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“Ci portiamo qualcosa da bere e da mangiare?” domanda Valentina.

“Non credo che occorra” risponde Jean-Jacques. “Per l’una, magari prima, tutto sarà finito, pranzeremo a casa.”

“Hai ragione,” dice Valentina “è meglio non caricarsi di roba”.

Sono buffi a quest’ora di notte Valentina e Jean-Jacques, scesi dal letto dopo poche ore di sonno, gli occhi un po’ gonfi ma vivi di quella luce che illumina con spavalda allegria il futuro di una giornata che si annuncia straordinaria.

Bisogna fare alla svelta, bruciare i tempi, arrivare primi. Una rapida cura del corpo, un caffè trangugiato in fretta, un abbigliamento semplice e comodo come per una gita in campagna, e via!

Del resto, non c’è proprio di che preoccuparsi: Jean-Jacques e Valentina sono una coppia giovane, non hanno figli, oggi è sabato, nessuno dei due deve andare al lavoro, la vita scorre felice. L’unica loro preoccupazione, caso mai, in questo preciso momento, è di fare il più in fretta possibile.

Queste le sole operazioni da eseguire: mettersi in macchina, raggiungere il centro della città di L., trovare parcheggio appena possibile, correre alla volta del luogo prestabilito, mettersi in coda insieme agli altri. E da quel momento aspettare l’ora x.

Valentina vola col pensiero. Jean-Jacques ripassa mentalmente il percorso. Vivono a soli trenta chilometri da L., ne conoscono benissimo le strade, ma è sempre meglio non distrarsi, evitare ogni errore e arrivare in tempo utile alla meta.

“Non avrai mica dimenticato la carta di credito” dice ansiosa Valentina quando ormai stanno imboccando il raccordo autostradale.

“L’ho presa, l’ho presa!” la tranquillizza Jean-Jacques premendo impaziente il piede sull’acceleratore…

 

Acquistare a un prezzo speciale un orologio da polso speciale è quanto si propongono Valentina e Jean-Jacques.

Il tam tam dei giorni scorsi ha ormai raggiunto tutti i piccoli e grandi collezionisti, gli amatori e gli speculatori vicini e lontani, di piccolo e grande cabotaggio. Si tratta del “Magic Time”, un orologio il cui cuore fa tic tac in una cassa di platino massiccio 950, antiurto e impermeabile, il più prezioso mai prodotto dalla fabbrica Start, famosa in tutto il mondo per il suoi coloratissimi orologi di plastica.

Quest’orologio è stato prodotto in una serie numerata e limitata di novemila e novecentonovantanove esemplari, ed è destinato a diventare sempre più prezioso per la sua rarità. Il countdown per il lancio del “Magic Time” è iniziato il 9 di settembre di questo stesso anno a New York con la contrattazione del prezzo. Da allora gli startisti di tutto il mondo hanno atteso con impazienza questo nuovo pezzo raro.

Per un accordo promozionale fra le parti interessate, il “Magic Time” sarà messo in vendita a tremila e trecentotrentatré franchi nel medesimo istante, in solo nove città del Paese, presso solo nove filiali della GranBanca che ha fornito il platino per la sua produzione.

Anche la più prestigiosa delle filiali della GranBanca, che ha sede a , custodisce un numero ristretto e segreto di esemplari destinati alla sua piazza. Il rispetto di precise regole di partecipazione consentirà al prezioso orologio di passare dal caveau della banca alle mani dei fortunati acquirenti. Poiché piccolo è il numero dei “Magic Time” a disposizione e presumibilmente elevato quello dei concorrenti, si potrà accedere all’acquisto a partire dall’ora prestabilita mettendosi rigorosamente in fila in base all’ordine di arrivo.

Jean-Jacques e Valentina vivono del loro stipendio. Dell’orologio in sé, non gliene importa molto. L’unica cosa che vorrebbero realizzare è il guadagno di qualche migliaio di franchi in un colpo solo, facendo il piccolo sacrificio di alzarsi nel cuore della notte e aspettare pazientemente in coda il proprio turno.

