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© Edward Hopper, South Carolina Morning (1955)


      CULTŪS DĒSERTA

 

 

 


 

© Edward Hopper, South Carolina Morning (1955)

 


1. Giochi e copione

C’è, nella struttura relazionale dei personaggi, nei racconti di Flannery O’ Connor[1.  Flannery O’Connor, Tutti i racconti, a cura di Marisa Caramella, Bompiani, Milano 2001: tit. originale: The Complete Stories of Flanney O’Connor, Farrar,Straus and Giroux, New York 1971.], il paradigma dei “giochi della vita” della psicologia transazionale. Anzi, si possono rinvenire, più che la serie dei “giochi della vita” preposti da Eric Berne (L’Alcolizzato, Il Debitore, Prendetemi a calci, Ti ho beccato, figlio di puttana, Guarda che mi hai fatto fare)[2.  I “giochi della vita” sono i “Life Games” di Eric Berne: “Alcoholic”, “Debtor”, “Kick Me”, “Now I’ve Got You, You Son of a Bitch”, “See What You Made Me Do”.], nuove modalità di giochi più o meno tragici, in cui la presenza di quelli che Bene chiama “giochi di società” modula l’esistenza tra le varianti del “Non è terribile”, “Il difetto”, “Il goffo pasticcione”, “Perché non…sì ma”[3.  I “giochi di società” sono i “Party Games”: “Ain’t it Awful”, “Blemish”, “Schlemiel”, “Why Don’t You-Yes But”.] o tra le mutuazioni dai “giochi sessuali”, della “malavita” o dello “studio medico” (Vedetevela tra di voi, Burrasca, Sto solo cercando di aiutarti, Lo stupido)[4.  I “giochi sessuali”, i “Sexual Games”, sono: “Let’s You and Him Fight” (Vedetevela tra di voi), “Perversion” (La perversione), “Rapo” (Violenza carnale), “The Stocking Game” (Il Gioco della Calza), “Uproar” (Burrasca); “Sto solo cercando di aiutarti” è un “consultino Room Game”: Berne lo chiama “I’m Only Trying To Help You”. Anche “Stupid” è un “consultino Room Game”.] fino alla conclusione in cui tutto è azzerato: il paradigma sociale o famigliare, il paradigma psicologico, le mosse, i vantaggi.
Ovvero, nei giochi non ci sono vantaggi:
dalla tesi allo scopo, la dinamica delle parti, tra paradigma sociale o familiare e paradigma psicologico, muove (provoca, accusa, indulge, si dispiace, va in collera, perdona) per dei vantaggi momentanei (la stabilità strutturale stabilisce sempre situazioni inquiete o ansiogene) con poche carezze, fino all’annullamento definitivo della transazione o delle transazioni con la fine, tragica, drammatica, violenta o traumatica, della storia o di un personaggio-chiave.
Il copione, nei racconti, non è ciò che l’individuo, nell’infanzia, ha deciso di fare, né il corso della vita è determinato dal patrimonio genetico, ma il corso della trama è determinato dall’insieme della struttura familiare del personaggio-chiave e da circostanze esterne.
Nei racconti di Flannery O’Connor è, però, la circostanza esterna la forza che muove il destino.
Le forze che muovono il destino dell’uomo sono quattro, dice Berne, e tutte terrificanti: “la programmazione parentale demoniaca, incoraggiata da quella voce interiore che gli antichi chiamavano Daimon (= demone); la programmazione parentale costruttiva anticamente chiamata Fusis (= natura); le forze esterne, tuttora chiamate Fato; e le aspirazioni indipendenti, alle quali gli antichi non diedero alcun nome, dato che per loro questi erano privilegi riservati agli dei e ai re”[5.  Eric Berne, “Ciao!”…e poi?, trad. it. Bompiani, Milano 1994: p. 57.].
Il destino finale è combinato da un copione, che è strutturato da una situazione iniziale, in cui sembra che abbia agito una programmazione parentale demoniaca, e da un contro-copione, obbligato, ma indipendente, che è, sì, strutturato dalle circostanze esterne, il Fato, ma che ha la fallacità tragica di quella struttura demoniaca che attiene alla programmazione familiare.

