquidava tutto in due parole – figurati le solite cose come quando andavi in gita anche tu con la tua classe. Il pullman vociante, le canzoni in gruppo, gli scherzi, anche le foto con le corna sulla testa dei compagni davanti. Nulla è cambiato, è stato tale quale l’anno scorso.” I suoi occhi giravano intorno posandosi ora sulla padella ancora adagiata sul fornello, ora sulla parete poi prendevano il volo attraverso la finestra verso l’azzurro infinito del cielo. A Renata fu subito chiaro che, per la prima volta, suo figlio non aveva voglia di raccontarle niente allora, quasi per sfida chiese: “Ma Martina è venuta in gita?” Un’ ombra di sogno e di imbarazzo attraversò come un lampo il volto di Giacomo. “Certo mamma.” Rispose senza aggiungere altro. Renata avvertì che la conversazione tra loro era finita. Parlò lei delle sue giornate da sola, delle difficoltà incontrate,dell’ultimo film che aveva visto e che assolutamente Giacomo non avrebbe dovuto farsi scappare. Ogni tanto posava i proprio occhi su quel ragazzo e notava lo sguardo di lui assente, trasognato, doveva avere dentro un piccolo pezzo di infinito che si irradiava sotto la pelle e che filtrava attraverso le ciglia. Sembrava attento a conservare dentro di sé chi sa quale tesoro, chi sa che immagini, che sogni. Improvvisamente Renata ricordò una notte d’estate, il cielo punteggiato da miriadi di stelle, il mare liscio e calmo, lei adagiata sul fondo di una barca in secca sulla sabbia ancora tiepida, scambiava teneri baci con Luigi il suo ragazzo di allora, avevano entrambi diciassette anni. Senza che nessuno di loro due lo decidesse qualcosa li prese, li avvolse, caddero i vestiti e Renata, per la prima volta sentì il corpo di Luigi dentro il suo e un grande bisogno di fondersi e di annullarsi con quel cielo lucente di agosto. Le emozioni di quella notte le tornarono vivide e smaglianti insieme al profumo della salsedine e allo sciabordio delle onde come un regalo arrivato da lontano. Intuì che quella gita per Giacomo era stata preziosa e importante, che forse per la prima volta aveva amato e si era dato ad una donna con una pienezza e una completezza mai provate. “Cosa c’è per frutta?” Giacomo interruppe il filo dei suoi pensieri. Renata per un istante ebbe voglia di mostrargli che aveva capito e di domandare: “E’ stato bello? Cosa hai provato? Ragazzo sei cresciuto molto oggi.” Rispose invece: “Ci sono delle ciliegie e un ananas se ti va di affettarlo.” Poi lo guardò negli occhi e gli chiese semplicemente: “Sei felice?” Lui arrossì un poco sentendosi nudo, quindi sorrise, si alzò dalla tavola, baciò Renata sulla guancia e disse: “Scusa se non ti aiuto a sparecchiare vado a dormire perché sono molto stanco.” “Buonanotte caro” rispose; poi anche lei si alzò dalla tavola, non aveva voglia di mettere in ordine prese il suo libro e si diresse in terrazza. La città si stendeva languidamente sul fianco della collina, a tratti si potevano distinguere le luci del porto. Era proprio una bella serata, il mare si intuiva lontano.
Renata Governali