“Tremila e trecentotrentatré franchi non sono uno scherzo per un orologio” commenta Valentina.

“Magari lo rivendiamo subito a mille franchi in più!” dice Jean-Jacques. “È pur sempre un orologio con la cassa di platino.”

“Pensi ancora che dobbiamo prenderne uno ciascuno?” domanda Valentina.

“Se ci riusciamo, senz’altro. Potremo raddoppiare il guadagno”.

In effetti Jean-Jacques ha preso accordi con il signor Schwarz, proprietario di uno dei più grandi bazar di , che commercia di tutto un po’, ma negli ultimi tempi ha scoperto gli Start e ne ha fatto un misto di passione e business. Il signor Schwarz deve badare al suo negozio e di mettersi personalmente in fila per un “Magic Time”, neanche a parlarne. Ma è disposto a comprare a un prezzo maggiorato, per poi rivenderli a uno maggioratissimo, tutti i pezzi che gli verranno offerti.

La fatidica data è quella di oggi: 9 di novembre. La vendita dell’orologio scatterà alle nove in punto. Gli organizzatori hanno voluto giocare coi multipli del tre, e rendere magica l’impresa con quest’aria da cabala a buon mercato. Difatti oggi tutto è magico: è magico il numero, è magico l’orologio, è magico il tempo, è magico il mese, è magico questo sabato, sesto giorno della settimana.

“Peccato che non sia magico anche il mio conto in banca” dice Valentina pensando al suo stipendio mensile non proprio da capogiro.

 

È ancora buio. A quest’ora di notte l’autostrada non dovrebbe essere molto trafficata. Invece è un bell’andare di auto a tutta velocità in direzione di L., e Jean-Jacques fa una certa fatica a guidare, incalzato dal continuo chiedere strada degli altri automobilisti. Tutti vogliono sorpassare, nervosi e sprezzanti.

“Sembra un esodo estivo” dice.

“Vuoi vedere che è per l’orologio?” ridacchia Valentina.

“Non mi dire!” esclama Jean-Jacques.

Allo svincolo dell’autostrada, in prossimità dei semafori di smistamento, c’è una lunga colonna di auto, che avanza a piccoli scaglioni, impaziente ma ordinata.

“Dobbiamo bruciare i tempi al parcheggio” suggerisce Jean-Jacques, appena in marcia verso il centro.

La corsa al primo autosilo è infruttuosa. Tutti i piani sono zeppi di macchine. Jean-Jacques e Valentina non perdono altro tempo: decidono di posteggiare in periferia, meglio percorrere a piedi qualche chilometro di strada che ingolfarsi in andirivieni inutili.

La decisione si rivela saggia, ma la strada per il centro è proprio lunga. Quando finalmente, dopo una corsa affannosa, arrivano in prossimità del punto stabilito, l’alba – un’alba tiepida e serena – rischiara, già a vederla dal fondo, la massa variopinta e vociante di una interminabile fila di gente. È tutta assiepata nelle strettoie di un percorso transennato sotto la lunga teoria dei portici che conducono al “magico” ingresso della filiale della GranBanca, mentre l’occhio vigile del servizio d’ordine impedisce la ressa, evita il pigia pigia.

Jean-Jacques e Valentina vi si accodano guardandosi intorno perplessi. Il rapido esame della situazione e lo sguardo alla colonna che ora continua ad allungarsi alle loro spalle, li hanno subito convinti della difficoltà dell’impresa.

“Ma quando è arrivata tutta questa gente?” si chiede smarrito Jean-Jacques.

“Sarà qui da ieri sera!” esclama Valentina.

“Ha ragione” dice un tizio del servizio d’ordine, di là dalle transenne. “I primi della fila stanotte hanno dormito qui nei sacchi a pelo.”

