Al momento stai visualizzando Sulla perfezione

 

1 – Nel sesto canto dell’Inferno, Dante dice la sua in materia di perfezione (… quanto la cosa è più perfetta, più senta ‘l bene, e così la doglienza) con riferimento più largamente significativo rispetto a quanto, con allusione a un particolare “perfetto”, dirà ancora nel 25esimo del Purgatorio. Citazione, la mia, condizionata dalla tendenza ai fasti classici più che al motivo della intenzione di rimestare e invitare a fare altrettanto. Precisazione conveniente anche se più adatta a mescolare le carte della logica da applicare al “dove si vuol parare”. Logica che faccio cominciare dal significato intrinseco nella voce del linguaggio architettonico quando pronuncia “metope”, cioè: “Da l’uno a l’altro triglifo è di spazio un modulo e mezzo, il quale spazio è di quadro perfetto ed è chiamato Metope”. Meno convincente il Petrarca quando la butta sul religioso nella parte III del Sonetto 5 : “Che più gloria è nel regno degli eletti / d’un spirito converso, e più s’estima / che di novantanove altri perfetti”. Dopo queste proposte può arrivare la doccia fredda, la soluzione cui non avremmo pensato: “Perfetto dicesi dell’ultimo stadio di vita dell’insetto, raggiunto il quale è capace di riprodursi. La farfalla, ad esempio, che esce dal bossolo è l’insetto perfetto del baco da seta”. Una constatazione che mi ha fatto finalmente capire il tipo di allusività che il teorico del famismo, Gino Raya, che fu anche docente di lingua e letteratura francese nelle università, scrittore e acuto saggista, prediligeva quando gli capitavano occasioni di parlare di certi suoi illustri colleghi accademici. La torta a questo punto è pronta, ma prima di metterla nel forno non guasterà, a mo’ di ciliegina, la formula che può somigliare a quella dell’acqua calda per i giorni invernali di antivigilia rispetto ai loro prossimi “giorni della merla”, quelli stessi considerati e assunti per come sono ab eterno a riferimenti termici cui il sud di Sicilia, ad esempio, contrappone nelle settimane del solleone “i giorni della ferla”, come altre volte ho avuto occasione di scrivere in omaggio alle bizzarrie ispirate dal vero. Ma non rompiamo il filo e puntiamo su Vitruvio quando in vena di spendere a “mangia che del tuo mangi”, si sporge fino a far notare, (quella volta ai suoi contemporanei) che: “Chiamano perfetto i matematici un numero, il quale si compone della somma dei suoi divisori; così è perfetto: il sei, i divisori del 6 sono l’1, che lo divide in sei parti; il 2 che lo divide in tre parti; e il 3 che lo divide in due; infatti poi, l’uno, il due e il tre sommati insieme fanno, appunto, sei”. La ciliegina quindi va pennellata e subito potrà essere infornata la torta dopo avere aggiunto tra il perfectus di Vitruvio e la variante perfectum di Varrone, che “Nullo può conoscere il proprio perfetto o difetto se non al momento delle tentazioni”.

2 – Ma come poter trascurare o snobbare gli insegnamenti dei Vangeli in materia di perfezione? Citiamo solo quello denominatoriale su cui far assidere l’intera morale di Cristo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai, e dallo ai poveri”. Sto immaginando i fruitori di pensioni d’oro italiani, cui rivolgere questo evangelico invito. Tuttavia loro potrebbero rispondermi pigliando tempo, ma, ancor meglio e ineccepibilmente, citando la continuazione della lezione evangelica, che conclude con una via di scampo per chi intende salvarsi: “Sarà comunque perfetto chi sia come il maestro suo!”. Da una scuola guidata da maestri ladri e malfattori, non ci sarà scampo: per essere perfetti bisognerà comportarsi come i propri mentori. E qui tutto sarà finalmente chiaro: poiché nessun maestro al mondo ha venduto tutto e donato ai poveri, sia regola di perfezione il togliere ai poveri per arricchire se stessi … il teorema funziona e la perfezione è stata facilmente, fatalmente raggiunta.

