“Io nego radicalmente l’Essere, e dubito che sia possibile conoscerlo” afferma il siciliano Gorgia, maestro di eristica e critica, di sospetto e dubbio.
Non sono forse inconoscibili le verità spacciate per evidenze o i precostituiti giudizi di valore, l’assoluto realismo e il rassicurante provvidenzialismo, il desiderio, la speranza e la certezza, la consolazione, la felicità e l’infelicità, la fantasia, i sogni e le chimere, le analogie o il gioco bizzarro dei contrari, la ragione o la pazzia, la pietà e l’orrore, l’apparenza e la sorte, infine la cosiddetta ‘giustizia’ della Storia la cui metafisica lettera iniziale denuncia di per sé una sintesi mistificante ove trionfano i sistemi della contraddizione e dell’alterazione?
Non dire sì, non porre domande e non dare risposte, non interrogare né asseverare, tutto questo, non più mera negazione, non conduce nella signoria del dubbio dominata da un demone scettico, plasmato dall’orgoglio del disincanto e da una malinconia che lacera le stelle, ha bandito il frastuono, la strepitante protervia della ‘chiacchiera’, le stabilizzate certezze, gli stolti autoinganni?
Spesso, chi dubitando dissolve la propria stessa ‘presenza’ lo farebbe per salvaguardare la propria identità?… Dubito ergo abdico? Dubito ergo sum?
Indisponibile a ogni compiacenza e allo stentoreo giubilo, queste deformità nemiche dell’armonia, sovente il dubbio s’avvolge nella discrezione e in un silenzio carico di fremiti e significati?
Silenzio come lingua non proclamata e arte del dubbio, dove silenzio e dubbio si fanno eloquenti?
Poiché chi dubita dispone intorno a sé una quiete che vuole proteggere da ogni scoria o sproloquio la sostanza della parola e, certo, chiede ‘ascolto’ soltanto a chi ha orecchie per intendere?
Chi dubita non fa domande, ma dà risposte con un tacere né superbo né modesto, ma impassibile, che prorompe dal vuoto e attraversa come una lama l’entropia e il clamore del mondo?
Mentre allontana da sé i ricatti del kantiano ‘dover essere’ e il truce dispotismo dell’opinione comune, colui che dubita – questo tacito irresoluto non arreso all’assurdo e indisponibile ad assoggettarsi, supinamente adattarsi, ‘salvarsi’ – si libera tanto dalle panie del sistema di cose quanto dei propri luoghi stanziali e delle abitudini dell’‘abitare’, sradicandosi e ponendosi in cammino nei regni scoscesi dell’incertezza e dell’insicurezza, fino al rischio dell’esilio tra le pareti d’un opaco abisso?
[da: Stefano Lanuzza, Fragmenta, libro inedito]