“Cosa non si fa per uno Start!” ironizza Jean-Jacques.

“Vale la pena di mettersi in coda?” domanda Valentina in mezzo a tutto quel vociare e spintonare.

“Bisognerebbe sapere quanti pezzi ha a disposizione questa filiale” dice Jean-Jacques.

Davanti a Valentina c’è un signore di mezza età in abito scuro, da cerimonia:

“Ho sentito dire che i pezzi sono trecento” risponde socializzando subito con i nuovi arrivati.

“A me hanno detto che sono solo cento” lo corregge una ragazza da dietro le spalle di Jean-Jacques.

“Chi ve l’ha detto?” domanda qualcuno da qualche parte.

“Non credeteci,” spiega un giovanotto posizionato accanto al signore vestito di scuro “ci vuol poco a fare i conti. Mettiamo che, di tutto il contingente di orologi, alle nove filiali abbiano riservato solo duemila pezzi: duemila diviso nove fa duecentoventidue. Qui non possiamo contare su una distribuzione superiore”.

“Lo pensa lei,” interviene la ragazza “non è detto che siano solo duemila”.

“Hanno dovuto accontentare gli startisti di tutto il mondo” ribatte il giovanotto.

“Bisogna fare attenzione al numero tre,” riprende a dire il signore di mezza età “secondo me, i pezzi sono trecento”.

“Se sono trecento,” dice Jean-Jacques “possiamo pure tornarcene a casa. Qui davanti a noi ci saranno almeno cinquecento persone”.

“E se gli orologi fossero seicento?” dice Valentina. “Anche seicento è un multiplo del tre.”

Intanto cominciano ad arrivare alla spicciolata gli inviati delle televisioni, delle radio e dei giornali. Hanno gli occhi gonfi di sonno anche loro. Passeggiano su e giù all’esterno della colonna armeggiando con lentezza intorno agli apparecchi fotografici, ai registratori magnetici, alle videocamere portatili. Ma non appena scoprono, dalla massa di gente che si fa sempre più grande, la straordinarietà dell’avvenimento, diventano frenetici e loquaci, fanno scattare i flash, prendono appunti sonori, provano le voci e le inquadrature, danno un po’ di colore ai servizi.

Arriva anche l’ambulanza della Croce Verde, con un medico e due infermieri in tuta bianca. Si dispone in un piccolo slargo della via e lì ri­mane come dimenticata, mentre l’equipaggio, sceso a terra, inganna il tempo chiacchierando ora con gli incaricati del servizio d’ordine, ora con i rappresentanti della banca, ora con i giornalisti.

“Caffè, cioccolata calda, cornetti, panini imbottiti!” si sente gridare intanto vicino alla zona centrale della colonna.

È il ragazzo del bar sotto i portici che ha iniziato il suo primo giro con un’enorme cesta al braccio e, dentro, in bell’ordine, thermos, tazze e cucchiaini di plastica, bustine di zucchero, cornetti caldi e panini con prosciutto o formaggio.

Lo precede il proprietario del bar, un tipo allegro e prestante, che prende le ordinazioni, serve i clienti e riscuote il denaro.

“I generi di prima necessità non mancano!” esclama a ogni sosta sorridendo.

“Un caffè, per favore!” si leva una voce lontana.

“Anche a me, anche a me!” le fa eco un’altra ancor più lontana.

“Calma, calma! Ce n’è per tutti!” grida l’intraprendente proprietario del bar superandole con il suo vocione da baritono.

“A me un tè!” dice una signora in impermeabile bianco.

“Niente tè adesso,” dice il titolare del bar. “Se vuole, glielo faccio portare al prossimo giro.”

“Allora mi dia una cioccolata calda!”

“Anche un cornetto?” chiede il barista.

“No, sono a dieta” puntualizza la signora.

“Cinque franchi!” dice il barista, e intasca pronto il denaro mentre il ragazzo col cestone al braccio rilancia il richiamo: “Caffè, cioccolata calda, cornetti, panini imbottiti!”

