Al momento stai visualizzando Rossana Caltabiano e “Il colore del mondo dell’anima”

Rossana Caltabiano nasce a Catania il 29/07/83, studia presso l’Istituto d’Arte di Acireale diplomandosi alla sezione “Rilievo e Catalogazione dei beni culturali” nel 2002, si laurea all’Accademia di Belle Arti di Catania al corso di “Pittura”, sezione sperimentale Beni culturali, nel 2009.
L’artista si diletta in sperimentazioni fotografiche e persegue lo studio pittorico come si può notare nelle esposizioni tenute: “A che punto siamo con i fiori?” personale di pittura tenuta presso la Sala Messina (Ex Pescheria) di Giarre dal 30 Luglio al 7 Agosto, successivamente partecipa con un’esposizione fotografica “La Sicilia nel cuore” presso il Salone del Comitato dei Festeggiamenti di San Vito a Macchia (frazione di Giarre) ed anche all’estemporanea di pittura tenuta presso uno stand della fiera etnea “Ottobrata di Zafferana 2011”.

Il colore del mondo dell’anima
Se i quadri fossero metafore del vissuto,
se il vissuto trasparisse dalle parole
allora dei dipinti potrebbero foggiarsi dell’epiteto
di linguaggio del quotidiano empaticamente trasformato.

Sentimenti, impalpabili sensazioni,
sarebbero materializzati nella delicata leggiadria di un petalo.

Accarezzeremmo l’amore semplicemente
osservando come il colore sfiora una superficie
manifestando una realtà visiva fragile,
pronta a spezzarsi.

Sentiremmo il profumo del pianto e
la fragranza della brezza della vita
in un petalo bagnato.

 

 

A volte servono metafore semplici per compiere l’epifania,
far manifestare quel mondo che delicatamente celiamo al tetro profilarsi dei drammi odierni.
Il lavoro, la crisi, le incomprensioni, sembrano lontani,
deposti sotto campane di vetro i nostri pensieri,
le future speranze si lasciano al vento come brezze marine.

I quadri appaiono come esseri umani che vivono una natura propria, intima e viscerale.

 

L’artista Rossana Caltabiano ci regala qualcosa di prezioso: la speranza di lasciarsi sedurre ancora dal mondo transeunte che ci circonda sotto le modeste spoglie della natura.

Il modus operandi dell’artista è di prender spunto da immagini reali per privarle di contestualizzazione evidenziandone quella parte che interagisce con il nostro inconscio e che tocca le corde del sentimento interno.
Si tratta di un’evocazione di realtà sinestesiche che sembrano apparentemente visive ma seducenti dei sensi come la diafana sensazione di profumo, la carezzevole scorrevolezza delle pennellate che sfiorano le superfici o vi si lasciano trasportare, ed anche la cinetica illusione di essere trainati dal vento, un vento mai deleterio, ma sempre delicatissimo.

Guardando le sfumature di bianco, queste sembrano quasi rimembrare cotone finissimo, zucchero filato…

Un altro elemento interessante è l’endemico legame tra le forme di natura e il corpo umano, legame intimo con la terra che identifica il corpo femminile: le forme di madre, di donna matura, di prosperità e protezione, ma anche i colori della forza della potenza distruttiva dell’Etna, tutto si fa portavoce di un irruente furor creativo sapientemente tenuto imbrigliato e governato dalla tecnica a tal punto che non appare devastante, ma danzante. Dalla fotografia a una danza di colori assistiamo all’evoluzione di bellezza come enucleazione di sensibilità umana, di purificazione panica in un contesto naturale in cui i colori sono gli artefici del prodigio.

I colori ad olio si velano nei paesaggi in rosa di una evanescente leggerezza quasi fossero realmente plasmate da nubi e non materia, come se fossero entità impalpabili determinate dal colore, da un calore umano che le pone a metà tra la fantasia e il cuore, sono realtà dell’anima e non contingenti.

È come se l’artista avesse fotografato stati emotivi, quello che vediamo è quello che Bergson chiamava “congerie di stati vissuti”, un es non materializzato, non codificato.
Sembra che l’es, insieme di passioni celate e inconsce, sia stato spiato nel silenzio e fotografato in pittura. Ecco perché i paesaggi sono esattamente statici, non c’è una reale corporeità se non per la similarità delle forme curve al corpo femminile.

È bello pensare che dentro noi ci sia un mondo che vive in maniera autosufficiente e si alimenta delle nostre speranze e che, se motivate, queste possono assumere tale bellezza, tale armonia cromatica. I colori usati nei paesaggi sono anche freddi, come nel paesaggio in blu, perché siamo esseri cangianti ma la luce e i colori caldi sono predominanti nel ciclo pittorico quasi a ricordare che nella vita, come nella pittura, il profilarsi di evoluzioni dell’esistere deve avere come presupposto il calore cromatico della speranza.

Ombretta Di Bella

Docente di storia dell’Arte, studiosa e artista, aggiunge agli interessi della sua specializzazione ricerche nell’ambito della scrittura creativa, del pensiero e dell’analisi critica. La sua collaborazione a Lunarionuovo varia dai contributi creativi grafici a quelli delle analisi critiche.