Al momento stai visualizzando Sugheri e boe – Sulle opere incompiute in Italia

“Grandi e inutili” di Antonio Fraschilla

 

«“Io credo che un popolo assuefatto a trovar sempre avanti di sé il bello sia più intelligente di un popolo immerso nella barbarie”» sono le parole dell’allora direttore della Galleria degli Uffizi Giuseppe Bencivenni Pelli, alla fine del Settecento, parole riportate da Antonio Fraschilla nel suo più recente libro intitolato “Grandi e inutili” (Einaudi), sottotitolo: le grandi opere in Italia «Spesso inutili e incompiute. Monumenti allo spreco, esempio di corruzione, malgoverno o semplice incuria», e in queste parole c’è già il cuore del fenomeno oggetto di anni di inchieste giornalistiche.

L’Italia non è solo il Belpaese e il peggio è che è ormai risaputo, risaputo inutilmente, come inutilmente sono stati stanziati miliardi di lire e di euro di fondi per la realizzazione di opere che divengono pretesto per intascare mazzette, per creare posti di lavoro ad personam, per ottenere consensi elettorali in un clima di “inaugurazionismo” – per utilizzare una felice espressione coniata dall’Autore – con esiti discutibili sul fronte economico, ambientale e sociale.

Se nel mondo artistico possiamo vantare più d’un primato a livello europeo, a ciò si aggiungono primati di ben altro tipo: secondo Bruxelles, per esempio, quello di «Paese più a rischio di dissesto idrogeologico d’Europa», con miliardi di euro stanziati dall’UE e da Roma per la messa in sicurezza del territorio e non spesi, con l’80% dei comuni italiani a rischio di dissesto dopo anni di cementificazione furibonda. Altro record europeo, infatti, ci dice Fraschilla, è quello di impermeabilizzazione delle superfici naturali.

Sono molteplici i temi che emergono dalla narrazione di “Grandi e inutili”, viaggio nelle incompiute d’Italia da cui nessuna regione esce indenne (a dispetto delle assoluzioni con formula piena perché il fatto non sussite… in Cassazione!). Ogni tanto qualcuno paga, non tutti, non sempre. Nomi come quelli di Berlusconi, Bertolaso, Miccichè, Anemone, Balducci ritornano spesso, perché furono i protagonisti dello sfrenato abusivismo edilizio della seconda metà del secolo scorso, oltre che della collusione tra stato e mafia. La storia della realizzazione di grandi opere pubbliche qui si intreccia alla storia della politica italiana, sino a percepire come esse siano una delle diverse manifestazioni del tarlo che l’ha contaminata. A fronte di opere brutte, inutili, costose e incompiute… viene da pensare che forse anche alcuni italiani siano brutti, inutili, costosi e incompiuti. Asserzione – questa – arbitraria, antidemocratica, inutile essa stessa, depressiva e deprimente, e allora sarebbe forse meglio vederla da altro punto di vista, più ottimistico, e dire che, mentre aspettiamo che si realizzino i lavori di completamento (o abbattimento) degli “ecomostri”, aspettiamo anche – sin dalla lontana affermazione di D’Azzeglio – che si realizzino anche gli italiani?

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Tra i grandi meriti del libro di Antonio Fraschilla vi sono la chiarezza, l’accompagnamento graduale del lettore nei meandri di vicende cavillose, l’accuratezza nell’indagine e l’onestà intellettuale nell’analisi dei fatti.

In decenni il nostro Paese ha assistito alla progressiva distruzione di se stesso, a causa di iniziative in partenza irrispettose per il territorio o altrimenti irrispettose nelle modalità con cui sono state portate avanti, deturpando il patrimonio paesaggistico, modificando la stessa geografia in virtù del principio secondo cui non può, l’uomo, realizzare qualcosa facendo i conti col principio di realtà, e cioè adattando un progetto al territorio di destinazione, bensì facendo in modo che il territorio venga accomodato e adattato al progetto, progetto spesso malpianificato in termini di calcoli, fattibilità e spese, promosso col solo scopo di promuovere qualcosa non importa cosa (un po’ come nel clima di riforme del governo precedente all’attuale, mosso dal bisogno di fare).