 

La prima ora è passata velocemente. Ognuno ha avuto modo di prendere posizione spiando i movimenti degli altri. Poiché la colonna non è fatta da persone disposte in fila indiana, ma da file compatte di cinque o sei concorrenti, l’attesa induce a piccole manovre di aggiustamento sia per non farsi usurpare il posto sia per guadagnare, se possibile, una posizione migliore.

Alla destra di Valentina e Jean-Jacques c’è una signora anziana, imbellettata come un’attrice in scena. Tiene al fianco una voluminosa borsa di stoffa, con la quale cerca di aprirsi un varco infilandosi impercettibilmente fra l’ultimo della fila e la transenna. Jean-Jacques l’ha curata per un po’, poi si è distratto. Ma la manovra non è sfuggita a Valentina che infine sbotta:

“Ma lei, signora, non era nella fila di dietro? Perché vuol fare la furba? Torni al suo posto, per fa­vore!”

“Ma se mi spingono…” si scusa la vecchia con aria apparentemente mortificata. Però non si sposta di un millimetro, né saprebbe come fare essendosi ormai la fila ricompattata alle sue spalle. Perciò ne approfitta per consolidare la posizione conquistata.

“Che tipo!” sbraita furibonda Valentina.

“Che razza di gente!” le dà manforte Jean-Jacques chiedendo il consenso degli altri.

“Non spingete! Non spingete!” si mette allora a urlare uno degli addetti al servizio d’ordine esibendo il bracciale di identificazione con lo stemma dorato della GranBanca.

Anche nelle file più avanti dev’essersi ripercossa l’agitazione delle retrovie, perché di lì a poco si levano strilli e improperi che fanno temere lo scoppio di una colluttazione.

“Calma, calma, calma!” non fanno che gridare gli incaricati del servizio d’ordine.

“Non spingete, non spingete!” si sente ansimare qua e là lungo la colonna.

“Per favore, mi manca il respiro!” protesta una florida ragazza stretta d’assedio come una torre da quattro baldi giovanotti.

“Potrei addormentarmi in piedi come un cavallo, certo non riuscirei a cadere per terra!” afferma con gran solennità un mattacchione tondo e rubicondo.

“Per cortesia, per cortesia, per cortesia!” ripete uno del servizio d’ordine come un disco inceppato, tentando di farsi ascoltare. Inutilmente. Dal fondo rumoreggiano le file degli ultimi arrivati: qualcuno di loro fa girare la voce che la direzione della GranBanca, per rendere ancor più avvincente la faccenda, darà a tutti, ma proprio a tutti, dal primo all’ultimo concorrente, un biglietto d’ingresso numerato, e poi procederà a un sorteggio. Essere il primo o l’ultimo della colonna non ha quindi nessuna importanza: bisognerà solo essere presenti al momento dell’estrazione a sorte.

“Ma non diciamo sciocchezze!” protesta uno del centro colonna. “Voglio ben vedere se chi ha passato la nottata qui, davanti alla banca, sarà d’accordo con questo sistema.”

“Non solo chi ha passato qui la nottata, ma anche chi ha fatto una levataccia ed è già qui da più di due ore!” aggiunge Valentina guardando il suo vecchio Start di plastica colorata al polso, che segna le sette e mezzo; e ottiene subito il consenso dei vicini, arrivati tutti, minuto meno minuto più, alla stessa ora.

“E poi non erano queste le condizioni scritte ancora ieri su tutti i giornali” conclude una biondina minuta ma decisa, con piglio legalitario.

