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© Federico Verani

IL FRANCHRISTEIN
IL NUOVO MESSIA

PARTE II

– Ho forgiato il mio carattere giorno per giorno.
– Ogni giorno ho edificato il mio corpo come una macchina.
– I miei muscoli, la mia cultura, la mia persona: per non essere più un perdente – scandiva Josh.
E quel bambino offeso era più terrifico di qualsiasi soldato.

DEPECHE MODE: WRONG
wrong
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wrong

Josh per rinascere socialmente nel Kibbutz cominciò una politica metodica per ingraziarsi i “cool guys” del kibbutz.
Strategicamente puntò tutto nel giocare a calcio per recuperare le simpatie dei maschi che contavano.
Ma preso dalla foga interveniva male, faceva male.
Entrava in campo ridendo e ne usciva in polemica.
– Prima ti dicono di giocare, poi se giochi male ti trattano come una merda! – gridava minacciando chi gli aveva detto di andarsene dal campo.
– Fottuti bulli israeliani! Fuck’em all! – gridava camminando come un marine.

Un giorno gli dissi che la lingua inglese era solo un “tool”, come un utensile, un bullone, un arnese: una lingua senz’anima che ci imponevano e che a ben pochi piaceva.
La prese personalmente e cominciò a parlarmi in un inglese difficilissimo per due settimane per farmi sentire ignorante.
Io non feci una piega: mi stava simpatico lo stesso.
Ma Josh continuava ad intorvarsi sempre più.
E gli venne un’altra delle stimmate inconfondibili: quando beveva diventava sempre più aggressivo.
Cominciava a fare giochi con le mosse marziali imparate per difendersi dai bulli.
La notte nel kibbutz si sussurravano commenti: è manesco.
– Mi ha fatto male – mi confidò un ragazzino.
Più esagerava più diventava manicheo ed esigente con se stesso:
– Cazzo! Ieri ho fumato ed ho bevuto troppo!
– Sono una merda! – si gridava contro con fanatismo quando finiva la serata.
Quando beveva aumentavano i suoi discorsi da calvinista puritano:
– Io ho migliorato ogni aspetto delle mie debolezze, giorno per giorno nella mia vita, sono diventato una fortezza di responsabilità e di rispetto verso me e il mio corpo! – diceva scandendo ogni parola.
Ma più dichiarava più vacillava.

wrong
wrong
wrong
wrong
I was born with the wrong sign In the wrong house With the wrong ascendancy
I took the wrong road That led to the wrong tendencies
I was in the wrong place at the wrong time For the wrong reason and the wrong rhyme
On the wrong day of the wrong week I used the wrong method with the wrong technique
Wrong 
Wrong

© Federico Verani



Un giorno protestò aspramente perchè un sudamericano arrivò in ritardo al lavoro e nessuno disse nulla.
Anzi lo aspettammo per andare a lavoro.
Quel giorno Josh protestò per mostrarsi invece ligio al dovere, per far capire che lui era meglio.
Che era impeccabile.
Ne fece una questione di vita o di morte.
Passò in quel momento uno del kibbutz, ci squadrò tutti.
Come la mano del Destino quando gira male.
L’uomo mai visto puntò Josh:
– Tu, vieni con me – gli disse
Quel giorno Josh scomparve.
Lo rividi solo la sera, quando passando dai bagni del campo da calcio intravidi i suoi piedi.
Era seduto in bagno.
Lo chiamavo per venire con noi.
Gli chiedevo dove fosse finito.
Fu lì che uscì seminudo.
Con la carta igienica stretta nel libro “The Saxon invasion“.
Fu lì che caddi in terra dal ridere solo a vederlo.
Fu lì che mi raccontò dov’era sparito.
Quando qualcuno gli disse: vieni con me.
La finì, lui con scarpe basse e bermuda estivi, a maneggiare liquami e residui di vernici con una maschera antitossica pesantissima sotto il sole cocente. Aveva pranzato sotto il sole.
In mezzo a effluvi chimici nauseabondi.
Un lavoro che non sapevamo nemmeno esistesse in quel kibbutz.
Sotto un sole devastante si era tolto la maschera perchè non respirava bene e ora aveva la gola che gli bruciava. Aveva pure vomitato.
Si era inoltre rifiutato di mettersi le protezioni per le mani ed era tutto irritato nelle braccia.
Ora era in paranoia per possibili contaminazioni e avvelenamenti.
Ora era in ansia.
Vedendomi ridere al suo racconto non si poteva trattenere dal continuare.
Rideva anche lui, ma con sarcasmo velenoso.
Io sapevo però che era insoddisfatto di non essere l’idolo, il migliore, amato e riverito.
Sapevo che si stava realizzando il suo orrore: essere un loser.
– E tu vieni a disturbarmi quando dopo un’altra giornata di merda sto cagando in pace? – mi incalzava tra l’esasperato e il divertito.
Ma ridendo gli davo speranza.
– Ma cos’ha Israele contro di me? Dimmi tu che cazzo ho fatto io di male!? Cos’hanno fatto di male i miei avi per meritarmi tutto questo!? – mi gridava senza capacitarsene.
– Dimmi che cazzo ho nei miei geni!? – rideva preoccupato col pene che dondolava.
Ma il meglio doveva ancora arrivare.

