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Gli scriveva stando seduta sulla sabbia vicino alla risacca. Osservava il movimento delle onde e si faceva idealmente trasportare dal riflusso dell’acqua. Era la prima volta che scendeva sulla spiaggia a pomeriggio inoltrato. I primi giorni dopo il suo arrivo in Sicilia, aveva preferito lasciarsi abbronzare dal sole del mattino. Aveva bisogno di pensare a lui con maggior tranquillità. Gli diceva che la sua casa ‒ la casa paterna, la casa della sua infanzia e adolescenza ‒ era diventata un porto di mare, con tutto il viavai di amici e parenti, addirittura semplici conoscenti che si approfittavano di quella sua grande casa di vacanze. Non si poteva dormire né riposare. Le sue vacanze, ormai, le aveva massacrate. Proprio così, scriveva, massacrate. Per questo sarebbe voluta andar via da lì al più presto. Aveva bisogno di riposo e di qualche fuga. In un mese era uscita di casa solo due o tre volte. Il resto del tempo lo aveva passato sdraiata sulla spiaggia. Sperava di poterlo rivedere, anche se aveva paura di leggere nei suoi occhi che il filo magico che li aveva tenuti uniti si era spezzato. I suoi sentimenti non erano cambiati minimamente, al contrario quella lontananza forzata li aveva maturati e resi più forti. Gli ricordava che, invece, i sentimenti di lui, una settimana prima di decidere di non vedersi durante il periodo delle ferie, erano in crisi, non sapendo bene fino a che punto il loro ultimo incontro fosse riuscito a rinsaldarli. Gli diceva che quelle giornate le parevano interminabili. I ricordi la tormentavano, la nostalgia la logorava. Nelle sue lunghe ore pensava sempre a cosa lui stesse facendo proprio nei momenti in cui lei lo pensava; si domandava se anche lui la pensava qualche volta, se la amava ancora, se ricordava le ore felici trascorse insieme. A volte lei credeva di aver sognato tutto. Gli diceva che, se tutto era un sogno, avrebbe voluto tornare a sognare ancora e solo così tornare a vivere. Allora più che mai capiva quanto profondo e vero fosse il sentimento che la legava a lui. La lontananza le aveva confermato che non si era sbagliata ritenendo autentico e duraturo il proprio amore. In una delle sue poche uscite di casa, si era recata a G., il paese natale di lui, non tanto per visitare quel posto quanto per respirare l’aria di casa sua. Percorrendo in macchina la strada che ve la portava, un nodo le aveva serrato la gola pensando che quella era la strada da lui mille volte percorsa fin da ragazzo, prima di trasferirsi al Nord. Il Nord, gli diceva, era stato il loro punto d’incontro promesso dalla felicità, dalla vita che è bello vivere quando due s’incontrano e si amano. Fosse stata sola, avrebbe baciato ogni fiore, abbracciato gli alberi, e in silenzio qualcosa del genere furtivamente aveva fatto. Suo marito era in macchina con lei, poteva accorgersi di quel gesto da ragazzina innamorata, avrebbe potuto canzonarla o insospettirsi. In tutti quei mesi d’amore a Milano, glielo diceva per rassicurarlo, suo marito non si era mai accorto di nulla. Nel viaggio verso G. lei poi aveva ripetutamente accarezzato con lo sguardo le montagne rosicchiate dagli incendi molto frequenti in quella stagione. E gli diceva che in cima a una montagna ‒ la sua! ‒ lontana e sperduta, mentre era seduta in un piccolo bar di G., aveva visto non sapeva bene se una chiesa o un castello, insomma un edificio antico e diroccato, sbiadito nell’aria troppo azzurra: era stupendamente romantico, tutto ciò, alla luce incerta del giorno che svaniva. Aveva voluto pensare che fosse un castello solitario, un po’ nascosto fra gli alberi, il resto lo lasciava all’immaginazione di lui, poteva solo dirgli che in quel castello lei aveva trascorso parecchi giorni. Superfluo dire che non era stata sola… Da lui desiderava soltanto una cosa, quando avessero potuto rivedersi: dirle se la amava ancora, sinceramente, se gli era mancata, se un’altra donna nel frattempo aveva preso il suo posto. Del resto, se avesse voluto parlargliene, lei non gli avrebbe chiesto nulla di più. Sperava di essere stata chiara su quell’argomento. Smetteva poi di scrivergli perché era l’ora di tornare a casa, si era fatto quasi buio. Gli diceva che per lei, quella sera, il mare sussurrava mille frasi d’amore e lei le ascoltava estasiata («Sei tu che gli hai detto di dirmele? Io gli rispondo: “Sì, anch’io lo amo tanto, come prima, ancora più di prima: diglielo! Digli che conto i giorni del nostro ritorno a Milano!”»). Lo abbracciava forte forte e lo baciava, sua per sempre.

