Al momento stai visualizzando Sul “fiore” delle donne mediatore dei frutti

“Quando due fiori vicini / ciascuno in possesso del proprio colore, / si associano / e diventano uno, / generano un altro colore.”, così Hephrem il Siro, come lo cita Giuseppe Testa a pag. 110 del suo “La donna di fiori – Eros, botanica, alchimia”, Sellerio, 2011, pagg. 175, Euro 18.
Testa, nato ad Acireale dove vive, opera da giornalista editorialista e inviato speciale del quotidiano La Sicilia; ma basterà scorrere solo qualche pagina di questo suo libro di esordio per capire di quale tessuto è intramata la sua personalità di intellettuale, la tempra di studioso che ha scontato su tous les livres la propria formazione.
Con quali parole proporre questo “La donna di fiori” come lettura di eccezionale momento? Potremmo cominciare con un riferimento allo scaffale alto dei più raffinati bibliofili, ai quali Giuseppe Testa offre, già attraverso la sola bibliografia delle citazioni, un catalogo da mille e una notte. Ma potremmo iniziare con l’invito a censire le cento occasioni di esegesi critiche risollevate dal Testa a conclusione delle sue incursioni a tappeto nei territori di grandi scrittori di tutti i tempi, di cui illumina particolari da rileggere in chiave diversa a correzione – per banale nostro esempio –  di quanto statuito da Gertrude Stein sulla botanica di Proust e altro:

Eterogamia, omoerotismo, onanismo…La tautologia della Stein non rende giustizia a Joyce né al Roman (…) (cfr. pag. 38)

E ancora, nella pagina seguente con decisa osservazione che da sola vale interi trattati sulla rivalutazione del D’Annunzio:

Dante rivide Beatrice in nuvole di fiori? Occorrerà rammentare che, trasumanando o no, una donna che porgeva fiori a un uomo, in realtà lo invitava a sfogliarne tutti i petali. Bisognerebbe tornare a leggere D’Annunzio di buona lena, lasciati alle spalle i decenni d’incomprensibile, doloso, strapaesano ostracismo decretato chez nous dalle accademie post-gramsciane. Non era stato forse proprio lui, il divino Gabriele, grand ècrivain dei roseti i cui perversi innesti deliziavano Proust, mollemente abbandonato in terrazzo, al Grand Hotel di Cabourg? Non aveva dato nel Piacere rigogliosa metamorfosi a ogni possibile variazione sul tema della donna di fiori?

O cominciare con quanto suggerisce la nota editoriale, in quarta di copertina, a proposito della storia della metafora, di cui questa aristocratica opera letteraria (e scientifica) di Testa è, a sua volta, palpitante modello. Infatti lo scrittore nell’assemblare esperienze e memoria di letture non è stato guidato da metodo saggistico, edulcoratore di un esito-crestomazia, ma da un geniale stimolo filosofico-creativo e nello stesso tempo acutamente analitico, scaturito da rigorosi studi. L’esito giunge coerente con la prodigiosa restituzione di un “composto”, cioè di un “organismo” autonomo, un macrotesto per eccellenza come prodotto ricreato per rappresentare un elogio della donna, della sua natura, destinazione, mistero per certi versi, anello di congiunzione con l’armonia dell’ordine cosmico, di cui quello terreno e biologico (femminile) è corollario tangibile. Un elogio che attinge al metafisico se si considera quanto allude alle coincidenze dei “fiori” con codici di fasi lunari, e loro non sempre acquisite spiegazioni su maree, legami ciclico-biologici con la fertilità. Tutto un discorso di cui non è minimo cenno nell’ambito letterario delle lodi del corpo femminile dei poeti francesi del Cinquecento, quando, aderendo con entusiasmo alla proposta di Clément Marot, che li invitava a dar seguito al suo “Blason du beau tétin”, si sprecarono in una pletora di lodi dell’anatomia femminile. Ma questa nostra divagazione è qui cenno impertinente.
“Eros, botanica, alchimia”, invita il sottotitolo reticente su un’algebra sterminata di stimoli impliciti nell’esito degli a-fondo analitico-scientifici, intuitivi, quanto continuativamente deduttivi, dello scrittore, che delizia il lettore sempre più affascinato nel seguirlo lungo il fil rouge di “tesi” che prendono forma da sé, (uno stile espositivo, quello di Testa, quasi omaggio alla lezione demontegniana sulla morale) sviluppandosi, capitolo dopo capitolo. Capitoli autonomi e tuttavia armonicamente incastrati, rigorosamente scevri da frenanti interventi parenetici, quanto ricchi di fosforescenti chiose come carezze rigeneratrici dello scrittore:

In Wagner il senso più profondo dell’accostamento coinvolge il sangue: sangue di donne sempre mestruate in quanto dedite ad amori infecondi; sangue del Signore, (…) La castità di Parsifal – e cioè, l’avversione all’atto genitale, contrario al dono gratuito di sé, proprio dell’eros – si dirà cristologica nella misura in cui eleva l’infermità femminile, la ferita inestinguibile d’amore, al rango del sangue effuso sul Calvario.
Spargendo la mirra sul martire vulnerato, la Maddalena riscatta la propria ferita. La tramuta in fontana di carità. Non diversamente, Kundry, la messaggera del Graal, reca ad Amfortas l’olio balsamico che alleviandone l’emorragia, commuta in eterna fioritura l’infezione che la rese donna.
(…)
La mistica ematica che intride l’opera di Caterina da Siena, e letteralmente inonda il suo epistolario, sul lezzo e sull’aroma dei fiori di sangue annoda griglie metaforiche che, per pura inversione, assimilano la lezione di esser donna al costato piagato del Signore. Nel cortocircuito dell’analogia, l’effusione erotica prende a esempio proprio la Maddalena. Più avanti, la figura retorica troverà la sua esposizione iconografica nella crocifissione del Masaccio (1426): allontanato l’amore genitale, Cristo affida Maria a Giovanni (“Ecco, tua Madre”), poi Giovanni a Maria (“Ecco, tuo Figlio”) allora, in ginocchio, davanti alla Croce, avvolta nel mantello purpureo, in perfetta simmetria con gli squarci inferti dalla lancia, la Maddalena pare gridare come Caterina: sangue, sangue, sangue!. (Cfr.pagg.76 e 77)

E come dire del tocco creativo che lo scrittore magistralmente imprime a una enciclopedica antologia scientifica filtrando resoconti dalle più varie discipline, fino a renderne con levità unica significati immediati e ulteriori?

Sdoganata dalla letteratura profana e religiosa, l’identità fiori-mestrui circola nei libri di medicina, in tutt’Europa, come moneta corrente. La variante tedesca Blumen si rintraccia, a fine Cinquecento, nel breviario di anatomia di Christopher Wirsung, il padre di Johann Georg a cui dobbiamo la scoperta dei dotti del pancreas. L’inglese Flowers è attestato, alla metà del Seicento, dal grande astrologo, erborista e alchimista Nicolas Culpepper. In italiano, fiori si legge nel primo trattato di ostetricia che, al tramonto del XVI secolo, definisce il nome “proprissimo” e, a metà del Settecento, nel primo libro interamente dedicato ai periodi delle donne: “I mestrui intanto fiori si appellano, in quanto che, come i fiori i frutti delle piante precedono, così essi mestrui vanno innanzi a quello del ventre”. (Cfr.157)

