Don Paolinu il 5 febbraio compie un mese. Un mese speciale, s’intende. Il primo d’un’infinita, felice, serie. Ne siamo certi.
Quel titolo di rispetto, quel Don, la dice lunga su chi sia il Signor Paolino: un agricoltore di lunghissima esperienza, in pensione ormai da tempo. Qui, a Vittoria, Don, sacerdoti a parte, sono proprio gli artigiani e i contadini. Sono loro a reggere tutt’oggi l’economia della città.
Persone come Don Paolinu ne sono la testimonianza. Persone come Don Paolinu hanno fatto la storia del nostro territorio. Preciso, SONO la storia del nostro territorio.
Egli ha attraversato quasi un secolo della storia locale (nasce nel 1927) immergendovisi pienamente sin da quando inizia la sua attività lavorativa, ovvero sin dall’età di 7 anni!
Don Paolinu, come la maggior parte dei suoi compagni, amici e parenti a Vittoria, non completa nemmeno il ciclo della scuola elementare, sebbene l’obbligo scolastico (elevato poi fino ai 14 anni da Gentile nel 1923) fosse già in vigore da decenni. Vittoria ha sempre presentato grandi difficoltà nell’avviare l’istruzione dei suoi bambini e futuri cittadini e Don Paolinu non smentisce la regola.
Il suo interesse principale è avviarsi al mondo del lavoro, quello agricolo, e lo fa dedicandosi fin sotto gli anni della Seconda Guerra Mondiale a ricogghiri magghiola (raccogliere i tralci delle viti), scavari e ncusturari favi (scavare il terreno, estirpando l’erba con la zappa, per creare un cuscinetto di terra affinché la piantina di fave si regga meglio, cresca dritta e maggiormente protetta), cogghiri aulivi (raccogliere le olive).
Verso i 14 anni si specializza nell’uso dell’aratro trainato dai muli, alle dipendenze di Don Titta Amorelli, noto proprietario terriero vittoriese, con il quale Don Paolinu stringerà un rapporto d’amicizia indissolubile.
A quei tempi, non esistevano ancora le serre a Vittoria, non si piantavano pomodori o altri tipi di ortofrutta che avrebbero poi contraddistinto in futuro lo sviluppo economico della città. Bisognerà attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’iniziativa coraggiosa quanto rischiosa di un ex jurnataru, Pietro Gentile, perché moltissimi contadini e coltivatori diretti, tra cui anche il nostro Don Paolinu, comprassero appezzamenti di terreno per dedicarsi alla coltivazione dei pomodori sotto serra, anche a costo di debiti e cambiali[1. Salvatore Nicastro, Vittoria e la sua gente, ed. Comune di Vittoria, Vittoria, 2007, p. 414.]!
Tale processo ha trasformato nel volgere di un decennio molti braccianti in veri e propri imprenditori. E se esiste una caratteristica del vittoriese, che lo contraddistingue e lo rende individuabile e riconoscibile all’interno dello stesso territorio provinciale, è proprio l’imprenditorialità.
Don Paolinu, quindi, continua a confermare la storia… certo, per lui, come per tanti altri, cambiare colture e strumenti di coltivazione non è affatto semplice, ma Don Paolinu non si arrende e sperimenta… sperimenta… e ancora sperimenta, finché dalle coltivazioni sotto i cannizzati[2. «Graticcio di canne un tempo impiegato per riparare dal vento e dal gelo le colture orticole primaticce», cit. S. Bucchieri, Dizionario del dialetto vittoriese, Baglieri Editrice, Vittoria, 2012.], e passando per le prime serre in canna, giunge anche lui alla realizzazione di serre in legno e paletti di cemento.
Siamo già alla fine degli anni Sessanta. Anni in cui, già sposato con la donna con cui avrebbe condiviso tutto il resto della sua vita in un matrimonio (ben 60 anni!) solido, duraturo e felice; già padre di una bellissima bambina, si trasferisce nel nuovissimo quartiere periferico Chiusa Inferno, sorto in quello che un tempo era chiamato U vuoscu.