There’s something wrong with me chemically Something wrong with me inherently
The wrong mix in the wrong genes I reached the wrong ends by the wrong means
It was the wrong plan In the wrong hands The wrong theory for the wrong man
The wrong eyes on the wrong prize The wrong questions with the wrong replies
Wrong
Wrong

LA PASSIONE DI JOSH

Passammo, io e lui, il pomeriggio a ridere dei suoi guai.
E fu davvero come una catarsi: si racconta quando tutto è finito.
Tutto è finito.
Pensava anche lui.
Ma la sua esistenza aveva un appuntamento preciso con Israele.
La sera stessa, avevo appena finito di farmi la doccia, quando mi affacciai dal nostro appartamento.
Vidi un putiferio.
Gente che correva ovunque.
Facce scandalizzate.
Occhi sgranati dal dramma.
La gente accorreva.
Unica costante: Josh livido e livoroso che gridava come un demonio.
Minacciava di morte qualcuno.
La sua ragazza nel divano che piangeva, circondata dalle altre volontarie.
Mi ci volle un pò per capire.
Per desumere.
Il nostro vicino di casa, uno schivo israeliano che abitava a fianco a noi in una casa quasi completamente abbandonata, uno che avevo incrociato al massimo due volte in tre mesi, aveva avvicinato la ragazza di Josh – bellissima – e con la scusa di bere qualcosa in casa aveva provato a montarsela con foga.
Il paesello Kibbutz ridiscese nel caos.
Come se non fosse a fianco alla fossa delle Marianne della striscia di Gaza.
Le voci si avvicendavano:
– Lei è una troia, l’ha provocato – fu la prima voce da noi subito smentita
– No è il vicino che è pazzo – incalzò una seconda corrente.
– Josh fa bene a volerlo uccidere, se toccassero la mia ragazza farei lo stesso – alcuni lo difendevano.
– Non è colpa dell’inglese stavolta! – altri protestavano.
– Ma è possibile che lui sia sempre in mezzo?! – dubitavano tutti.
Sì. Il fantasma che aleggiava era quello.
Ogni problema aveva Josh al suo centro.
E ancora noi a difenderlo, sbigottiti da quello strano accanimento del destino.
Tutto il Kibbutz turbinava gli stessi concetti: il nostro vicino era ambiguo, sfuggente, vigliacco, asociale.
E una verità emerse dalle acque torbide del gossip e dei ricordi dei kibbutznik: il nostro vicino di casa aveva già avuto dei precedenti a sfondo sessuale.
Ma nonostante tutto la voce era una sola: non era possibile che da quel ragazzo nascessero sempre incomprensioni, dissapori, liti.
Era vero.
Intorno a Josh era emerso uno strano alone.
Qualsiasi cosa facesse era sbagliata.
Era una maglietta vestita al contrario.
Come se la parte più oscura di lui lo avesse sovrastato.
Ed ora era furente, era rabbioso ma era anche sconvolto.
Le sue paure lo circondavano come una nebbia.
Si sentiva impotente davanti a quel suo karma negativo.
Il Kibbutz nonostante la sua temporanea innocenza, lo voleva fuori.
Ora Josh aveva una prova immane davanti a sé: piegare il Destino.
Lui ci provò.
Smise di fumare.
Smise di bere.
Diceva che era una prova datagli da Dio e che lui doveva vincere i suoi demoni.
Ma bastava un respiro sbagliato che dal Kibbutz lo avrebbero sbattuto fuori.
E Josh sarebbe andato via da Israele da Loser.
Ricominciò a farci la predica.
Mentre noi fumavamo ci doveva dire che lui non ne aveva toccata una.
Mentre noi bevevamo ci doveva ricordare che il giorno dopo al lavoro saremmo stati fiacchi.
Sembrava di nuovo un predicatore.
Lo ribattezzai Saxon Wasp (White Anglo-Saxon Protestant).
Si offese perchè diceva che così offendevo la sua ragazza di colore.
Io, l’italiano politicamente scorretto.