Nel post scriptum gli rinnovava ancora il suo amore e gli comunicava brevemente, per sincerità, che quando era andata a G. in macchina, con lei non c’era solo il marito ma anche un nuovo amico di famiglia, un giovane timido e taciturno che, chissà come, era capitato anche lui in casa, in quell’andirivieni di amici e conoscenti. Nessuna preoccupazione per lui: non era il suo tipo. Era ricciuto e di pelle scura, di media statura, ben fatto benché un po’ troppo magro, ma privo di spirito, un po’ troppo cupo. Ancora un bacio, per sempre sua.

 

In un’altra lettera gli ricordava («Caro, unico amore mio!») che aveva ascoltato la sua voce al telefono, in quella telefonata fatta nel primo pomeriggio quando tutti i suoi familiari erano sopraffatti dalla calura e assopiti nella siesta, e la sua gioia era stata così grande che era corsa subito in spiaggia per scrivergli nuovamente. Suo marito aveva udito lo squillare del telefono e le aveva chiesto chi fosse a chiamare. Lei se l’era cavata con una piccola bugia, ma la prossima volta bisognava stare molto più attenti. Non che il marito fosse sospettoso, solo che loro due dovevano essere più cauti. Gli diceva che era felice, addirittura euforica: aveva sentito bene ciò che lui le aveva detto? non si era sbagliata? Lui le aveva detto: io ti amo ancora, come prima! Se ciò era vero, chi più di lei poteva essere felice? Lei sapeva che era vero, perché anche lei sapeva ciò che provava per lui. Non aveva cessato un attimo di amarlo: lo amava ancora di più, e lui le mancava da impazzire. Forse, gli diceva, era meglio non tentare di vedersi lì, da lei, in quella grande casa dove venivano le persone più disparate, e quindi poteva capitarci anche lui, così, con una scusa qualsiasi. Non che lei avesse paura; semmai le era sembrato che fosse lui ad aver paura di una situazione del genere; lo aveva sentito dalla sua voce. Piuttosto pensava che avrebbero sofferto da morire nel doversi vedere per pochi momenti e poi per dirsi, davanti a tutti, delle cose banali, facendo finta di non conoscersi, quando, invece, si vorrebbe urlare di gioia! La gelosia la mordeva insieme alla nostalgia e ai ricordi, ma cercava di mettere in fuga i pensieri più neri, perché voleva credere in quello che lui le aveva detto e che ancora risentiva nelle orecchie come una musica melodiosa. Altrimenti come avrebbe fatto a vivere? Se un giorno avessero deciso veramente di lasciarsi, prima avrebbero dovuto imparare a dimenticare: in quel momento lei non avrebbe saputo come. Non riusciva né ad amarlo di meno, né a pensarlo un po’ di meno. Lei lo amava, lo avrebbe voluto ogni momento vicino per stringerlo e farsi stringere fra le braccia. Lo voleva così com’era, con tutti i suoi “difettacci”, con tutti i suoi timori, le incertezze, i piccoli egoismi, le esitazioni. La ripagava di tutte queste cose l’amore grande che solo lui le sapeva dare. Di suo marito era meglio non parlare («Pensa ai suoi affari anche da qui, telefona continuamente fuori, se non sapessi che si tiene in contatto con qualcuno dei suoi soci, potrei pensare che abbia un’amante!»). Gli diceva che lui restava per lei il suo “principe”, per lei non esisteva nessun altro al mondo, anche se molti la guardavano con occhi d’ammirazione e forse di desiderio, come quel ragazzo di cui gli aveva scritto nella precedente lettera («Ricordi?»), quel ragazzo triste, molto timido, che sembrava averne patite chissà quante. Intanto bisognava pensare al prossimo settembre. Da quello che avevano stabilito in famiglia, lei sarebbe andata a Rimini con i suoceri, mentre il marito sarebbe rimasto in ditta a Milano. A Rimini sarebbe stato più facile rivedersi: i vecchi suoceri, oltretutto, avevano i loro amici stagionali e le loro abitudini, le passeggiate, le partite a carte. Che ne pensava? Avrebbe potuto raggiungerla ogni fine settimana? L’autunno a Rimini si prospettava splendido dopo quegli insidiosi temporali di fine agosto. L’attesa diveniva dolce, lei non era più così disperata, come lo era soltanto ieri. Avrebbe voluto sapere molte cose che non riguardavano solo loro due, per esempio cosa avrebbe fatto col progetto del suo viaggio a Vienna, dove prevedeva di fermarsi per qualche settimana. Ma per saperne qualcosa in più avrebbe dovuto aspettare settembre e Rimini; discorrerne al telefono sarebbe stato troppo lungo, e poi con il marito in mezzo, no, proprio no. Lei non sapeva quando sarebbe partita, non sapeva decidersi. Concludeva con gli abbracci e i baci e le promesse d’eterno amore. Ah, dimenticava di dirgli che quel ragazzo, se ne ricordava?, trovava sempre qualche scusa per starle vicino, una volta si era fatto coraggio e le aveva chiesto così, a bruciapelo: «Ma lei quando va in gita, bacia sempre i fiori?». Finalmente lo aveva visto sorridere. Ancora baci e baci e baci. Sua per sempre.

