La madre di Gilles sollevava improvvisamente la testa dal vassoio su cui la teneva poggiata, senza tensione. In quel momento gridava «iiii!», oppure, «aaa!». Il ragazzo ogni volta le andava incontro a passi svelti e prendendole la testa tra le braccia la accompagnava emulando il suo grido. Così soltanto la madre, invecchiata, si calmava.
Gilles era un celebre fisico canadese, conosciuto negli ambienti accademici più per le sue teorie ritenute inverosimili e paradossali, che per il suo indiscusso genio. Negli ultimi mesi di attività, i rapporti con i colleghi si erano fatti sempre più tesi, fino al 2 agosto 1983, giorno in cui Gilles aveva deciso di lasciare definitivamente l’accademia e di ritirarsi nel suo complesso di laboratori privati, collocati all’interno di un antico e poderoso casale nella campagna del sud-est.
Tra le tante teorie di Gilles, quella che più di tutte aveva destato scalpore era legata alla possibilità di spostarsi nello spazio-tempo. Proprio su questa, Gilles, stava investendo più energie che su tutte le altre. Nella sua vita privata oltre alla madre e al padre, lo scienziato aveva avuto un fratello più grande: René. Questo era stato arrestato il 20 settembre 1975 per omicidio e, di lì a poco, condannato all’ergastolo. In carcere, il 4 aprile dell’81, era morto. L’uomo fu trovato appeso al lenzuolo arrotolato come una corda e annodato come un cappio.
Quando la madre venne a sapere dell’arresto, fu colta da un attacco isterico ed entrò in un misterioso e lungo sonno dal quale si risvegliò solo un mese dopo. Ebbe una brusca ricaduta quando le fu comunicato l’esito del processo che coinvolgeva il figlio, fino a giungere alle condizioni disperatissime in cui avrebbe annaspato per il resto della vita. Gilles aveva diviso d’allora in poi le sue energie tra gli studi e il supporto fisico e morale alla madre, ma, con gli anni, la sua stessa salute si trovò frequentemente sul punto di vacillare. L’uomo non si era mai dato il tempo per costruirsi una vita comune e, così, era rimasto solo. Non essendo un medico, ma un fisico, tentò di trovare nel campo della fisica la soluzione.
Dedicò anima e corpo al suo progetto più ambizioso e proprio durante una delle notti successive alla sua decisione di chiudersi nel casale di famiglia, in una delle interminabili sedute d’esperimenti e fabbricazioni, il suo sogno di realizzare una macchina per spostarsi nello spazio-tempo si realizzò. Decise di sperimentarla immediatamente. Si recò quindi dalla madre che dormiva nel suo letto e la salutò baciandola in fronte.
Tornato in laboratorio, entrò nella macchina, immerse le mani in una sfera liquida e si spostò nel tempo fermandosi al 16 giugno 1948: il giorno in cui i suoi genitori si erano sposati.
Atterrato in un bosco, scese dalla macchina e la nascose come meglio poté tra gli arbusti.
Arrivò nel piccolo villaggio disabitato, dove in una minuscola e malridotta chiesetta di legno, i due futuri genitori sarebbero dovuti giungere a breve per sposarsi in segreto, così come gli era stato narrato dalla madre. Trovò la chiesa immediatamente e ne varcò l’ingresso.
Ciò che Gilles sapeva era che i due si sarebbero uniti in matrimonio quel giorno e che poco più di nove mesi dopo sarebbe nato suo fratello René, il maggiore.
Il matrimonio sarebbe stato celebrato a mezzogiorno e lui era riuscito ad arrivare lì un’ora prima. Giunto forse troppo presto dal futuro, decise di uscire a osservare il villaggio.
Il luogo era totalmente abbandonato e in uno stato penoso. Le casette erano quasi tutte state danneggiate dalle raffiche di vento e, soprattutto, dalle grandi nevicate che le avevano appesantite, senza che qualcuno si fosse preso l’onere di salvaguardarle e di dedicarvi la giusta manutenzione. Questa trascuratezza era stata decisiva.
Gilles finì presto il suo tour esplorativo e, nervosamente, preferì ritornare in chiesa piuttosto che attendere all’aperto. Non sapeva se nascondersi da qualche parte o aspettare, semplicemente seduto su una panca, che i genitori arrivassero. Il suo piano consisteva nel convincerli a non sposarsi e, anzi, a lasciarsi, e per fare questo era pronto a usare qualunque mezzo. In questo modo, nella sua logica, suo fratello non sarebbe mai nato, neppure lui, e i suoi genitori avrebbero potuto vivere una vita diversa e salvarsi, seppure divisi.