I was marching to the wrong drum With the wrong scum Pissing out the wrong energy
Using all the wrong lines And the wrong signs With the wrong intensity
I was on the wrong page of the wrong book With the wrong rendition of the wrong look
With the wrong moon, every wrong night With the wrong tune playing till it sounded right
Wrong
Wrong (Too long) Wrong (Too long)

A parte le sue prediche ritornò esteticamente cordiale, gentile, disponibile.
Tutto cominciò ad appianarsi.
Le cose parevano che si stessero risolvendo.
Tanto che Josh quei giorni pensò pure di rimanere nel Kibbutz a lavorare per mesi e mesi.
Si riapriva l’antico miraggio della sua vittoria morale sul padre che lo trattava da perdente.
Quella sera c’era una festa di compleanno.
Ho ancora l’ultimo ricordo di Josh che sorrideva.
Era divertente, stava bevendo, anche le ragazze avevano preso di nuovo confidenza con lui.
Ho ancora quell’immagine indelebile.
Josh aveva un’aria particolarmente sensuale e divertente.
La musica era in piena.
La ragazza di Josh si chinò davanti a lui.
Josh divertito fece la mossa che piace tanto agli angloamericani ubriachi: fingere di sculacciarla e di montarla da dietro.
È il must della gloria da pista per gli angloamericani.
Quella sera era il ritorno in grande stile di Josh.
Tutti erano intorno a lui acclamanti.
Un’altra donna lo puntò, mentre lui ballava con la sua bellissima pantera.
Non credo che ci sia nulla che attiri di più una donna nel vedere un uomo con una donna molto bella.
Quella sera la donna francese di un ebreo belga era particolarmente stanca della routine.
La vidi da lontano cercare Josh col corpo, coi fianchi caldi.
Lo desiderava nel gioco voyeuristico del ballo.
Anche lei si chinò per ricevere il sigillo di un’estate sensuale.
Josh pensò che fosse divertente.
Josh lo fece anche con lei: con una mano la piegò.
Con l’altra mano mimava i colpi ritmati di cavalcate erotiche.
Me lo ricordo con quella faccia innocente guardarci felice.
Era felice di essere al centro dell’attenzione.
L’occidente.
Il belga ebreo di ultrasinisistra si avvicinò a Josh col viso sarcastico.
Josh rispose con sorriso innocente.
Lo so: era convinto della sua innocenza.
L’Occidente.
In poco tempo vidi spinte.
In poco tempo vidi di nuovo violenza.
Ci lanciammo prima che succedesse il peggio.
Secondo Josh era dalla parte della ragione perchè era stata lei ad avvicinarsi e dunque, se aveva ragione, ogni cosa era giustificata.
Ma l’alcool aveva già trasformato Josh in un titano cieco.
L’Occidente.
Il suo corpo si gonfiò irrigidendosi.
Il suo sguardo si ottenebrò.
La sua voce divenne di fuoco.
Sputava demoni.
Facemmo da cuneo spingendo via il braccio di Josh.
Ma in mano aveva già la camicia del francese.
Strappata.
Ora Josh era una furia.
I corpi si confusero.
La festa finì.
– È sempre lui! È sempre lui – dicevano.
Lo portammo via da lì a stento, per proteggerlo da se stesso.
Stava firmando la sua uscita dal Kibbutz.
– Voi non capite! – gridava come un ossesso.
La firma era già posta.
– Non sopporto la violenza! – ci bloccò tutti mentre provavamo a portarlo via.
In lui c’erano forze oscure.
– Voi non l’avete mai provato! Da quando ero piccolo tutti mi prendevano per il culo! Tutti mi picchiavano! – si agitava gridando e respingendoci come fosse braccato.
– Voi non l’avete mai provato! – ululava come una bestia ingabbiata e impaurita.