Antonio Fraschilla

Fraschilla ci porta tanti esempi di “bombe ecologiche”e ne approfondisce ragion d’essere, storia e implicazioni. Tra questi: la colata di fango per realizzare, per milioni di euro, una montagna artificiale a elevatissima pendenza con l’aggiunta di neve altrettanto artificiale per la pista di freestyle in prospettiva delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, scegliendo un’ubicazione come Sauze d’Olux anziché un luogo che presentasse naturalmente le caratteristiche morfologiche richieste. Il tutto sopra una discarica di amianto e in prossimità di un’area fluviale potenzialmente esondabile con rischio erosione. Ma questo non è che un esempio tra i tanti che si potrebbero portare, come le autostrade inutili e incomplete, come il raddoppio della Catania-Ragusa che a un certo punto svolta e ci si trova davanti a un muro; come il mostro di cemento e ferro che taglia valli e boschi di Matera, girovagando verso il nulla e sfiorando la Cripta del peccato original, reperto archeologico importante per il territorio; come la “finta” bonifica del porto della Maddalena in Sardegna dagli arsenali militari americani lasciati lì in abbandono; il complesso alberghiero nel Gargano, per decine di migliaia di cemento all’interno di un parco naturale ricco di alberi secolari e a ridosso del mare raggirando vincoli idrogeologici, paesaggistici e forestali; come le dighe (ben 35 incompiute in Italia!) che non sono nulla di più che vasconi di cemento installati in aree paesaggistiche oggi fregiate, e tra queste campeggiano quella costruita sulle Madonie, area protetta,(che doveva convogliare acqua nei territori di Agrigento, Enna e Caltanissetta e che ha finito per far deviare i corsi d’acqua che avrebbero dovuto confluire all’invaso), e quella del Pappadai nei pressi di Taranto, imbottita di rifiuti pericolosi, fusti petroliferi e lastre di amianto (che dovevano in qualche modo essere smaltite!), oggi discarica di rifiuti e non una sola goccia d’acqua di fiumi che da lì non passano neppure.

Ma al di là del danno ambientale in termini di inquinamento e alterazione morfologica, emerge anche la bruttezza di ciò che non è stato portato a termine o è stato ultimato ma è di fatto inutilizzabile, o inutilizzabile per i fini e entro i tempi per cui era stato progettato. È il caso delle strutture che in Sicilia dovevano ospitare nel 1997 le Universiadi, in gran parte ultimate a distanza di anni dall’evento e alcune di queste ancora oggi in sospeso, come i lavori per la conversione dell’inutile campo da polo di Giarre nell’altrettanto inutile stadio di atletica (nonostante sia stato inaugurato con sorriso per la stampa, manca persino la strada per raggiungerlo). Ma anche il 60% delle opere realizzate per le Olimpiadi di Torino del 2006 sono state collaudate solo dopo il grande evento.

Questi però non sono che esempi, perché l’Autore ci fa da “guida turistica” per tutto il Paese, Paese che non fa mai i conti col territorio, come nel caso del ponte della Costituzione, più noto come ponte di Calatrava, sul Gran Canale a Venezia, inaugurato relativamente di recente durante la giunta Cacciari ma dalla lunga e travagliata storia che minaccia di non dare tregua nemmeno oggi. Persino un bambino è in grado di capire che è naturale che ci sia umidità in una città lagunare e che, quando per la pressione della campata vedi che man mano le rive di un canale si allontanano, quantomeno modifichi il progetto. Nel continuo esborso da parte del Comune e non solo, nella «guerra dei risarcimenti», il ponte è stato definito efficacemente “opera in prognosi riservata”. Ma la superficialità delle parti è tema anche di altre storie, come quella del molo di Inchusa a Cagliari, progettato per navi da crociera ma inutilizzabile perché dal fondale di 7 m anziché 12. Spesso lo studio di fattibilità viene realizzato dopo l’avvio dei lavori che sistematicamente vanno ugualmente avanti (come nel caso dell’idrovia Padova-Venezia), o mai realizzato (come nel caso dell’ospedale di Sant’Agata di Militello sui Nebrodi, costruito su terreno argilloso).

Il paradosso, la beffa, tra l’altro, è l’aver fornito un servizio alla malavita e alla violazione dei diritti umani, perché molte delle strutture rimaste a metà sono oggi in stato di abbandono, soggette a incuria, atti vandalici e furti, centri di spaccio, traffico d’armi e ricettazione, piste per le corse di macchine (quest’ultimo, il caso degli autoporti abruzzesi inagibili e incompleti), combattimenti clandestini di cani (il velodromo di Paternò nel catanese), quando non ricovero per buoi, cavalli e pecore o rifugi per extracomunitari in precarie condizioni igieniche.