Il dubbio del sorteggio, diffuso a partire dal fondo, ha raggiunto le primissime file, che protestano subito con i rappresentanti della banca attestati all’ingresso. Dopo una rapida consultazione, questi si affrettano a smentire la notizia, che adesso rimbalza da un capo all’altro della colonna e sortisce l’effetto di sfoltire, di lì a poco, le file dei ritardatari. La coda così accorciata scarica su chi sta davanti le quasi disperate energie degli ultimi, provocando un pigia pigia ancor più soffocante che, come una risacca, va a lambire la testa della colonna. Da dove immediatamente si rinnovano le imprecazioni e gli inviti a non spingere…

 

I minuti trascorrono lenti. La stanchezza ha già cominciato a colpire i più deboli e i meno allenati. Una signora si è accasciata al suolo ed è stata raccolta, rianimata e avviata al pronto soccorso dai volontari della Croce Verde. Nel timore di fare la medesima fine, diversi concorrenti, singolarmente o a coppie, abbandonano l’impresa facendo così aumentare le speranze di chi invece tiene duro, in piedi come una sentinella insidiata dai nemici, incurante della stanchezza e della fame che si fa sentire soprattutto al pensiero del cestone del ragazzo del bar, il quale adesso va su e giù zitto e solo lungo la colonna, continuamente rifornito dal suo padrone e continuamente invocato a gran voce dagli accodati, senza però riuscire ad accontentare tutti con la primitiva tempestività.

“Sarà qualcosa d’imponderabile a decidere l’acquisto dell’orologio” rimugina dentro di sé Valentina come del resto tutti quelli che si trovano a metà della colonna e, non conoscendo il numero segreto dei “Magic Time” disponibili, dubitano di farcela ma coltivano il desiderio che chi sta nelle file davanti molli tutto prima di arrivare in fondo.

Si sente in bilico anche Jean-Jacques e sembra meditare il proposito di piantare tutto lì, dato che ogni tanto esclama: “Mah!” con l’aria più stanca e annoiata del mondo. Ma non trascura di sostenere Valentina che tutt’a un tratto pare vacillare, cingendole vigorosamente la vita con un braccio.

Basta questo a rincuorarli entrambi, mentre la loro attenzione viene adesso attirata dai richiami di un giovanotto, alto come un pertica e magro come un chiodo, che avanza in abito da spettacolo e va esibendosi con fare da imbonitore di piazza:

“Tutti lo vogliono, tutti lo cercano! Tutti lo cercano, tutti lo vogliono! Chi tardi arriva, male alloggia! Chi male alloggia… è meglio che cambi albergo! Ah! Ah!” si diverte lui per primo.

Indossa una giacca di lamé su dei pantaloni di seta nera e calza brillantissime scarpe di vernice. Porta al collo uno stupefacente papillon floreale che gli adorna una candida camicia dalla pettorina ricamata. La sua fronte è sormontata da un’enorme tuba nera che nell’incedere egli va cavandosi ogni nove secondi, salutando comicamente i presenti con un inchino:

“Buon giorno, buon giorno, buon giorno!… Signore e signori, buon giorno! E benvenuti allo spettacolo che la Start ha preparato per gli startisti più simpatici del mondo!”

Si ferma accanto a Valentina e domanda:

“Lei è qui da sola?”

“Si guardi intorno!” suggerisce ridendo Valentina.

“Quanta gente! Quanta gente! Quanta gente!” esclama a ripetizione lo showman. “Bisogna che tutta questa gente si diverta un poco! A me gli occhi, prego!“ dice atteggiandosi a prestigiatore e iniziando a esibirsi in un gioco con le carte. Prega Valentina di estrarre dal mazzo una carta a caso, rimischia le carte rapidamente e poi afferma: “Lei ha in mano l’asso di cuori!”

“Quando mai?” dice Valentina. “Io ho preso la regina di fiori!”

“La prego di non contraddirmi!” finge di sgridarla il prestigiatore. “Guardi meglio la sua carta!”

Magia! La carta è proprio l’asso di cuori.

“Come diavolo avrà fatto?” dice Jean-Jacques.

“Buon giorno, buon giorno, buon giorno!” saluta adesso alcune file più indietro il tizio, tirando fuori questa volta dalla sua tuba un’infinità di fazzoletti multicolori.