– Io so cosa significa l’umiliazione! – digrignò guardandoci tutti.
– Un giorno mi bussano a casa, mi bussano alla mia cazzo di porta di casa ed erano dei miei amici! – il suo viso cominciò a deformarsi.
Deformarsi dal pianto.
– Sì, erano dei miei fottuti amici! – urlava e piangeva.
– Io gli ho aperto la porta di casa e loro erano con dei fottuti picchiatori del quartiere! – digrignava e strideva.
– Quei figli di puttana sono entrati in casa mia e davanti a me hanno portato via tutto! Tutto! – le lacrime roventi, lo sguardo famelico.
– Davanti a me! I miei amici!
– E io non ho avuto il coraggio di fare nulla!
– Io non ho avuto il coraggio di fare nullaaaa!! – le sue mani pareva chiedessero vendetta.
– E quando è tornato a casa mio padre cosa credete che sia successo?!
– Cosa credete?! Mi ha picchiato anche lui!
– Mi ha detto che ero un perdente!
– E allora io da quel momento ho potenziato il mio corpo, ho fatto arti marziali, sono diventato un asceta perchè mi dovevo difendere, dovevo battere chi mi offendeva! – era tornato il calvinista famelico.
– Tutti mi deridevano finchè io non li ho piegati uno per uno!
– Io ho forgiato il mio corpo ogni giorno con la forza della mia VO-LON-TÁ! – ci gridava.
– Finchè non ho ottenuto il rispetto di tutti!
Le sue parole scandite lentamente.
Io vedevo un soldato.
Era solo un soldato in un paese straniero.
– In tutti questi anni ho vinto me stesso dimostrando a tutti che ero il migliore! – ci sfidava.
– Io ormai ce l’avevo fatta! Io avevo vinto me stesso e le mie paure finchè non sono venuto qui! In questo paese di merda!
-Voi non capite un cazzo! Voi non capirete maiii! – il suo corpo cominciava a cedere.
– Io non sono un perdente come dice mio padre! È da sempre che mi dice che sono un perdente! – piangeva quasi implodendo.
– È una vita che mio padre mi grida che sono un perdente!
– E questo è un paese di merda!
In quella scena delirante stavano arrivando i guardiani di turno del Kibbutz.
Per evitare che lo vedessero come un ossesso indemoniato mi avvicinai per farlo camminare avanti.
Io ero uno di quelli con cui scherzava di più.
Con me era sempre stato affettuoso.
Mentre lo abbracciavo per portarlo via mi scaraventò a terra come se io non avessi gravità.
Non c’era più amico o nemico per lui.
Non contava più niente altro che le sue ossessioni, le sue fobìe, le sue paranoie.
Mi rialzai subito ma senza nemmeno sognarmi di reagire.
Incontrai prima lo sguardo di Assim pronto a saltare addosso a Josh.
Ma fu un attimo.
In un attimo incrociammo lo sguardo con più persone.
Ebrei, arabi, volontari di altri paesi.
Ci guardammo con uno sguardo umano, condiviso.
Josh era il Leviatano occidentale: sradicato, aizzato, impaurito, micidiale, indifeso, deriso da se stesso, sordo, pungolato da ossessioni, furente, umiliato da chi ama, potente, schernito dai vicini di casa, solido, braccato da fantasmi, spaesato.
Era una mostrificazione di Cristo: sofferente e vindice.
Il FranChristein: un gigantesco Cristo trasformato in macchina da guerra senza più sentimento.
L’Occidente.
Ci guardammo tutti e nessuno ebbe più a difenderlo.
Josh era il prodotto di uno sradicamento culturale: un attimo prima era un luna park dei divertimenti, l’attimo dopo un dio irato e accecato.
Quella sera aveva firmato la sua condanna: fuori dal Kibbutz.