3 – Non è una novità in letteratura e più ordinariamente nell’ambito delle arti figurative il rapporto maestro-allievo. L’esperienza ci fa ricordare di una infinità di casi non sempre di chi aderisce o simpatizza per una linea, uno stile, una ricerca di contenuti affine a quella di un “maestro”. Nei decenni seguiti all’esperienza del Gruppo ’63, per citare un esempio ancora fresco, ci sono stati momenti di fiera avversità tra chi si professava avanguardario e chi aborriva le avanguardie. Una rivalità vera e propria, tale da potersi classificare meno velenosa rispetto a quanto si era verificato nelle stagioni precedenti dello stesso Novecento tra le due guerre con la gli ermetici e ancora prima con i futuristi. Superfluo scomodare il Carducci esplicitamente sassaiolo nei versi di Davanti a San Guido quando tra “manzonismo degli stenterelli “ e “non sono un manzoniano che tira quattro paghe per il lesso”, risponde ai cipressi che amorevolmente gli avevano assicurato: “ira non ti serbiam per le sassate tue d’una volta”. Maestri che ripudiano altri Maestri. Comportamenti che, nei nostri giorni di sereni appiattimenti e camilleranzate sostenute dalla RAI, non spiccano tanto tra letterati quanto tra politici e amministratori della cosa pubblica. Certo, chi l’ha fatta franca da banchiere puparo di colossali truffe a carico di tanta povera gente potrà sempre vantare di essere un maestro più maestro dei maestri che avevano educato i “furbetti del quartierino” o gli scassapagghiara dello scandalo del Centro di accoglienza di Mineo, che finirono sgridati dalla magistratura.

4 – In materia di perfezioni soccorre il vocabolario degli snob con il raro significante “aquilegia” con l’accezione di perfetto amore. Ma non è di aquilegia che si nutre la realtà sociopolitica dei nostri giorni di strabilianti modelli come altrettanti master-dimostrativi di mastermind gestiti da furbetti e aperti alla fruizione pubblica. Sono modelli fagocitati, purtroppo fatalmente, dalla velocità con cui, in Italia, scandalo si sovrappone a terremoti, ecatombe di umani fa da didascalia alla più proterva levità umana che odia la storia e la memoria come esperienza, mentre a ritmo ricorrente giunge a stupire più di quanto continua a esserci di già visto che si ripete, infatti fa trasalire la deflagrazione dell’ inedito, quando squilla a sirena di conoscenza persino sotto forma che un momento prima poteva essere ritenuta improbabile fino all’impossibile e l’assurdo, come la lezione mirabile di una manciata di polizze assicurative sulla vita a carico dello Spirito santo a kafichiano modello del capire che non c’è nulla da capire nel perfetto treorovincetreoroperde dell’avvocatessa Raggi straordinaria sindaca di Roma, sulla cui buona fede oltre che giurare c’è da suicidarsi per quanto di mistero inesplicabile è il tutto della realtà foriera di lezione magistrale per la Giustizia che non ha appigli giuridici contro il prodigioso – che non è reato – quando aureola l’esempio come modello futuribile di magiche polizze del fantasmagorico in pasto pastorizzato per alimentare l’attesa di un domani, sia pure da lazzaretto o cottolengo, per un Paese esausto, stremato, che trattiene con fragili unghie l’assalto della sfiducia totale, della disperazione, uno stato d’animo e di corpo a favore del quale non ci sono polizze assicurative sulla vita elargite dal cielo della manna d’una volta, quando la manna era costituita da mansuete quaglie mandate dalla Provvidenza divina. Polizze come miracolo d’un concepimento a opera dello Spirito Santo di quell’unica volta. La perfezione divina del Mistero come esempio-modello per intraprendenze future perfette, esenti da codice penale.

5 – Ed ecco la perfezione e l’imperfezione. Quest’ultimo stadio sembra si possa riconoscere, restando in materia criminale politico-amministrativa, come già superato. La ricerca della perfezione ha fatto progressi che sono sotto gli occhi di tutti: dai metodi soft della grande mafia a quelli “tecnici” di un certo potere politico-bancario quando agisce con accorgimenti magistrali, a fronte dei quali il ricordo delle banche americane di Michele Sindona, costretto, quella volta, a fare uccidere l’avvocato Ambrosoli per darsi (invano) il tempo di sfuggire alla Giustizia, può essere classificato opera di maestri sì, ma dilettanti, adatti a costruire e dare esempi di come rubare nell’usurato vassoio di zinco delle elemosine della propria parrocchia. Adesso i nuovi maestri son campioni di onestà e trasparenza perché qualsiasi crimine possano commettere esso sarà addebitato e rubricato a carico dello Spirito santo. Il top della perfezione.

 

La_scuola_di_Atene1