(Ai sopravvissuti presenti e futuri della guerra al coronavirus)
I
Questa che segue non è poesia
è l’eterno teorema in cui natura
matura un ciclo dal letame al fiore
con l’uomo alimentato dal colore
tutto un gigante re per l’universo
ma impotente coi virus
o minuscoli insetti in volo o a terra
quando lo uccide col suo pungiglione
un calabrone nero o uno scorpione.
Ecco perché didascalia nei versi
non sarà mai poesia cui sembra darsi.
II
Nei colori più spiccano le tracce
se un’ape vi si posa ai mille fiori
per far bottino in sosta quando il sole
tra l’ariete e il tor cede al leone
e quando le zanzare sono mignatte
e inquinano la notte volti e mani.
Ecco perché nel sonno
s’aprono porte ignote proprio all’uomo
arbitro astronauta e maggior-domo.
Nei colori più spiccano le tracce
come gioia o cibo o son minacce
con veleni a difesa per la vita
col blu smaltato il calabrone nero
mostra il suo volto vero
nel brillare coriaceo lo scorpione
col deporre la prole senza squame.
E siamo all’uomo attento al suo letame
alimento per orto albero e fiore
l’uomo che sulla luna nello spazio
mai sazio spinge la sua folle brama
e intanto trama morte
a sua difesa lupo sull’agnello
forte col debol’e debole col forte.
Sara Smigòro
23 – 04 – 020