2. L’uccisore di draghi di “Good Country People”

Nel racconto “Brava gente di campagna”[6.  Il titolo originale è: Good Country People. Pubblicato per la prima volta in “Harper’s Bazar”, giugno 1955.], Manley Pointer, il venditore di Bibbie, a un certo punto, nel copione di Joy, fa la parte dell’”uccisore di draghi”, anche perché se questo feconda le donne sterili[7.  Cfr. Eric Berne, op. cit.: “C’era una volta un uomo di nome George, che aveva la fama di uccidere i draghi, e fecondare le donne sterili. Andava in giro per la campagna, completamente libero, o almeno così sembrava. In un giorno d’estate, mentre cavalcava per i prati, vide in lontananza colonne di fumo e lingue di fuoco balenare verso l’alto”: p. 193.], Manley feconda l’anima di una donna con la gamba di legno.
Sia l’uccisore di draghi che il venditore di bibbie hanno, in apparenza, qualcosa del bravo ragazzo di campagna e, soprattutto, entrambi vanno in giro per la campagna, entrambi si rivolgono alle fanciulle rassicurandole: “Non temere!”
L’uno fa arretrare il drago; l’altro conquista la fiducia della donna: “Oh, mio eroe! Sono salva!”
Felicissima, nella fiaba, Ursula sta per assistere a un buon combattimento; Joy, nel racconto, pensa che può ormai aprire il cuore all’eroe, cioè fargli vedere come “si innesta la gamba di legno”.
Nella fiaba, arriva il padre dell’eroe, che, tra un salamelecco e l’altro, produce sdegno in Ursula e sonno nel drago.
Nel racconto, l’eroe beffa Joy che non è poi tanto dritta, come voleva far credere, e come, nella fiaba, dritta è Ursula che si consola col drago e grida all’eroe che va via col padre: “Peccato che sia così vecchio, l’avrei preso al posto tuo”[8. Ibidem: “L’uccisore di draghi, o il babbo sa il meglio”: pp. 193-194.].
Il falso venditore di bibbie non è un bravo ragazzo di campagna, oppure è la madre di Joy che, giocando a “Brava gente di campagna”, programma nella figlia il demone dell’uccisore di draghi che, invece, è un dritto che con la retorica de “il gioco della calza”[9.  “Il Gioco della Calza” appartiene alla famiglia “Violenza Carnale”. La sua caratteristica più eminente è l’esibizionismo, di natura isterica. Cfr. Eric Berne, A che gioco giochiamo, trad. it. Bompiani, Milano 1981: pp. 147-148.], sollecita nella donna mancata (o frigida) un impossibile esibizionismo facendole fare il “gioco della gamba di legno”[10.  L’esibizionismo dello “Stocking Game”, che ha come scopo di dimostrare che la gente è lasciva, commutato in “Gioco della Gamba di Legno” conserva il paradigma “autodistruttivo”, ma, è evidente, non concede nessun vantaggio alla parte, proprio perché non potrebbe mai essere esibizionista.
Il protocollo del copione di Hulga, che è inestricabilmente drammatico se non amartico, mi fa pensare all’interrogativo di I. A. Richards, che, nel 1936, nell’ambito de La metafora (continuazione), come sesta conferenza a Bryn Mawr, uno dei più famosi collages femminili d’America, si chiedeva “E quando un uomo ha una gamba di legno, questa gamba è letterale o metaforica?” e si rispondeva: “La risposta a quest’ultima domanda sarebbe che la ‘gamba’ è sia letterale sia metaforica. Letterale in un senso, metaforica in un altro” (I. A. Richards, La filosofia della retorica –1936-, trad. it. Feltrinelli, Milano 1967: pp. 110-111). La drammaticità del gioco è nella simultaneità letterale e metaforica della sottrazione; da lì, il protocollo del copione di Hulga non potrà mai avere, usando due concetti di I. A. Richards, né un “tenore” né un “veicolo”, che cospirino a realizzare un significato complessivo (per una parte della propria esistenza). “Se non riusciamo a distinguere un tenore da un veicolo possiamo provvisoriamente prendere la parola in senso letterale; se possiamo distinguere invece almeno due accezioni commiste, allora abbiamo una metafora” (ibidem): il dramma