Art is at once surface and symbol.
Those who go beneath the surface do so at their peril.
Those who read the symbol do so at their peril.
Oscar Wilde
L’ambulante si aggira per le strade del paese, trascinando con lentezza la carriola di vimini sfilacciati, Si riparano bambole grida al posto dell’arrotino e a guardare bene dalla finestra non è dalla sua bocca, socchiusa dall’arsura, che proviene l’invito, né dal suo volto raggrinzito e scuro.
Si riparano bambole e bambolotti, occhi di vetro e parrucchini, vestitini coi merletti e stropicciati, l’ambulante spinge i pesi amputati ammassati nello spazio concavo del suo cestino a rotelle: dalle facce di bambole immobili accatastate sotto il sole rovente la voce si alza e chiama, affacciatevi tutti busti mani gambe e piedi in cerca di nuova dimora, un altro corpo sia o un’altra mente un cuore a ricomporvi…
A Catania, circa un paio di mesi fa, è stato occupato un Teatro che fu. Sotto forma di protesta, gli occupanti che agli occhi delle bambole (e bambolotti) allora potevano apparire beatamente anonimi, i contorni sfalsati in fuori fuoco, braccia e gambe fluide visioni, nel megafono di un manifesto invitavano a sostenere la ricostruzione del teatro di tutti: del quartiere, della città, Dei Cittadini, dei randagi, degli artisti. Il palco è vostro, prego prenda posto: famiglie strampalate senza autore, biricchini pop, maschere vocali, Charles Bukowski (o Baudelaire), musica anni ’30 e Carnevale, cantate a più non posso voi stonati, violini e violoncelli, viole e tamburelli, specchi e musicanti, anche solo il pensiero potrebbe accomodarsi, una risata che dura quaranta minuti, illuminata sembra vuota, comincia piano piano e ti sconquassa, ballate ballerine sconquassate, pattinatrici ciclistiche, clown appariscenti, capriole da funamboli inspirati, segate travi e sedie, benvenuti agli sgabelli, gambe di legno fili di ferro burattino (quando ritornerai…), divani cuscini e mattonelle, sotto il cappello a cilindro, gatti con gli stivali, nel frattempo, pinzettate i vostri avvallamenti, tirate su scenografie, piastrelle polvere e cementi per fare la pipì nel water, che non dicano ‘ah quegli gli incoscienti’, l’arte al servizio di tutti. Belli brutti, vecchi e giovani, vento e pioggia, anche la pioggia è benvenutacalendarizzata, sottoscrivete, ingresso a discrezione personale, è la coreografia dell’acqua: venti centesimi tondi tondi attorno all’isola del Tonal, un euro forse due se sei più ricco, benvenuti ricchi e poveri, nomadi e viandanti, pellegrini, sciamani ruminanti, finanziamo la ricostruzione del fumo, lo – svanirsi – abituale, benvenuto anche Lucio Dalla (una farfalla blues ti si posi in mezzo agli occhi) a dimostrare la bravura, contromisura al confine di una banconota, contro lo stato la regione la fortuna di chi è più fortunato (sempre meno bravo!), offriamo al popolo alla massa un nuovo esempio: autogestione autofinanziamento autoproduzione autoricostruzione, sistema orizzontale, rivoluzione che parte dal basso dell’Italia e dal basso si diffonda con sussurri (shhhhhhhhh chi troppo parlò, brutta fine fece). Trapanate viti e chiodi spalate il mondo riduttivo firmate la storia che scriviamo, giorno dopo giorno, nelle cuciture del sipario che si alza, ombrelli scendono dal letto come lacrime gioconde, pois di perdizione, mura pitturate, secchi di colore gettati al pavimento (rosso sangue calpestato), il fumo è pronto, ora c’è da programmare e diradare… Le famose Sfocature…
Io sì tu no tu nooooooooo Io Sì Lui sì, tu Nooooooo, Signori e Signori l’open stage dei Veri Artisti di Catania ha aperto i suoi portali: alle decisioni orizzontali prese in cinque (e forse sono troppi come i volti delle bambole ambulanti sotto il sole: le quali vedono, dal vetro delle loro verità, le quali parlano). Date A Cesare Quel Che è Di Cesare, E Alle Bambole Quel Che è Delle Vostre Bambole, sostengono puntando Cesare contro il sole, a muoversi nel suo regno d’ombra, il mantello scuro che svolazza, lunghi radi capelli grigi, tacchi di stivali onnipresenti (risuonano i suoi passi fatiscenti nel teatro di fumo che svanisce, anche quello, sotto il peso di occhi sbilenchi, quasi cadenti, grigi anch’essi), uno sparviero a inno della sua coscienza: lo spazio necessita dominazione alata (così lui vuole, dove poca luce passa tra le grate della mente che crede di poter tutto da sola, essere persino la luce), necessita la mia Virtù di Selezione, l’ampiezza di un olfatto dominatore, oscuro per risplendere da solo, sono il re prescelto dal dominio: è evidente, da chi non mi appartiene e si ritira, fuggitivo (ahahahah, bastava poco, aprire un catenaccio e scoperchiare il baule di Pandora, scatenare la fuga di ‘cervelli’ it sounds like should we always be in italy? dentro un Teatro e) all’aria aperta, detesto gli artisti corpuscolari. Amo i miei inferiori, La Donna Dalle Due Parole e Basta (sì padrone), l’applauso che si ripete ogni due secondi (nessuno sa da dove proviene o come è stato schiavizzato), il Nano Nato Lì che predice, in frac, gli occhiali a rombo più grandi del suo volto intero, un futuro infausto del cinema, nel regno del buio (chiude le porte fingendo di aprirle, da illusionista: e un po’ di spazio è anche suo).
È il Teatro di Tutti, raccontano le bambole mentre un campanello finalmente invita l’ambulante a fermarsi sotto l’ombra di un balcone interessato, sosteneva Cesare prima di cominciare. Ma si sa.
E le bambole dicono bugie.