 

Nella lettera successiva gli scriveva che il pomeriggio era rimasta in casa da sola, dato che i suoi, compresi suo padre e sua madre, erano andati a vedere il Festival del Cinema a Taormina: il marito li aveva accompagnati senza problemi perché anche a lui piaceva assistere a manifestazioni come quelle. Dalla loro casa a Taormina c’era appena una decina di chilometri, ma sarebbero tornati indietro in fretta, rinunciando allo spettacolo, se avessero trovato un traffico eccessivo: lunghissime colonne di automobili si sarebbero potute formare sui tornanti della strada. Per questo stava all’erta. Il telefono in quella situazione l’aveva tentata a lungo, ma lei aveva preferito scrivergli. Aveva composto diverse volte il suo numero: decisa categoricamente per il “no”, aveva preso carta e penna. Avrebbe voluto che in quei momenti lui avesse poteri magici, e venire a trovarla. Non sapeva quando avrebbe potuto impostare la lettera che stava scrivendo, volendola spedire da altrove, da una delle cassette postali dislocate nei paesi della costa. Quell’amore clandestino era pazzesco, ma aveva qualcosa di eccitante. Nella ricerca dei sotterfugi le pareva di essere tornata bambina quando con qualche bugia nascondeva le sue marachelle ai genitori. Adesso doveva smettere di scrivere perché aveva sentito un’automobile fermarsi sulla ghiaia del vialetto d’ingresso. Baci e ancora baci. Sua per sempre.

La lettera che aveva cominciato a scrivergli prima, gli diceva che l’aveva dovuta interrompere di colpo; ma ora la riprendeva con più calma, stando seduta sulla spiaggia. Non doveva preoccuparsi del motivo dell’interruzione. Semplicemente era venuto a trovarla quel ragazzo triste e timido. Aveva chiesto del marito e degli altri, e si era rammaricato di non averli potuti seguire al festival. Anche a lui piaceva vedere i divi e le dive del cinema sulla passerella del teatro antico. C’era già stato l’anno precedente e ne aveva ricavato un’impressione stranissima: le stelle del cinema, benché lì presenti in carne e ossa, a lui avevano fatto l’effetto di una visione egualmente cinematografica: un film tridimensionale, ma pur sempre un film, cioè qualcosa d’irreale. Le aveva chiesto se anche a lei era accaduto di fare una riflessione del genere. Lei aveva risposto di non averci badato, la sua era stata una partecipazione distratta. Le poche volte che c’era andata, ciò che aveva attirato la sua attenzione era stato la bellezza di alcuni giovani attori e l’abbigliamento delle attrici. Ma perché adesso veniva a raccontargli tutte queste stupidaggini? Gli scriveva che quel ragazzo aveva finito col fermarsi lì con lei, mentre dapprima pareva che volesse scappar via appena giunto. Pian piano si era messo a chiacchierare sempre più fitto, mentre lei veniva presa da un misto di stanchezza e interesse per quei suoi discorsi sul cinema, sui divi, e su dio sa quante altre cose che adesso non era proprio il caso di trascrivere («Sai come sono questi benedetti ragazzi!»). Intanto spediva questo séguito insieme con la lettera precedente. A presto. Non pensasse che lei smettesse di dargli sue notizie, lo amava troppo per poter lasciare che lui la dimenticasse sia pure per un istante. Con mille baci, per sempre sua.

