Questo intervento è strutturato a due voci, la mia e quella dell’artista. Entrambe costruiamo il percorso dialogico che fa da cornice ai quadri. Anna Marcantonio, artista figurativa che sposa la geometrica come idioma di riferimento delle opere, introduce le opere parlando di sé e del suo rapporto con la natura e la forma.
“Mi chiamo Anna Rita, sono nata a Catania, ho conseguito il diploma di laurea in Decorazione presso l’Accademia di belle arti di Catania, istituto in cui mi sono definitivamente soffermata, dopo aver provato l’esperienza universitaria alle facoltà di Architettura e d’Ingegneria, entrambi percorsi che, pur non portati a termine, mi hanno permesso di imparare, rafforzare e definire tutta una serie di idee, che piano piano sono andate concretizzandosi all’interno del mio percorso formativo e di studi in campo artistico. Non nascondo il fatto che la strada percorsa è stata lunga e ancora non si è conclusa, ma, qualcosa forse comincia ad intravedersi…”
Ecco come l’artista, docente quasi architetto si auto-definisce. Anna Rita Marcantonio conclude il percorso di studi con l’abilitazione all’insegnamento delle materie grafiche e storico-artistiche, la stessa parla della sua passione per quel “RAGGIO DI SOLE”, per lei è “l’arte, colei che ha il privilegio di permettere che ognuno possa esprimere al meglio se stesso attraverso musica, poesia, un immagine, una composizione di immagini, risolte in maniera pittorica e non attraverso le più svariate tecniche.”
Ecco come l’artista, docente quasi architetto si auto-definisce. Anna Rita Marcantonio conclude il percorso di studi con l’abilitazione all’insegnamento delle materie grafiche e storico-artistiche, la stessa parla della sua passione per quel “RAGGIO DI SOLE”, per lei è “l’arte, colei che ha il privilegio di permettere che ognuno possa esprimere al meglio se stesso attraverso musica, poesia, un immagine, una composizione di immagini, risolte in maniera pittorica e non attraverso le più svariate tecniche.”
Il modus operandi che la induce a creare si definisce in una magnetica dicotomia tra il silenzio e lo sguardo, “ho sempre cercato di guardare in silenzio e con attenzione tutto quello che mi circonda, ascoltando quello che le cose vogliono dire, facendomi quindi un idea del loro essere”, destrutturando concettualmente e ricostruendo geometricamente quel mondo da lei osservato e capito “spontaneamente sono arrivata a rappresentare fiori, alberi, paesaggi, persone, nature morte, così come esse appaiono nella realtà, ma c’è dell’altro. Perché.. il segreto che differenzia un artista dalla gente comune è che solo lui è in grado di continuare a guardare, guardare, per vedere ciò che sta dietro, oltre le cose reali.”
Arrogandosi così il diritto di potere disegnare, per esempio, “non con tutte le caratteristiche del frutto reale, ma con quelle del frutto che si trova oltre il mondo reale. Questo appunto è il passaggio cruciale: “guardare, guardare per vedere e poi capire”.
Un’artista che si propone anche attraverso la parola riconoscendo il patronimico dei propri lavori e la matrice concettuale e dialogica intrinseca, costituente delle opere stesse: lo sguardo analitico cartesiano.
“Io ho guardato, riguardato e ho visto. Ciò che ho visto e che vedo si trova sulle mie tele, su fogli di carta, sulle pareti, su tutto quello che è pronto ad accogliere ciò che ho da dire.
Riconoscendo il suo alter ego architettonico geometrico e la passione per la decorazione delle rappresentazioni “asettiche”, luoghi di contrasto, collaborazione o raggiungimento di precario equilibrio tra due sfere così diverse come razionale e irrazionale, ordine e disordine.
Nel mondo dell’incertezza, del divenire e del perturbabile, propone come faro la valenza della linea, struttura genetica nell’artista catanese che riconosce: “quello che vedo è fatto di linee, semplici e puri segni che creano forme, spazi, composizioni. La linea mi permette di gestire e controllare lo spazio che mi si pone d’avanti. Ciò mi dà certezze: certezze nella composizione, nei colori e nella gradevolezza dell’immagine che voglio proporre. La linea correndo lungo la superficie della tela, si spezza, si piega, crea delle curve, delimita spazi, tutto secondo la mia volontà. Insomma la sua presenza è viva all’interno delle mie rappresentazioni, anche se ormai non più come elemento fisico, bensì come un concetto, una regola, ma sì, come un “direttore d’orchestra” o meglio di composizione.
L’artista segue la linea nella pittura, nella geometria e nella logica operativa proponendo al lettore una chiave di lettura ben esposta attraverso poche parole, chiare e nette come un disegno geometrico, quasi un piano regolatore entro il quale possa muoversi la sua fantasia e l’interpretazione.
“Mi è impossibile, al momento, abbandonare quel filo di ragione che permette alle mie opere di esistere. Senza quel filo, non sò, forse mi perderei, forse non ce la farei. La tentazione è forte, ma la ragione lo è ancora di più, …
…ed è battaglia.”
