Al momento stai visualizzando Musica e parole: connubio inscindibile

 

A volte mi sono posta questa domanda, soprattutto quando frequentavo le scuole elementari: “Cosa è di preciso la poesia?”.  Le poesie che ci davano da studiare a memoria quando andavo a scuola, avevano una cadenza ritmata e alla fine di ogni verso, o fra versi intercalati, stava la rima che in chi ascoltava dava una certa “soddisfazione” di carattere acustico, oltre che di contenuto e di ritmica in quanto c’era una cadenza precisa nelle varie sillabe declamate.  Per questo infatti ho sempre capito che comporre poesie non era tanto semplice, soprattutto per trovare la “rima” ed esprimere un argomento che avesse un senso.  Per tali motivi, ho sempre ritenuto che scrivere poesie fosse assolutamente privilegio di pochi (come infatti lo è) e che la poesia in se stessa fosse un’arte da considerarsi come un collegamento fra la letteratura e la musica appunto per via delle rime e della metrica. Ricordo che quando facevo la 5^ elementare, leggemmo per la prima volta in classe La Quiete Dopo La Tempesta di Leopardi. In tale occasione, provai piacevolissime sensazioni; infatti quante volte con i miei coetanei dopo un temporale o quando era evidente che stava per finire, uscivamo di casa e ci divertivamo a “nasconderci” in qualche posto tranquillo, al riparo dalle ultime raffiche di pioggia, per goderci il fresco provocato dalla precipitazione appena passata e l’ambiente magico che si veniva a creare per questo. Vedere come si risvegliava gradualmente la natura. Probabilmente anche Beethoven provò sensazioni analoghe quando scrisse la sua 6 sinfoniaLa Pastorale. Il canto di ringraziamento dei contadini alla fine del temporale, potrebbe essere paragonato a questa poesia di Leopardi.  Questa volta, con la conoscenza di questa nuova poesia (La quiete dopo la tempesta), venni a far mente locale su un nuovo modo di scrivere poesie; una cosa nuova che ancora oggi faccio fatica ad inquadrare. Nelle poesie di Leopardi infatti, non sempre troviamo delle rime e se le troviamo, sono casuali. A volte sono parole dette come fosse un semplice discorso, una relazione, una lettera. Anche in quei discorsi altisonanti, dove pullulano terminologie eccelse, parole ricercate, in cui trapela una grande erudizione, vediamo che questi (i discorsi altisonanti) nulla hanno a che fare con la poesia e invece nei discorsi di Leopardi (ovvero le sue poesie), ci si accorge subito che c’è poesia anche senza le rime e pure, di altissimo livello. Ma allora cosa è questa poesia, se si può fare poesia anche senza rispettare metrica e rime?  Che cosa la distingue ad esempio, da una semplice frase, una lettera, o la prosa?Infatti presumo che la poesia sia, al di la delle rime e della metrica, musica delle parole. E allora la musica, quale la intendiamo noi, cosa è? Musica dei suoni forse?  In tal caso però, la parola “musica”, avrebbe un ruolo di primo piano rispetto alla parola “letteratura”. Forse, per essere in “pari” e rispettare la par condicio fra queste due discipline, la musica la si potrebbe definire poesia dei suoni e la poesia musica delle parole. Se è così allora si dovrebbe, prima o poi, cambiare alcuni termini nel vocabolario italiano.  Probabilmente quella di Leopardi e di altri, potrebbe definirsimusica senza suoni (forse è più semplice cosi), realizzata solo da parole in cui è sufficiente soltanto leggere o ascoltare, per provare struggenti sensazioni, attraverso quello che tali parole e i poeti che le hanno composte, ti inducono a pensare e a considerare. A volte un brano poetico viene ascoltato con un sottofondo musicale, a volte invece potrebbe essere superfluo o addirittura di troppo perché la dolcezza espressiva che forma il testo, basta ampiamente per rendere magnificamente l’idea.  Per passare dalle intime sensazioni che il grande poeta di Recanati ha saputo trasmettere anche ai posteri (e senza il supporto della musica) al mondo della canzone e dei cantautori, farò riferimento ad un genio: Fabrizio De André. La musica leggera italiana, dalle sue origini fino ad ora, ha conosciuto trasformazioni continue, metamorfosi e innovazioni del linguaggio, dei supporti, dei contenuti, dei destinatari. Come ogni arte è specchio e serbatoio inestinguibile di informazioni sull’uomo e sul suo pensiero in evoluzione. Fabrizio De André è parte integrante di questo contesto e, proprio in tale ambito, la sua opera offre il meglio di sé. L’inizio della sua attività si colloca nei primi anni Sessanta e il successo lo accompagna fin dai primi passi. Negli anni Settanta e Ottanta riceve riconoscimenti sempre più importanti e nel decennio successivo il lavoro viene interrotto dalla morte. Lascia, come ultimo intervento, un album scritto e pubblicato nel 1996, dalla critica considerato il punto più alto da lui toccato fino a quel momento. Un’evoluzione continua, dunque, riscontrabile sia nell’espressione musicale sia nell’espressione testuale. L’esordio di Fabrizio De André come cantante coincide con un periodo di palpabile fermento nel mondo della musica e nella società italiana. A questa fase di rinnovamento egli partecipa attivamente, muovendo la sua personale ricerca in direzione di nuovi contenuti e nuove forme. La finalità di De André e di altri cantautori è accompagnare alla musica una maggiore profondità testuale, una varietà di argomenti “alti” e “altri” rispetto alla tradizione canzonettistica del paese. Ne consegue la necessità di conformare alle nuove e più impegnate tematiche un linguaggio e una forma adatta a sostenerne lo slancio. Nell’ascoltare le canzoni del cantante genovese ci si accorge immediatamente della cura che la scelta di ogni parola ha richiesto. Come nella poesia ogni termine occupa un suo posto specifico (per significati, musicalità, esigenze metriche o stilistiche), allo stesso modo, nelle canzoni di De André, la parola impiegata colma tutto lo spazio a sua disposizione e ha un’assolutezza che la fa apparire come insostituibile. L’incontro dell’autore con la poesia non è, però, immediato. Mentre la sua musica guadagna in atmosfere e la sua riflessione in spessore matura anche l’espressione poetica, o meglio, la poeticità dei suoi versi. Il cantautore Roberto Vecchioni ha detto che la canzone ha un impatto con la gente, soprattutto con la massa, molto più forte che non la sola poesia in quanto, a parte tutti i mezzi di comunicazione di cui dispone la moderna società, se al testo (o poesia) di una qualunque canzone, c’è il supporto della melodia, la parola viene come esaltata da essa ed acquista più significato.  Quante volte ci capita di non ricordare più alcune parole del testo di una canzone ma ricordiamo molto bene la melodia legata a quella parola ed ecco che alla fine, ci ricordiamo tutto quanto. Altre volte invece non ci ricordiamo la melodia ma invece ricordiamo bene le parole, ed ecco che tutto ancora ci viene in mente. Se poi queste parole non sono parole messe così, ma sono sentite, l’effetto sarà molto più grande. Fabrizio De Andrè è cantautore ma soprattutto poeta. La sua musica è poesia e la sua poesia è musica. Due elementi inscindibili che insieme rendono geniali le sue composizioni. Ritengo che colui che si possa ritenere realmente artista e cantautore, colui che sappia fare davvero della buona musica, sarà in grado di conciliare perfettamente musica e parole, senza che la prima abbia la meglio sulle seconde e viceversa. Ma anzi, la musica sarà indispensabile per le parole e viceversa. Come in un perfetto connubio che darà vita al capolavoro.