Tòch ëd crèja spotrignà
ancreus an tò cheur
as àussa l’arvangia.
Parèj ëd na vijà
ant në stabi veuid ëd breugg,
anvërtojà ant un chinché minciant
la vita an passa aranda.
S’un soastr cunant pendù ’n sël Nen
un buf ëd bisa frèida dun-a a dëstissa
giòle grignòire che ancó a veulo s-ciuplì.
Fermati, vecchio baro! Tanta tela
cela i tuoi fallimenti e i vani orpelli
roventi tra le incudini e i martelli.
Prometheus/Prometeo
Pezzo di creta spappolata/ profonda nel tuo cuore/ si alza la rivincita.// Come una veglia/ in una stalla vuota di muggiti,/ avviluppata in una lampada debole/ la vita ci sfiora.// Su di un canapo cullante sospeso sul Nulla/ un soffio di aria fredda subito spegne/ faville ridenti che ancora vogliono scoppiettare.
Prometeo è un titano, figlio di Giapeto e di Climene. A questo eroe amico del genere umano sono legati alcuni antichissimi miti che ebbero fortuna e diffusione in Grecia. Senza entrare nei dettagli, ricordiamo che egli rubò, per aiutare gli uomini, il fuoco a Zeus, venendone però punito: legato ad una roccia del Caucaso, ogni giorno un’aquila gli divorava il fegato, che miracolosamente gli ricresceva. Come narrato nella tragedia perduta di Eschilo Prometeo liberato, Eracle passò dalla regione del Caucaso, trafisse con una freccia l’aquila e lo liberò spezzandogli le catene.