Il padre, non di meno della madre, aveva avuto un crudele destino. Otto anni dopo la nascita di Gilles, René fu coinvolto in un incidente nel fiume del villaggio e il padre corsogli incontro per salvarlo era morto affogato. La madre, sempre a causa del fratello maggiore, come vi ho già raccontato, era divenuta pazza.
Gilles si nascose dentro la chiesa e attese.
Il prete e i due sposi, che allora erano ancora due ragazzi, arrivarono su di una carrozza scoperta. Lo sposo teneva le redini e le faceva schioccare abbastanza vigorosamente, cosicché Gilles poté sentirne il suono già a una certa distanza. Il prete sedeva accanto al conducente, mentre la sposa sedeva sola alle loro spalle, assorta nell’osservare il mazzo di fiori gialli e rossi che teneva tra le mani.
Giunta innanzi all’ingresso della chiesa, la carrozza si fermò. Lo sposo scese. Indossava un pantalone blu elegante e una giacca, la camicia bianca con un cravattino azzurro. Aiutò il vecchio prete a scendere e si accostò alla sposa seduta sulla carrozza.
Il sacerdote entrò lentamente in chiesa, guardingo, scrutando che non ci fosse nessuno nei paraggi che potesse creare noie.
Il futuro padre di Gilles sorrideva, col viso bianco e imperlato dal vigore giovanile. Col braccio forte e il corpo atletico che esprimeva tutto l’ardore per quell’evento unico, accompagnò la discesa della sposa. La madre di Gilles portava tra i capelli castani dei fiori bianchi: margherite. Il viso era appena levigato da pochi colpi di cipria, le mani avvolte in guanti bianchi e il corpo protetto da un leggero e modesto abito color panna. Il volto era splendente, magnifico e vitale, puro e privo di qualunque traccia di una qualche malattia, che fosse persino il tempo. Gilles non l’aveva mai vista così. Si sentì colpito profondamente dalla visione dei suoi genitori, uniti e felici, allegri e solenni come non li aveva mai percepiti.
Lo scienziato si era nascosto dietro una finestra rattoppata da assi di legno che lasciavano passare sprazzi di luce attraverso cui poter guardare fuori. Profondamente assorto nell’esaminare ciò che accadeva, a un tratto si accorse d’essere osservato. Si voltò di scatto verso l’androne della chiesetta e si rese conto che il prete stava con insistenza scrutando l’angolo buio in cui se ne stava acquattato. Un qualche rumore o l’ombra del suo corpo, dovevano aver destato l’interesse del sacerdote. L’oscurità occultava però fin troppo bene il corpo longilineo dell’uomo che era venuto dal futuro a nascondersi e, così, il prete, persuaso che non ci fosse nessuno nascosto, si avviò verso l’altare.
Gilles si voltò nuovamente verso le fessure della finestra e si accorse che gli sposi si erano arrestati dinanzi l’ingresso e che, tenendosi per mano, si guardavano. Nessuno dei due sorrideva e nessuno dei due era triste, semplicemente rimasero muti, fissandosi a lungo e profondamente, come se non ci fossero sentimenti da dover esprimere, sorrisi o lacrime da mostrare, come se si apprestassero, con la naturalezza che è propria dei miracoli, a divenire una cosa sola. Si rese conto, Gilles, che i suoi genitori si amavano più di quando lui immaginasse.
Gli sposi entrarono in chiesa e il prete suonò la campanella che teneva in una mano. Per Gilles, che aveva atteso il momento propizio per agire, l’istante giusto era arrivato, il momento migliore era lì davanti a lui, lo avvolgeva, lo sommergeva, gli imprimeva la pressante voce della necessità; eppure non si mosse. Restò immobile e, anzi, guardò gli sposi passare lentamente davanti a lui, fino all’altare.
Ascoltò tutta la celebrazione, che a dire il vero fu davvero breve, e, quando terminò, vide i genitori uscire dalla chiesa e risalire in carrozza. Lo sposo fece schioccare le redini di cuoio sulla spessa pelle del cavallo e quello partì. La carrozza prese presto velocità in direzione opposta al vento che raggelava il volto piangente di gioia del giovane.
La sposa consolava le sue lacrime dolci con i petali dei fiori che si portava al viso delicatamente.
E Gilles? Beh! Attese immobile che anche il prete uscisse dalla chiesa, ma quello, quando fu vicino alla porta si voltò lentamente verso di lui e lo chiamò: «Ragazzo. Ti sei innamorato di quella donna? Tutti ci siamo innamorati di qualcuno prima o dopo, ma se non accetti di poter perdere la persona che ami, allora non potrai mai accettare d’amare. Amare e perdere sono due cose indivisibili, come nascere e morire.»

© M. Chagall, Cantico dei Cantici IV, 1958
© M. Chagall, Cantico dei Cantici IV, 1958