Ma ecco che, come per un’improvvisa scarica di corrente elettrica, la frenesia prende tutti indistintamente. L’impazienza è al massimo. Tutti si agitano, muovono i piedi e i gomiti, si spintonano e si pigiano più di prima, in mezzo a un vociare ininterrotto e assordante in cui ognuno vuol dire la sua e nessuno capisce niente. È quasi giunto il momento fatidico: fra qualche istante scatterà l’ora x.

Difatti alle nove in punto, come previsto, i rappre­sentanti della GranBanca e della Start danno il via alla distribuzione dei “Magic Time” in un tripudio di sospiri di sollievo e in un trionfo di spinte e controspinte. Sotto i flash dei fotografi e le riprese delle telecamere i concorrenti vengono fatti accomodare a uno a uno al piano terra della filiale, mentre una hostess pone loro in mano un numero d’ordine progressivo con il quale possono recarsi alla cassa, pagare la somma stabilita, scendere nel caveau dove sono custoditi i pezzi numerati del prezioso orologio, ricevere il proprio in consegna, risalire al piano terra e guadagnare l’uscita dall’altra parte della banca, con la legittima soddisfazione di chi ha coronato con un brillante  successo un’impresa disperata.

Il primo è uno dei ragazzi che hanno trascorso la notte nei sacchi a pelo sul tappetone di gomma steso davanti all’ingresso della banca. È raggiante di felicità e, mentre gli altri acquirenti non vengono presi in considerazione da nessuno, egli viene subito sequestrato dagli inviati speciali e sottoposto a una raffica di domande:

“Da dove viene? Quando è partito da casa? Quando è arrivato qui? Come ha trascorso la notte? Come ha provveduto alle sue necessità fisiologiche? È venuto da solo o in comitiva? Ha avuto momenti di particolare stanchezza? Che cosa pensa degli orologi Start?”

La sua faccia oggi sarà trasmessa in tutti i telegiornali e domani apparirà su tutta la stampa del Paese. Egli è felice ma frastornato, e a ogni domanda, stringendo in mano il “Magic Time” come un trofeo, riesce solo a mormorare: “Sono contento, sono contento, sono proprio contento!”

L’operazione, sulle prime, non sembra prospettarsi lunga: bastano pochi minuti a testa. E ognuno fa un rapido calcolo in base alla propria posizione all’interno della colonna.

“Accidenti,” esclama allora Jean-Jacques rivolto a Valentina “davanti a noi ci saranno fra quattrocento e cinquecento persone. Ci sarà da aspettare tutto il giorno”.

“E noi aspetteremo tutto il giorno!” dice risoluta Valentina con rinnovata fiducia nelle proprie forze.

Ma non è così per tutti gli altri. Il pensiero di dover aspettare ancora chissà quante ore in piedi spinge subito un bel po’ di gente fuori dalla coda.

“È un’impresa troppo crudele!” afferma qualcuno.

“Non dovrebbero lasciargliele organizzare, vendite così!” aggiunge un altro.

Ed è un intrecciarsi di osservazioni e considerazioni le più disparate:

“È un sistema taglia gambe!”

“Alla Start interessa che ogni vendita diventi un avvenimento memorabile!”

“Ma la Start li venderebbe ugualmente nei negozi, i suoi orologi, anche se costassero un occhio della testa!”

“E la pubblicità? Dove la mettiamo la pubblicità? Per la Start un avve­nimento come questo è tutta pubblicità gratuita! Guardate quanti giornalisti sono arrivati…”

“Senza dire che gli orologi, così, acquistano un valore maggiore!”

“A tutto vantaggio degli speculatori!”

Già! Gli speculatori! Valentina non prova nessun disagio a queste parole. Che male c’è? si dice. Se viene il signor Schwarz e ci fa concludere l’affare, stasera brinderemo a champagne! L’importante è riuscire a prenderli, questi benedetti “Magic Time”!