di Hulga è che il “veicolo” rubatole, che già le “veicolava” una metafora sempre triste, sarà ormai un “tenore” veicolato, non più da almeno due accezioni commiste inerenti la “gamba di legno” ma che, semmai, sarà veicolato da due accezioni commiste inerenti a “peliamo questa pollastra”, in cui il tornaconto, fatale al suo copione, è sempre “letterale”, drammaticamente letterale, questo, sì, senza alcuna metafora, anche perché il personaggio, in questa situazione nuova così veicolata, come potrebbe distinguere un “tenore” da un “veicolo”, essendo in uno stato di “castrazione” (un profondo e doloroso disordine) in cui è impossibile attuare una lettura intelligente e cauta per evitare gli errori connessi al suo veicolo (che è connesso sempre alla costellazione familiare)? Da qui, cioè da questa situazione nuova “veicolata”, cioè ancorata vieppiù alla costellazione familiare data nella situazione iniziale, si può scoprire, a proposito della metafora, non solo in questo “Good Country People” ma in tutti i racconti, in tutta la narrativa, di Flannery O’Connor, che, non solo, non vi è interazione metaforica, che dovrebbe realizzarsi attraverso rassomiglianze tra tenore e veicolo, ma che, non essendo mai l veicolo ridotto a mera decorazione o coloritura del tenore, quando la metafora appare è di tipo secondario, una parola descrittiva, che, perciò, non reca con sé mai due idee ma una soltanto. Non avendo intenzione di estendere la nostra analisi ai quattro possibili tipi di interpretazione del rapporto tra veicolo e tenore (almeno in questo saggio), chiudiamo la nota dicendo che è proprio questa virtù metaforica secondaria ad essere, forse, alla base di quello che abbiamo inteso come “punto-Unheimlich” (l’attante?) nei racconti di Flannery O’Connor.].
Joy, così, mentre sta facendo il gioco o crede di fare il gioco della gamba sfilata, è entrata invece nel gioco di Manley, che è “Peliamo questa pollastra”.
In Berne, si gioca seguendo le regole del pollo, che, alla fine, vince; in O’Connor, la transazione si risolve sempre drammaticamente o tragicamente: la pollastra che, poverina, non avrebbe niente di che farsi spennare o togliere, si fa, addirittura, togliere la ragione primaria del suo copione.
Così, Hulga non è una dritta; in effetti, stava giocando a “Prendetemi a calci”: non andava in giro con un cartello-feticcio così, costituito dalla gamba di legno, “Vi prego, non prendetemi a calci”?
D’altra parte, Joy con la madre giocava a “Spalle al muro”[11.  “Spalle al muro” è, nella casistica di Berne, un “Marital Game”, un gioco coniugale: lo spostamento d’uso di “Corner” (così lo chiama Berne) è un indizio, una sorta di punto-Heimlich, che contiene il tornaconto fatale al copione di Joy.], mentre la madre divulgava il copione “Quant’è brava la gente di campagna”.
Vince la madre: Hulga viene presa a calci, la gente di campagna non è per niente brava, ma sono i negri che sono ingenui, solo che la madre non sa ancora che il venditore di bibbie non vendeva bibbie, anche perché per lei non era l’uccisore di draghi.

 

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V.S. Gaudio

Saggista, poeta, esperto di giochi, testologo, articolista pataludico e titolare di rubriche per 15 anni della Walt Disney Company; ha pubblicato La 22a Rivoluzione Solare (1974),Sindromi Stilistiche (1978), Lavori dal desiderio (1978), L’ascesi della passione del Re di Coppe (1979), Lebenswelt (1981), Stimmung (1984), Hit Parade dello Zodiaco (1991),Manualetto della Manomorta (bootleg 1997), Oggetti d’amore (bootleg 1998); giornalista freelance dagli anni settanta, è stato il primo a produrre test per quotidiani (“La Stampa”, “Corriere dello Sport”); ha scritto satira per “Linus”, “la Repubblica”,”Tango”. Torinese e romagnolo d’adozione e di formazione, vive adesso solitario sibarita nel delta del Saraceno.