I was born with the wrong sign In the wrong house With the wrong ascendancy
I took the wrong road That led to the wrong tendencies
I was in the wrong place at the wrong time For the wrong reason and the wrong rhyme
On the wrong day of the wrong week I used the wrong method with the wrong technique
Wrong

PASSIONE E MORTE

Quando lo rividi era già tardi per lui.
Era l’alba.
Lo trovammo vicino a casa di Assim, nel lago.
Quando lo rividi si stava fustigando.
Si sentivano le frustate forti nella schiena.
All’alba.
Fu Assim a dirci che era lì:
– This man crazy, crazy! – ci disse Assim al telefono con spaventata urgenza.
Il suo inglese era inadatto a descrivere che un ragazzo si stava fustigando seminudo mentre gridava a se stesso che era un bambino cattivo.
Pare fosse lì da molto tempo.
– Sei un ragazzo cattivo! – si urlava colpendosi.
– Sei cattivo! – si redarguiva.
– Ha ragione papà! – il sangue gli colava lungo la schiena.
– Non sei stato capace di controllarti! – si sentiva prima dell’ennesima frustata.
Quando ci vide Josh si fermò.
Noi lo guardavamo a bocca aperta.
Ora qualcuno l’aveva visto.
L’espiazione, la Verità, la catarsi, poteva avere luogo solo se visti.
Come in televisione.
Ci guardò.
Io provai fastidio perchè avevo capito che voleva essere ospitato da Assim, il beduino arabo.
L’avevo pensato fin da subito sapendo che era lì.
Provai fastidio perchè sapevo che così avrebbe messo in difficoltà Assim.
Se l’avesse ospitato si sarebbe messo il Kibbutz contro.
E nel Kibbutz non lo volevano più vedere.
Cercare rifugio da Assim significava creargli problemi.
– La tua ragazza sta piangendo da ore perchè sei scomparso ! – gli disse Ram.
Era vero: lei era in lacrime da ore già con le valige pronte.
Spaventata e desiderosa di fuggirsene.
– Ti devi fare il biglietto Josh! – lo avvertimmo della sentenza del Kibbutz.
Josh ci guardò e provò a scusarsi con me.
Ma io gli misi un muro di apatia.
In realtà non m’importava.
Eravamo affezionati a Josh a prescindere.
Abbassò lo sguardo e ci disse:
– Credete che mi faranno rimanere fino al giorno della partenza?
– No way – gli rispondiamo.
Non esiste.
– Credete che se lo chiedo ad Assim mi farà rimanere a casa sua per qualche giorno?
– Saresti un pezzo di merda solo a chiederglielo – gli risposi immediato.
– Grazie fucking, dirty, filthy italian! Tu sì che mi incoraggi!- mi rispose ironico.
Ma almeno ci fece ridere di nuovo.
Io mi opposi per evitare di mettere in mezzo Assim che l’avrebbe pure ospitato.
Ram gli trovò una stanza per sé e la ragazza fino al giorno della partenza in un altro Kibbutz.
Dopo tre giorni lo salutammo.
Non abbiamo mai più saputo nulla di lui.
Nessuno gli aveva chiesto nè il telefono nè la mail.
– Vi cercherò io – ci aveva detto.
Sapevamo che non era vero.
Non voleva più sentire né ricordare Israele.
Non so cosa sia stato di lui.
Io lo immagino sempre a fare lo showman di successo, il politico di successo o forse il soldato.
Forse tutte e tre le cose insieme.

I was born with the wrong sign In the wrong house With the wrong ascendancy
I took the wrong road That led to the wrong tendencies
I was in the wrong place at the wrong time For the wrong reason and the wrong rhyme
On the wrong day of the wrong week I used the wrong method with the wrong technique.

Lui era l’Occidente.
Era un bambino, era un luna park, era un soldato.
Un’arma potente che prima o poi farà fuoco.
Con drammatica innocenza.
L’Occidente.

There’s something wrong with me chemically Something wrong with me inherently
The wrong mix in the wrong genes I reached the wrong ends by the wrong means
It was the wrong plan In the wrong hands The wrong theory for the wrong man
The wrong eyes on the wrong prize The wrong questions with the wrong replies.

E quando accadrà – ho sempre immaginato – che in quel momento si incrocieranno nuovamente gli occhi di tutti: ebrei, arabi, cristiani.
Gli occhi di chiunque.
Quell’attimo faremo in tempo a sentirci di nuovo tutti umani.
E capiremo.

I was marching to the wrong drum With the wrong scum Pissing out the wrong energy
Using all the wrong lines And the wrong signs With the wrong intensity
I was on the wrong page of the wrong book With the wrong rendition of the wrong look
With the wrong moon, every wrong night With the wrong tune playing till it sounded right.

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Emanuele Casula

E' nato nel 1975. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche a Bologna, è partito a lavorare in un Kibbutz israeliano, esperienza che ha indirizzato la sua vita verso la Cooperazione Internazionale e la ricerca universitaria. Ha lavorato come progettista, coordinatore e cooperante a un progetto che riutilizza le tecniche millenarie della pastorizia per rilanciare lo sviluppo rurale nel sud dell’Africa. Il suo primo romanzo, 2012 Obama’s Burnout, è pubblicato da Robin Edizioni (Roma, 2011).