Nei quadri con tema naturale, la pittrice ci invita
a un attimo di sospensione
tra delicate forme vegetali.
Forme aggraziate da colori puri
e ingentilite dalle linee eleganti,
a volte reificate tra fondi scuri.
Esseri soli e silenziosi
che contemplano se stessi,
lo scorrere del tempo
e il silenzio del divenire della terra.
Lo spazio può essere conteso, il vento può entrare dentro un quadro passando attraverso dei semplici steli .
Si entra tra semplici forme, esili, colori sempre sostenuti, la geometria aiuta a dare il senso della leggerezza, ma allo stesso tempo accompagna e crea.
Essa rende visibile quello che accade nel processo di riconoscimento degli oggetti, per il quale non si coglie la totalità delle cose, ma solo la traccia di esse come fosse uno schema generico che le costituisce.
Spettatori di uno spettacolo silenzioso, ci si ritrova davanti questa scenografia che appare comune ma che invece nasconde altro… si dovrebbe sempre andare un po’ più in la di un secondo e guardare come le forme non sono normali, non c’è solo un punto di vista, non c’è una forma indefinita ma tutto è mutevole come se appena voltiamo l’occhio cambiassero le forme, come spezzoni accostati di vedute, come insegnano i futuristi ma non solo … si tratta di un gioco.
A volte, per amare la vita bisogna giocare e agire di fantasia,
scambiare una forma per inserirne un’altra,
amare meglio il noto
riscoprendo ciò che crediamo di conoscere bene.
Vedere diversamente per riconoscere la verità perduta.
Si può rimanere incantati o entrare e perdersi, tra i colori della natura.
Tali colori si accostano alla freddezza della materia artificiale, il vento smuove ciò che è vita mentre il resto è statico e immobile.
La presenza umana è intuibile cromaticamente dalla presenza del grigio del cemento, dagli edifici anche se tutto è accarezzato dalla luce che li isola nella dimensione estatica di uno spazio-tempo bloccato nell’attimo.
La luce governa le forme, nulla è tristezza sempre e solo pace si ritrova tra i pensieri che si lasciano trasportare dalle forme.
La geometria trasforma la forma di un petalo per farne sentire l’essenza sia essa presenza sia essa leggiadra superficie dal peso infinitesimo che oscilla al minimo flusso d’aria.
I colori sono sempre chiari, sempre netti, non è ammessa sfumatura, quando tutto è sospeso rimane solo l’essenza e nessuna incertezza, solo geometria vitale…
Nel buio di una notte resta sempre un fascio di luce che crea le forme e materializza i colori senza il quale sarebbero inconcepibili.
Le forme si irrigidiscono nella stasi del silenzio notturno e i petali ondeggiano lentamente come intontiti dall’oscurità.
Le linee sono nette, decise, sicure e presenti come realtà inconfutabili, non è più una natura delicata ma cosciente della sua presenza.
Quando tutto si semplifica attraverso il pensiero si arriva al noumeno, ovvero all’essenza delle cose, ma anche della realtà e quindi a godere anche solo della contemplazione degli elementi, della terra e l’acqua in cui la vita umana e vegetale prendono forma, ed in cui vivono quotidianamente.
Energia e materia prendono forma, nella rigidezza di una linea retta e nella sinuosità di una curva.
Questa superficie immensa presenta questo dialogo continuo tra ciò che muta costantemente come l’ acqua e ciò che resta immobile, non trasforma ma viene trasformata, la terra.
Anche il mare nasconde vita, sia essa sopra, sotto o intorno a esso.
La vita prende forma e colore attraverso piccoli esseri che zampettano qua e là sulla tela come se si rincorressero tra il blu delle onde, il celeste del cielo e il grigio della pietra lavica.
La geometria fa da scansione temporale oltre che da linea creatrice.
La diagonale rende la scena viva, serena e articolata.
L’artista si interroga e conclude:
“Perchè questo stile? -Perchè tutto ciò, è il residuo delle mie esperienze, delle mie conoscenze, del mio vissuto. Perchè ciò che vedo, nella mia mente subisce un processo di semplificazione e geometrizzazione, che viene poi a trovarsi sulla tela, è che rimane REALE; non esiste alcuna astrazione. Perchè il processo che cerco di raccontare, mi viene naturale; ed è pura e semplice realtà, ciò che si vede.”
Marcantonio ricorda che tutto è frutto di un percorso che intraprendiamo, noi siamo la strada che percorriamo:
“Le mie opere, non sono altro che il frutto del mio vissuto, delle mie esperienze e del bagaglio culturale che fin’ora ha arricchito il mio essere artista.
Gli studi di architettura e ingegneria, l’amore per la natura ed il colore puro, danno vita a queste composizioni, nelle quali nulla è lasciato al caso. Si tratta di un vero e proprio progetto che sviluppato sulla carta si trasferisce poi nella tela (come in questo caso) o su altro supporto”.