Al momento stai visualizzando Si riparano bambole silenziose
© E.Hopper, Chop Suey, 1929

Il silenzio fa progredire l’esperienza, scrive Djuna Barnes, e quando questa muore le dà quella dignità tipica di una cosa che è stata toccata e non violentata. Vorrei spargere queste parole in un grido allegro e inestinguibile, lanciarle come frecce a trafiggere il timpano di chi sa pronunciare il silenzio solo foneticamente e parla parla parla e si ripercorre a voce alta in ogni istante, a ergere fragili monumenti e caduche architetture del sé proiettato in visione dentro occhi che ben lo riconoscono mirabolante, e involontariamente narciso.
Poveri occhi farneticanti, costretti a sbilanciamenti e alterazioni, mongolfiere inceppate, preda di un vento stridulo e dispettoso. Ecco, i narcisi non conoscono la beatitudine di cui parla la Barnes disincarnata e – se l’immagine che hanno proiettato sfugge, si perde trascinata altrove da una corrente farraginosa – cadono in loop continuando a parlare, le palpebre serrate contro i flutti, le palpebre grate di una prigione di cecità visionaria, e quel che fu, e quel che il ricordo vorrebbe burattino immobile immutabile, collegato a fili da muovere a piacimento come quando si provano facce strane in uno specchio.
E se lo specchio fosse stanco? E se lo specchio si ritraesse dallo specchiare, si oscurasse rannicchiato in riflessioni sull’origine infame del suo destino a vista?
Basterebbe, nel silenzio, nel manto disincarnato della proiezione, sentire soltanto, e quasi sfiorarlo, un altro volto che appare dall’acqua in superficie, amore o dispetto di una ninfa distesa nelle venature di una foglia, una bocca della verità antecedente gorgogliare moltiplicando il volto sconosciuto che cresce nel proprio e soffia via le rughe, le ripetizioni, le verruche, le deformità del tempo, le smorfie. Basterebbe abbeverarsi alla fonte santa di un respiro tremante che accarezza le chiome degli alberi e le montagne e discende dalle sue profondità aeree alla sorgente, tra i massi  rigati dei fondali, per scoperchiare l’imprevisto, nuove forme da modellare, paesaggi incantati da risvegliare, sott’acqua, lentamente.


Maristella Bonomo

E' nata a Catania ma vive a Roma. Si è laureata in cinema al Dams di Bologna con una tesi su Proust e il cinema. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Italianistica, sempre all’Università di Bologna, sulla sceneggiatura cinematografica. Ha pubblicato alcuni racconti sulle antologie: I racconti della Garisenda (Re Enzo editore, Bologna, 2002), Gli Intemperanti (Meridianozero, Padova, 2004) e I racconti sul caffè (Caffè Moak, Modica, 2005) e in alcune riviste e quotidiani. Sue poesie sono apparse nella rivista Graphie, nelle antologie Donne e poesia (Giulio Perrone editore, Roma 2007) e Eros e poesia (Giulio Perrone editore, 2007). La sua prima raccolta di poesie Passi segreti è edita da Prova d’Autore (Catania, 2008). La sua prima raccolta di racconti Riflessi è edita da Giraldi editore (Bologna, 2009), con una postfazione di Enrico Ghezzi. Sempre con Enrico Ghezzi ha realizzato quattro videoclip per il duo pianoforte e voce Mama’s Gan. Ha lavorato come redattrice, critica e traduttrice per le riviste letterarie ClanDestino e Griseldaonline.