Ti scrivo, in tempi di crisi è meglio gironzolare in velib per una Parigi stranamente assolata assolta da un’infausta umidità. Se non a dirsi altro: adesso come le bici affittano macchine elettriche. E senza obiezioni scontate sul nucleare.
L’aria qui è espansa.
Joseph su una chiatta beve fuma canta, accecato dalla donna dai Capelli Bianchi che gli arriva in sogno. Si tuffa, poi rientra dans le bateau, chez lui. Ricorda Anaïs Nin, i suoi vagheggiamenti e orge di jazz musica poesia (e psicoanalisi)…
Il y avait une fois quelqu’un qui parlait avec un accent de douleur.
Á la fin on savait qu’il était mort depuis 3 ans
(c’était bien une voix fantôme).
Il parco brulica di vite iridescenti e docili.
A rincontrarsi ci si mette poco, ma non in quel senso lì. In quel senso lì le cose vanno come possono, lontane lontane, fanno in tempo appena ad incrociarsi Bonjour, ça va? che subito riprendono rotta. A ricontrarsi capita una volta, riflessi gialli di pozzanghere, vento che si inarca tra le foglie, un portone cigola, un gatto corre, il gatto s’appelle Sartre.
Non lasciando, a maggior ragione, alcun indizio di follia.
Se appari di traverso l’ombra mi cade in acqua e per tornare devo mettermi a contare a più non posso passi indietro qui una poltrona lì sulla panchina a mappa spalancata,
ma dove sono?
(Désolée de n’être pas – jamais – où la volonté des autres m’oblige à voir.)
Non c’è che desiderio oscuro non c’è che l’ombra soave del sogno verso porte che si moltiplicano. Non c’è che la superficie tagliente di una Senna ingolfata. Riflessi oblunghi sulle correnti. Non c’è che frastuono addormentato, voci che parlano disincarnate. Non c’è che silenzio di prospettiva. Qui parle la voix ? (Est-ce que je suis la seule qui l’a entendu)?
Fantôme de l’eau, je te connais déjà.