Il nostro approccio ai primi capitoli con la messe di rinvii a letture che ci sono state familiari (Proust, Joyce, Shakespeare…) “Orecchie naso… gole”; “Asfissia d’amore”, ci aveva affascinato con gli inediti squarci degli a-fondo di Testa, ma subito abbiamo potuto constatare che era solo aperitivo rispetto al sontuoso e agile fluire dei capitoli (tredici) come in un caleidoscopio che ricompone e non ripete, integra a ogni giro immagini che sembra possano spiegare le precedenti, e tuttavia predispongono al fascino di poter decifrare successive proposizioni. Ed ecco le visite da una stanza all’altra dell’universo scientifico, letterario, alchemico-profetico di una scelta di ricercatori scienziati da Keplero a Galilei, di filosofi da Platone a Nietzsche. Nomi come piramidi di geni dell’intuizione, della creatività artistica, del pensiero, e fino allo scrimolo col fanatismo mistico, sfilare con gli argomenti delle rispettive conclusioni riassunte in una locuzione, in un periodo, o restituite in lucide sinossi delle rispettive opere. Le analisi dirette, come le altrettanto dirette e indirette comparazioni. lasciano emergere il ricupero d’una speciale dinastia intellettuale di ricercatori, di addetti alla speculazioni scientifiche, come della creatività artistica, della religiosità, del costume, nonché della morale, nei momenti del convergere con le loro opere, sull’argomento del ciclo della donna e delle sue implicanze. Un universo di interessi che trova fonti, specularità e risonanze nelle Scritture (Cantico dei cantici, Vangeli, divagazioni poetiche, impegni alchemici) prima ancora di quanto sia stato divulgato, agli albori delle ricerche metodologiche, antesignane delle nuove conquiste scientifiche e della psicanalisi. Quindi dalla Bibbia ai Vangeli, alla pionieristica Psychopthia sexualis, classica raccolta di casi illustrati dal prof. R. v.  Kraft Hebing, dalle remote e sempre attuali incursioni poetiche di Shakespeare, alle complesse ansie patologico-esistenziali del Proust, come per una lievitazione spontanea, un invito implicito a poter trasferire per analogia le diagnosi cui invita la metafora a quanto possa ciascun lettore elaborare in proprio. Da Joyce a Rilke a Melville, da Ovidio e Vigilio a Ippocrate, a Maupassant, da Rousseau ai contatti Fliess-Freud, da Filone di Alessandria a Girolamo, a Bernardo di Chiaravalle, etc, etc, un concatenamento di osservazioni, rinvii, acquisizioni, che convergono a dare complementarità e centralità al “fiore” e, su tutta e tanta enciclopedia, l’illuminante guida delle osservazioni di Giuseppe Testa, un universo scientifico per cui il recensore con gesto di conveniente umiltà deve dichiarare proprie inadeguatezze a rendere le più congrue approssimazioni, che pur sono dovute al momento di imprimere efficacia a una segnalazione libraria; confronto con quanto urge dalla vastità e complessità (e nello stesso tempo asciuttezza e levità) dell’opera, alla acribia della sua resa. Elemento quest’ultimo che si coglie intercettandovi la mano sicura di Giuseppe Testa, sorretta dalle informazione di cui, come s’è detto all’inizio, dà continui e preziosi ragguagli bibliografici. Una ricerca ineccepibilmente animata da ingegno critico e creativo a un tempo, e che ne “La donna di fiori” esalta ogni resoconto e avvince, arricchisce il lettore su argomenti insoliti in adeguate divulgazioni, eppure così di eterna attualità per tutti e dovunque.

 

Mario Grasso

Ha pubblicato libri di poesia, narrativa e saggistica, ha fondato e dirige Lunarionuovo, è direttore letterario di Prova d’Autore nel cui sito (www.provadautore.it) pubblica un suo EBDOMADARIO (lettere a personalità e personaggi); dal 1992 collabora al quotidiano La Sicilia con la rubrica settimanale “Vocabolario”, i cui scritti sono stati raccolti nel Saggilemmario, di recente pubblicazione. Nato a Acireale, ha residenza anagrafica a Catania; viaggia spesso per il mondo. Il sito personale dello scrittore è www.mariograssoscrittore.it