Ma la stanchezza è immensa. Le scarpette da ginnastica, se le sente strette: le gambe e i piedi sono gonfi.

Le ore si succedono alle ore mentre uno degli organizzatori, un giovane alto e deciso, dai capelli ricci e dai baffetti curati, scandisce progressivamente i numeri via via che un nuovo concorrente riesce a varcare la soglia della banca e la coda si accorcia sempre di più. Ormai la sfida con la stanchezza e con i numeri è alle ultime battute. Sono le tre del pomeriggio. Valentina non fa altro che contare e ricontare quanti la precedono. Se i suoi calcoli sono corretti, prima di lei e di Jean-Jacques ci sono solo sette persone: una coppia di giovani, la vecchia che chissà come è riuscita a guadagnare altre posizioni, un signore e una signora sui trent’anni, un ragazzo basso e tarchiato, e quel signore vestito in abito da cerimonia che sosteneva l’importanza del numero tre con bella intuizione perché non solo la quota del trecento è già stata superata, ma ci si sta avvicinando al numero trecentotrenta. E se il trecentotrenta sarà il numero finale, che beffa terribile per chi è a un passo dal traguardo! Il posto di Valentina corrisponde al numero trecentotrentuno e quello di Jean-Jacques al trecentotrentadue.

“Trecentotrenta” scandisce l’incaricato.

E il signore di mezz’età in abito da cerimonia si avvia all’ingresso: ce l’ha fatta anche lui. Con la voce incrinata dall’emozione, si volta indietro per spiegare ai compagni il motivo della sua presenza:

“Fra qualche ora si sposa una mia nipote, volevo farle un regalo di nozze davvero speciale!”

Ma chi è che lo sta più a sentire? Tutto accade in modo così rapido e confuso!

Il timore di essere tagliati fuori dalla conta dura però solo un attimo. L’incaricato, dopo una brevissima pausa, scandisce ancora:

“Trecentotrentuno.”

Valentina non vorrebbe andare avanti da sola, ma Jean-Jacques non fa nemmeno in tempo a staccarsi da lei: può raggiungerla subito con un balzo appena sente pronunciare anche il numero trecentotrentadue.

“Quasi per un soffio!” esclama, sentendo alle sue spalle l’incaricato dire: “Ultimo numero: trecentotrentatré!” in mezzo all’improvviso urlo di delusione degli ancora numerosi superstiti.

 

Quando Jean-Jacques e Valentina escono dalla banca con, in mano, gli astucci d’acciaio in cui sono custoditi i loro bellissimi “Magic Time”, si trovano davanti la folla degli startisti ad oltranza pronti a offrire cifre considerevoli pur di acquisire un esemplare del tanto agognato orologio in platino. In mezzo c’è anche l’inconfondibile figura del signor Schwarz, dal ventre prominente e dalle corte gambette, che subito si avvicina con il più avvincente dei sorrisi.

“Tremila franchi in più al pezzo” annuncia mettendo mano al portafogli.

“Per me va bene” dice Jean-Jacques, incredulo dell’insperato realizzo.

“E per lei, Valentina?” ha fretta di concludere il signor Schwarz.

Valentina è troppo stordita per dargli retta.

“Quattromila” alza l’offerta il signor Schwarz.

Ma Valentina è troppo stordita e stanca per dargli retta.

“Cinquemila” propone il signor Schwarz.

Ma Valentina è troppo stordita, stanca e al tempo stesso euforica per dargli retta.

“Seimila… Settemila… Ottomila… Novemila” incalza allora il signor Schwarz, preso da un’irrefrenabile, indispettita frenesia, mentre Jean-Jacques cerca di scuotere Valentina da quella matta indecisione.

“No, no!” dice lei, infine, del tutto incurante dell’immediato, incredibile guadagno. “Io, il mio, me lo tengo! Ho fatto troppa fatica per averlo! Non ho più voglia di darlo via…”

Angelo Maugeri