A ciò va aggiunto che la realizzazione di molte opere era in partenza inutile o pensata in sovrappiù, sproporzionatamente, col solo scopo di giustificare la richiesta di più che ingenti somme di denaro. È il caso dell’acquario di Sciacca e dei due miliardi di lire spesi per l’acquisto di due orche (orche! animali per cui la destinazione a un acquario è già di per sé discutibile) «che per anni vennero ospitate in uno zoo islandese a spese dell’amministrazione siciliana e lì morirono. Perché a Sciacca l’acquario non è mai stato realizzato». È il caso delle poltroncine climatizzate di ultimo grido per il teatro Samonà incompleto e non più a norma di legge, opera che ha attratto l’attenzione del Wall Street Journal (che nel 2010 ha nominato Sciacca “città simbolo degli sprechi del denaro pubblico”) e su cui ormai si ironizza.È il caso delle 28 telecamere di videosorveglianza del museo del mare e delle attività marinare della stessa città, privo dell’allacciamento alla rete idrica e mai aperto, e quello dei pannelli fotovoltaici dell’ospedale calabrese di Gerace, anch’esso mai aperto.

E un capitolo a parte Antonio Fraschilla dedica alla malasanità, che apre anche ad altro grande tema, trasversale ma non di secondo piano rispetto allo spreco economico e al danno ecologico-sociale, quello della corruzione. Alla data di uscita del libro, la stima di ospedali inutilizzati (e inutilizzabili) in Italia è di 132, costruiti in fretta e furia perché in fretta e furia bisognava assumere primari, medici e infermieri. «La politica ha sempre bisogno di clientele per la tornata elettorale in arrivo», e questo è un motto che ben caratterizza quella che è stata definita “sanità fantasma”, a fronte di primari che continuano a ricevere per anni lo stipendio per un lavoro che non svolgono perché quegli ospedali non sono mai stati nemmeno aperti.

Che dire poi della città dello sport di Tor Vergata a Roma, pretesto per spartirsi appalti in odor di mafia mentre si assisteva passivamente al passaggio dei mondiali di nuoto e delle Olimpiadi senza arrivare a ospitare una sola competizione sportiva? La “cosca” è la stessa implicata nello scalo aeroportuale di Perugia con l’alibi del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. «“Realizzeremo una porta di collegamento con il mondo nel segno della pace”», furono le parole del sindaco d’allora, ma era di fatto un pretesto per farsi i lavori in casa a spese dello Stato, senza tra l’altro raggiungere gli obiettivi prefissati.

Ma la «regina delle incompiute» è la famosa e ormai proverbiale autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, «eternamente malata, perennemente in “cura”», definita nel ’62 da Fanfani “simbolo dell’unità del Paese” e destinata a rappresentare invece il «simbolo della mai realizzata unità del Paese». Fin da subito erano emerse infiltrazioni mafiose dell’opera, ci dice L’Autore, raccontandoci dei precontratti tra aziende candidate o vincitrici degli appalti e la mafia. Inoltre «tutte le principali famiglie, i cui territori erano attraversati dall’arteria autostradale, avevano raggiunto tra loro un accordo per lo sfruttamento di quella che costituiva una vera miniera d’oro (…) una ripartizione su base territoriale delle zone di competenza con i relativi “pagamenti”». In questa storia c’è stata qualche condanna, almeno. Qualche.

Ma il punto è anche, al di là del costo dei contenziosi e dei conflitti tra pro-abbattimento e pro-completamento, l’ammontare del valore economico sborsato nei decenni dall’Europa, dallo Stato, dalla Cassa del Mezzogiorno, dalle Regioni e dai Comuni, per un totale che nel corso della lettura cercavamo invano di calcolare e che alla fine lo stesso Fraschilla ci fornisce, con sconcerto perché –tra costi di progettazione, costruzione, gestione (spesso mai calcolati in principio), manutenzione, ammodernamento, messa in sicurezza (quando accade), riqualificazione – raggiunge cifre che pare equivalgano al totale dell’Imu, poi tolta è rimessa sotto forma di Tasi, più la cassa integrazione per gli operai di tutte le aziende in collasso. A causa della «guerra per bande» tra burocrazia, politica e mafia, il valore delle sole incompiute trattate in questo libro raggiunge i 10 miliardi di euro (10.000.000.000, giusto per contare gli zeri), stima comunque al ribasso.