 

Nella successiva gli diceva che stava attraversando un momento molto triste. Era piovuto e l’odore della terra bagnata, il cielo plumbeo e qualche solitaria foglia gialla, in quella stranissima fine d’agosto in Sicilia davvero fuori stagione, aveva infuso in lei troppa malinconia. Gli scriveva trasmettendogli quella malinconia quasi autunnale anche se il servizio meteorologico dava un’immediata ripresa del bel tempo. Non sapeva più se sarebbe andata a Rimini in settembre. Troppe cose le stavano accadendo insieme. Aveva a volte pensato a lui immaginandolo mentre baciava un’altra donna, mentre le sussurrava le stesse cose che era solito dire a lei nei momenti d’intimità. Lo aveva fatto molte altre volte prima, ed era un esercizio tremendo: la sofferenza le toglieva il respiro. Ma ora quel pensiero di lui con un’altra fra le braccia, le sembrava meno terribile. Le pareva un gioco di controfigure: era sempre lei quella che gli riempiva il cuore, non era così? Lui era stato il suo vero e grande amore della vita, tutto il resto per lei aveva avuto un valore molto relativo. Poteva crederle? E poi, era sincera, adesso, con lui, fin in fondo? Doveva scusarla per quest’aria di mistero, ma per adesso non se la sentiva di continuare a scrivere. A presto. Sua.

 

Davvero non era bello parlare di certe cose, così gli faceva sapere nella nuova lettera. La vita ha sempre in serbo qualche sorpresa in più. Quanto a lei, era reduce da una nottata insonne, davvero infernale. Era stata assillata da mille dubbi, divorata da mille rimorsi, verso tutti e tutto. Ma ecco in breve la verità, la nuda, lampante, inimmaginabile verità: suo marito sapeva tutto, aveva da sempre saputo tutto. Con l’aria sorniona di chi vuol coprire le proprie malefatte dando campo libero alla propria compagna, aveva seguito la loro avventura senza darlo a vedere. Anche quel ragazzo dall’aria smarrita e tenera era stato messo accanto a lei dal marito, perché la sorvegliasse o, come ora supponeva, la distogliesse da quell’amore clandestino, senza parere. Solo che… Be’, sì, adesso doveva proprio dirgli tutto: solo che, quella sera del festival, non era finita come gli aveva raccontato in precedenza. Il ragazzo era carino, dolce, e si era detto innamorato di lei, follemente, perdutamente. Stanchezza, debolezza, curiosità o che altro l’avevano spinta al gesto. Aveva preso a carezzargli i ricci dei capelli e, insomma, avevano finito con l’amarsi lì, nel soggiorno, come due adolescenti. L’indomani lui le aveva confessato l’incarico avuto dal marito, la cui perfidia superava così ogni immaginazione. Ma adesso ‒ lo supplicava nella lettera ‒ avrebbe mai potuto perdonarla? Avrebbe potuto lasciare che il ricordo del suo sempre grandissimo amore continuasse ad albergare nell’anima di lui, malgrado tutto? Era quanto sperava vivamente. E anche se quella lettera doveva essere l’ultima, lei avrebbe continuato a parlare a lui, nel segreto del suo cuore, per tutti i giorni rimanenti della sua vita. Poteva crederle? Sua, sua, sua per sempre.

 

Angelo Maugeri