gioco di specchi e rimandi tra artista e spettatore
L’artista che vi presento è Katrin Pujia, artista che ha esposto presso la Gallery Web Art Treviso, Arte Fiera Dolomiti Longarone, alla mostra sul gioiello “Artistart” a Milano, la Galleria Rizet Arsiè Ponte delle Alpi, International Vision Art Gallery con Vittorio Sgarbi, Galleria D.E.M a Mestre e ha partecipato a varie collettive d’arte tra le quali diverse a Spinea.
Partecipa a vari concorsi e riceve vari riconoscimenti come al concorso Russian Art Awards classificandosi seconda a Mosca all’ Esposizione al Salone Internazionale del mobile Milano, nel 2019 prende parte alla Collettiva “Do you want see? Deepness, aspiring the limit vapore, acqua e acciaio – Sommergibile Andrea Provatta” Torino, selezionata per Art&Cavallo Collettiva della Fiera cavalli di Verona.
Ho avuto il piacere di intervistare lei e il suo critico Christian Homouda e ho sentito il desiderio di dire la mia impressione alla visione del suo sito e delle sue bellissime opere.
Qui sotto il video dell’intervista:
L’arte può esprimersi in varie forme e la persona può parlare mille voci.
In questo modo un’artista può esprimere se stessa in modo molteplice.
Categorizzare o racchiudere un artista in una definizione non è il modo più corretto di porsi davanti all’arte contemporanea e spesso per comodità ci ritroviamo a definire un’artista scultrice o pittrice, ma la delimitazione tra i confini delle categoria è debole e come direbbe Leopardi: “Giunta al confin del cielo … Nell’infinito seno scende la luna”, cioè proprio lì dove il confine dovrebbe porre la parola fine si apre la porta all’infinito.
Katrin Pujia apre la porta della scultura alla video arte e al contempo alla fotografia realizzando la scultura con le mani, filmandone il momento creativo evento demiurgico e impressionando nella foto l’elaborato finito. Lo spettatore partecipa al pathos del momento della gestazione dell’opera, ne contempla luci e ombre interiori, ma anche del gioco sapiente creato da Katrin nella scelta dell’inquadratura.
Si tratta di un’opera nell’opera, un gioco di rimandi che rievoca similari in passato come Van Eyck con i “Coniugi Arnolfini” o Velazquez in “Las Meninas”.
In quelle opere lo specchio faceva da espediente tecnico ed anche da porta/tramite tra il mondo dello spettatore e del suo creatore, nel caso di Katrin il gioco di rimandi è attuato dall’obiettivo della videocamera.
Siamo al contempo spettatori osservanti ed empaticamente connessi alle emozioni provate dall’artista nell’atto di plasmare la creta, osservando la nascita della creatura, l’opera d’arte, tra le mani di Katrin.
Nel video della creazione di Ares, la furia dirompente della scultura, come si vede alla fine del video, nasce da atti delicati e sapienti e la trasformazione nell’impeto dell’animale si evince dalla fase finale di colorazione della scultura dove emerge la passionalità dell’animo dell’artista e il gioco con la luce negli spuntoni luminosi aggiunti in seguito.
Come la stessa artista ci ha raccontato questo intervento finale nasceva dal desiderio era quello di dare la potenza dell’animale e la luce divina del dio con piccoli tocchi di contaminazioni di materiali.
I materiali sono anch’essi parte di un linguaggio di contaminazioni di tipo tattile e visivo che caratterizza le opere dove la morbidezza dell’argilla incontra il potere del ferro e la potenza dell’oro rende iconica la regalità di un animale così docile, ma al contempo così impetuoso e virile.
Il rosso del colore finale è evidente richiamo al sanguigno della guerra e della battaglia che nella cultura greca era rappresentato da Ares essere divino, emblema degli aspetti più violenti della guerra e della lotta intesa come sete di sangue.
L’anima che urla è l’opera che meglio esprime la nostra rabbia di essere in questo momento richiusi.
Osserviamo dal video come piano piano l’artista crea questo viso in un atto di proiezione dove l’artista e lo spettatore si uniscono in un trasfert, trasmettendo all’opera ansie, paure e dolori che poi si trasformano in un piccolo essere demoniaco di natura diversa che si inserisce dentro la persona.
Questa macabra figura rappresenta l’emblema dei problemi che si attanagliano nell’animo di ciascuno per tediarlo, provarlo fino a farlo urlare di disperazione. I materiali si contaminano e si allontanano al contempo per rimarcare l’estraneità della provenienza.
I materiali delle opere di Katrin agiscono come entità che possono essere in conflitto come l’opera precedente o trovarsi in perfetta armonia, creando quasi un equilibrio di forze.
Un esempio è l’opera Amore e tormento dove una gabbia toracica del sentimento pulsante i materiali parlando con la loro superficie traviata e levigata come note di un componimento interrotte appena da note stridenti.
Nelle Parole senza voce osserviamo argilla e ferro contendersi il potere di parola senza giungere ad un compromesso ecco perché il motivo del titolo non è legato solo all’iconografica di un volto che non ha bocca, ma al desiderio di parlare e l’impossibilità del farlo che trova come unica fonte di comunicazione lo sguardo cosa che accade oggi con l’uso della mascherina in questo periodo pandemico.
In Expelliamus il bronzo viene espulso da un marmo che ricorda un torso sapientemente decorato come da un tatuaggio scultoreo. Assistiamo ad un atto catartico di “espulsione” del male interiore che attanaglia l’essere dall’interno.
Nel video della creazione si assiste quasi alle fasi del processo reale di un evento dove l’essere antropomorfo nasce, assume la forma massima del suo splendore per poi essere contaminato da un essere che pur uscendo dallo stesso pezzo non può farne parte.
Questo ci rammenta che in ogni essere c’è luce e buio e questa è una lotta continua verso la luce, privandosi delle parti oscure che possano averne corroso internamente l’integrità.
Questo binomio è ancor più evidente in un’opera del 2018 chiamata Lei dove la superficie della scultura purissima è scalfita da una ferita dal cui solco fuoriesce un liquido dorato forse essenza dell’opera stessa.
Nelle opere di Katrin i materiali diventano tutto: luce o ripiegamento interiore.
La scultura vive nella materia e a volte anche nello spazio come nell’opera Le linee del vento dove il ferro danza nell’aria alludendo al movimento della criniera di un cavallo in corsa.
La presenza dell’animale è resa nell’essenza del profilo appena accennato.
L’ opera diventa ludica nel suo muoversi, nel suo giocare con l’aria, la nostra fantasia, il tempo e lo spazio nella nostra mente di spettatori.
Ecco come dei cavalli diventano un pretesto per un rispecchiamento tra razionale e irrazionale, del proprio essere interiore, con la fantasticheria, la relazione con il tempo e lo spazio in cui viviamo adesso, l’ hic et nunc e il dasein di ognuno di noi.
Sito dell’artista:
https://www.katrinpujia.com/#page-top
Ombretta Di Bella