L’abitazione, costruita col sudore della propria fronte, non differisce molto da tante altre case caratterizzanti il prototipo edile del suo stesso ceto sociale, che ancora oggi definiamo nel nostro gergo dialettale a casciuolu: sorge a piano terra, ha la tipica pianta rettangolare con un prospetto lungo 7 metri (in altri casi anche 5) e una profondità di 25 metri. Un lungo corridoio fiancheggia le stanze, che si susseguono una dopo l’altra, dalla più esterna, adibita a sala di rappresentanza, via via alle più interne, camere da letto, bagni e infine la cucina, che dà su un bellissimo orticello in cui Don Paolinu ama piantare rose freschissime.
Sono gli anni del grande abusivismo edilizio, anni in cui Vittoria si espanderà sempre più grazie al boom economico, anni che connoteranno fino ai giorni nostri l’aspetto urbanistico della città.
Ma Don Paolinu non è solo uomo dedito al lavoro e all’amatissima famiglia, è anche uomo capace di tessere rapporti sociali e amicali molto forti ed estremamente duraturi, fondati sul rispetto profondo dell’altro e su una “istituzione” sociale di non secondaria importanza: il rapporto di cumpariatu. Per chi non lo sapesse, infatti, il compare e la commare, ancora oggi, sono figure estremamente importanti nella vita della maggior parte dei vittoriesi, poiché costituiscono la dichiarazione ufficiale ed esplicita di un legame amicale o parentale che si fa ancor più stretto e presente nella vita dell’individuo.
Don Paolinu, che crede fortemente in queste relazioni, tesse pian piano una fitta rete di cumpari con i quali condivide il lavoro, le passeggiate e le lunghe chiacchierate in Piazza del Popolo o alla Lega di Miglioramento, le pause-pranzo nei giorni in cui va a Santa Tresa, vicino Acate, a cogghiri miennili e aulivi (a raccogliere mandorle e olive).
Sono amici di una vita, conosciuti durante i giochi d’infanzia e con i quali, durante gli anni del pensionamento, non si stanca mai di giocare a carte.
È con i suoi cumpari che vive gli anni delle grandi lotte e delle grandi rivendicazioni contadine, dal dopoguerra fino agli anni Settanta. È in lui e in molti altri colleghi e amici che si radica lo spirito comunista, che tutt’oggi, seppure meno sentitamente, contrassegna l’identità politica dell’agricoltore vittoriese.
Don Paolinu È la STORIA ECONOMICA E SOCIO-POLITICA di una città… ma Don Paolinu è anche TESTIMONE della GRANDE STORIA, quella che tutti abbiamo imparato a studiare dai libri di scuola e che ha toccato anche noi vittoriesi, da vicino, da molto vicino…
Mi piace chiudere così la storia di Don Paolinu, con l’aneddoto che più di ogni altro ama raccontare, forse perché lo ha reso protagonista di un teatro storico ben più grande della semplice vita che conduceva insieme ai suoi compaesani: la Seconda Guerra Mondiale e lo sbarco degli Americani in Sicilia…
…Perché gli Americani non sbarcarono a Trapani o a Palermo o a Catania… ma sbarcarono proprio a Scoglitti e a Marina di Acate (più nota come I Maccuna) e attraversarono proprio Vittoria:
«Quannu trasierru i Miricani, ni truvavumu a Santa Tresa, nni Ron Titta Amorelli, a metiri u granu. Tutta n’a vota vittimu l’apparecchi vulari vasciu… Ron Titta Amorelli nni l’avia rittu ca ntisi riri ch’e Maccuna trasierru i Miricani. Ma iddu e macari niautri pinzammu: “Su’ minchiati! I Miricani propriu ri ccà an’a ttrasiri?!”.
Mancu u finiemmu di riri ca l’apparecchi accuminzarru a sparari ch’e mitragghiaturi e virieumu i bussolotti ca partienu dall’apparecchi e arrivaunu n’terra, ca a stessa ristuccia pigghiava a fuocu!
