(tre e mezza)
Malcom seduto distratto in cortile, sedia al muro, schiena alla sedia. Intorno un sole arido brucia la terra, tiene a bada la polvere e la rende del colore dei suoi capelli. Sua madre da dentro casa non può vederlo ma non lo farebbe comunque, almeno non oggi. Sussurra “che ore sono secondo te?” senza distogliere lo sguardo da un punto fisso davanti a lui, “alle quattro ho la partita, per questo sono vestito così, sto aspettando il pulmino, mi sembra in ritardo”, poi divaga, abbassa lo sguardo, arrossisce un po’ “sono giorni che ti vedo qui fuori, più o meno a quest’ora, ma non sapevo come uscire. Poi il mister mi ha detto della partita ‘mi raccomando Malcom alle tre e mezza passiamo a prenderti, fatti trovare fuori’. Le tre e mezza è il tuo orario, questo lo sapevo. Devo aver cambiato colore perché il mister mi ha detto ‘adesso che fai, ti emozioni?! Ero sicuro che sotto sotto di giocare ti importa!’, in realtà immaginavo solo questo istante, e per tutti i giorni a seguire ho controllato che tu venissi e non hai saltato un giorno, per fortuna; solo martedì hai ritardato ed io da dietro la finestra della cucina continuavo ad aprire e chiudere il frigo sperando mia madre non entrasse, sperando di non dover veramente versarmi un bicchiere di latte, sperando di non dover tornare in camera mia. Poi ti ho visto costeggiare il muro nel lembo di ombra, come sempre, allora ho chiuso il frigo l’ultima volta e sono andato di là pensando che mancavano tre giorni a venerdì. Che poi non so perché ti sto dicendo queste cose, io non parlo mai, di solito, e non so neanche perché ho voglia di vederti, forse perché so che non te ne importa niente e che non mi farai domande, non mi dirai che ti sembra una buona idea che io giochi a calcio come gli altri bambini e che non posso sempre starmene lì a fissare il muro e a temperare le matite”.
(otto e un quarto)
La tovaglia blu a fiori gialli e al centro un polpettone con le patate. “Stasera si festeggia la prima partita di Malcom”, il padre in piedi con il bicchiere dell’acqua sopra l’orecchio “allora com’è andata? Ancora non ci hai detto niente”. La madre seduta muove nervosamente le posate sopra il piatto “ti ho anche preparato il tuo piatto preferito, su raccontaci qualcosa, avete vinto? Tu quanto hai giocato?”. Il padre tornato di nuovo seduto “sono sicuro che il polpettone della mamma ti farà venire la voglia di raccontarci tutto”, poi rivolto alla moglie “e tu che mi dici? Che hai fatto oggi?”. “Che vuoi che ti dica, sempre uguale, solo che non capisco perché non ci deve rivolgere parola, eh Malcom, sto parlando con te, mi senti? (la mano saluta ma cerca la sua attenzione) Almeno cerchi di mangiare? E vuoi staccare gli occhi da quella maledetta finestra?! Ma cosa stai guardando? Non c’è niente lì fuori, solo quello stupido gatto che non si muove dal cortile, è tutto il pomeriggio che sta impalato qui davanti”. Malcom sorride un’esplosione che ha dentro, con il fiato corto per il cuore che preme “abbiamo vinto!”.