Qualcuno però dice che anche le incompiute sono parte del nostro patrimonio artistico-culturale in quanto paradigma interpretativo dell’architettura pubblica in Italia dal dopoguerra a oggi. Si tratta di costruire il proprio senso del brutto al fine di poter riconoscere e apprezzare il bello oppure semplicemente di trattare le incompiute come testimonianze storiche di un’epoca? Può questo aiutarci a comprendere meglio anche la nostra società? Fraschilla si pone queste domande: «Come fa un bambino che vive in un quartiere difficile come Librino di Catania ad apprezzare uno Stato che non ti dà le fogne ma ti costruisce un cubo di cemento per un palazzetto mai aperto? Come fa un bambino di Amalfi ad apprezzare la cosa pubblica che ti ha piantato nel cuore di un promontorio stupendo che dà sul mare un ospedale vuoto e in abbandono? È forse questo, al di là dello spreco di denaro, il danno più grande delle piccole e grandi incompiute d’Italia». Più avanti scrive: «Uno scheletro di cemento o un palazzo in abbandono irradiano attorno malessere. La comunità che ci vive è violentata dalla bruttezza, da un orizzonte oscurato dall’incompiuto».

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Certo, tra le storie vergognose ci sono anche quelle a lieto fine o che rappresentano comunque esempi virtuosi, come il progetto “G124” di Renzo Piano, che ha devoluto interamente la propria indennità parlamentare a una iniziativa che coinvolge giovani colleghi per “rammendare le periferie”, a partire dal centro polifunzionale San Teodoro di Librino, il quale a sua volta, nel proprio piccolo, rappresenta altro esempio virtuoso grazie alla mobilitazione dell’associazionismo e di tutti i cittadini. Di questo Fraschilla parla ampiamente nel suo libro che permette al lettore di meglio comprendere le dinamiche del potere e del funzionamento di tutte le parti coinvolte nella realizzazione di un’opera pubblica, permette di avere una visione d’insieme di un fenomeno che ognuno di noi nel proprio piccolo può tutti i giorni osservare a più stretto raggio e, tra le pagine di “Grandi e inutili”, amplia il proprio orizzonte riuscendo a leggere l’Italia e gli italiani da parte integrante di un sistema e non più da semplice, ignaro e ingenuo spettatore. Da questo punto di vista questo libro permette a chi lo legge di sviluppare senso civico e civile e di diventare protagonista più attivo all’interno della società di cui fa parte, perché più consapevole.

Resta una domanda, considerando che la pubblicazione risale al marzo del 2015: cos’avrebbe scritto Fraschilla, magari in un paragrafo tutto suo, a proposito della pista di atterraggio costruita a alle pendici di Taormina abbattendo centinaia di ulivi dalle cui olive è stato poi ricavato l’olio dato in omaggio ai potenti della terra come simbolo della pace?

Giulia Letizia Sottile

Giulia Sottile è nata e vive a Catania, dove ha compiuto gli studi e ha conseguito la maturità classica. Laureata in Psicologia e abilitata alla professione di psicologo, non ha mai abbandonato l’impegno in ambito letterario. Ha esordito nella narrativa nel 2013 con la silloge di racconti intitolata “Albero di mele” (ed. Prova d'Autore, con prefazione di Mario Grasso). Seguono il racconto in formato mini “Xocò-atl”, in omaggio al cioccolato di Modica; il saggio di psicologia “Il fallimento adottivo: cause, conseguenze, prevenzione” (2014); le poesie di “Per non scavalcare il cielo” (2016, con prefazione di Laura Rizzo); il romanzo “Es-Glasnost” (2017, con prefazione di Angelo Maugeri). Sue poesie sono state accolte in antologie nazionali tra cui “PanePoesia” (2015, New Press Edizioni, a cura di V. Guarracino e M. Molteni) e “Il fiore della poesia italiana. Tomo II – I contemporanei” (2016, edizioni puntoacapo, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano), oltre che nell’iniziativa tutta siciliana di “POETI IN e DI SICILIA. Crestomazia di opere letterarie edite e inedite tra fine secolo e primi decenni del terzo millennio” (2018, ed. Prova d’Autore). Recentissimo il saggio a orientamento psicoanalitico intitolato “Sul confine: il personaggio e la poesia di Alda Merini” (2018). Ha partecipato a diverse opere collettanee di saggistica con contributi critici, tra cui “Su Pietro Barcellona, ovvero Riverberi del meno” (2015) e, di recente, “Altro su Sciascia” (2019). Dal 2014 ricopre la carica elettiva di presidente coordinatore del gruppo C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane); dal 2015 è condirettore, con Mario Grasso, della rivista di rassegna letteraria on-line Lunarionuovo. Collabora con la pagina culturale del quotidiano La Sicilia.