Certu… u sa’ chi succiriu?!?! Na maschetterie!! Scappammu tutti e lassammu i stessi viesti mpaiati. Arrivammu e casi, no bbagghiu, e ci fu cu s’impilau sutta e carretta, cu si trasiu no stadduni e cu intra a carritterìa.
Ron Titta Amorelli (chiddu facia moriri!) appena vitti i carretti pusati no bbagghiu ccu l’asta all’aria, subbitu ni rissi: “Calati i carretta!! Allivoti ch’all’apparecchi ci parunu cannuna!!”
I Miricani sparaunu o Vischiri, ca c’era na postazion’i tedeschi. Passarru na para r’urati ca n’i vittimu apprisintari no bbagghiu.
Appena arrivarru, ni siccammu!! Rapierru i zaini e… … sdivacarru caramelli e sicaretti mericani!
C’era n puzzu no bbagghiu i Santa Tresa e i Miricani ficinu nzinca a mo’ cumpari Giuanni di tirari n sicciu ccu l’acqua ppi putiri viviri. Mo cumpari abbiau u sicciu no puzzu e u tirau cinu r’acqua. Allura u surdatu miricanu ci fici nzinca a Giuanni ri viviri prima iddu ppi tastari l’acqua e capiri se si putia viviri.
Mo’ cumpari, inveci, nun capiu nenti, allura Ron Titta Amorelli, ch’avia caputu chiddu ca vulia sapiri u surdatu, si partiu ri sutta o carrettu, unn’era ammucciatu, e si cci anfilau tutta a testa intra o sicciu, ammuoddu i l’acqua, ppi farici accapiri ca l’acqua si putia viviri! I Miricani appena u vittinu, o stessu, macar’iddi s’anfilarru a testa no sicciu e si misiru a viviri».[3. Quando sono arrivati gli americani, ci trovavamo a Santa Teresa, da Don Titta Amorelli, a mietere il grano. All’improvviso, mentre stavamo mietendo, vedemmo gli aerei volare a bassa quota. Don Titta Amorelli ci aveva riferito che aveva sentito dire che gli americani erano sbarcati a Marina di Acate, ma lui e anche noi avevamo pensato: «Sciocchezze! Gli americani proprio qui devono sbarcare?». Non l’avevamo neanche finito di dire che gli aerei cominciarono a sparare con le mitragliatrici e i bussolotti che partivano dagli aerei, arrivavano a terra facendo prendere a fuoco la stessa stoppia. Beh, lo sai che cosa è successo?!?! Una vera e propria tempesta di rumori assordanti!! Fuggimmo tutti, lasciando gli stessi animali attaccati ai carri. Giungemmo al casale e, all’interno del cortile, ci fu chi si nascose sotto i carretti; chi entrò nelle stalle, chi nei garage adibiti ai carretti. Don Titta Amorelli (era proprio buffo!) non appena vide i carretti con le aste puntate verso l’alto, ci disse in fretta: “Abbassate quei carretti!! Non sia mai credono siano cannoni!». Gli americani sparavano ad Acate, perché lì c’era una postazione di tedeschi. Dopo un paio d’ore giunsero da noi, nel cortile del casale. Non appena arrivarono, ci sentimmo morire! Aprirono i loro zaini e… … li svuotarono, tirando fuori tantissime caramelle e sigarette americane. C’era un pozzo nel cortile di Santa Teresa e gli americani fecero segno a compare Giovanni di tirar su un secchio d’acqua per poter bere. Il mio amico scese il secchio nel pozzo e lo tirò su pieno d’acqua. A quel punto, il soldato americano fece segno a Giovanni di bere lui per primo, per verificare che l’acqua fosse effettivamente potabile. Il mio amico, invece, non capì nulla e allora, Don Titta Amorelli, che aveva inteso quello che il soldato voleva sapere, corse dal carretto sotto cui era nascosto e immerse tutta la testa nel secchio per fargli capire che l’acqua era potabile! Gli americani non appena videro il gesto, anche loro, fecero altrettanto, immersero la testa nel secchio e iniziarono a bere».]
A Don Paolinu
con tanto affetto…