Al momento stai visualizzando Le piste di carta. Realtà e finzione intorno a Ettore Majorana (2)*

(Continua da Lunarionuovo n. 71/53 nuova serie, gennaio 2016)

 

Ettore-Majorana-3

 

(…)

Leonardo Sciascia esprime su queste carte netto giudizio.
In esse vi è “un ordine, un preordine, una compostezza, un gioco al limite dell’ambiguità che non possono non essere voluti”, e voluti in funzione di una scomparsa che Sciascia vede “come una minuziosamente calcolata e arrischiata architettura: qualcosa di simile alla beffa architettata da Filippo Brunelleschi a danno del Grasso Legnaiuolo[1].
E’ l’ipotesi letterariamente più seducente (insieme con l’idea che, mentre Fermi era sul punto di ricevere il Nobel per la scoperta delle reazioni nucleari mediante neutroni lenti, Majorana intuiva già il passaggio di Fermi negli Stati Uniti, con quello che Fermi avrebbe potuto fare avendo a disposizione un laboratorio come quello di Los Alamos, e ne scorgeva già in lontananza gli effetti sugli abitanti di Hiroshima e di Nagasaki). Un’ipotesi secondo cui, se non fosse per il foglio intestato al Grand Hotel Sole di Palermo, si potrebbe benissimo immaginare che Ettore Majorana sia uscito dalla propria stanza dell’Albergo Bologna con già in tasca anche la seconda lettera per il Professore Carrelli. Un’ipotesi da Sciascia fondata (oltre che sul proprio intuito di grande scrittore, e non è poca cosa) sulla grafia di Majorana, priva, rileva Sciascia, di quella alterazione, di quella scomposizione, del caos, che costituiscono note costanti nelle lettere dei suicidi.
Ed è l’ipotesi cui a lungo pure noi abbiamo creduto (con Sciascia, e per Sciascia).
Sennonché, una piccola incongruenza, cui poi altra più grande si è venuta aggiungendo, ha destato in noi un principio di ripensamento, un che di dubbio, di cui stiamo provando a venire a capo con la scrittura di queste note.
L’incongruenza è nell’incipit della seconda lettera al Professore Carrelli, là dove Ettore Majorana scrive: “… spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera”.
E’ una piccola incongruenza, per la quale, tuttavia, parodiando Caccioppoli, viene fatto di osservare:
Non se sei un matematico; un matematico ha soltanto da sperare che la lettera non sia arrivata prima del telegramma”.
Non che telegramma e lettera fossero arrivati insieme doveva, dunque, sperare Majorana (o dire di sperare), ma che la lettera non fosse arrivata prima del telegramma, i restanti casi essendo, tutti, parimenti, non allarmanti per il Professore Carrelli.
L’altra incongruenza è nella grafia di Majorana, nella grafia delle prime due lettere, quella per la famiglia e quella per il Professore Carrelli spedita da Napoli[2].
La grafia di queste lettere è, come osserva Sciascia, pulita, ordinata, non dissimile dal resto degli scritti lasciati da Majorana, ma con ciò di particolare: che nella lettera per il Professore Carrelli, e solo in questa, la scrittura ha andamento discendente.
L’incongruenza non sta nel fatto che in questa lettera Majorana non tenga, come si dice, il rigo (“la scrittura Discendente – afferma un esperto – indica mancanza di fermezza per debolezza (morale e/o fisica), quindi tendenza a smarrirsi, a deprimersi di fronte alle difficoltà e allo sforzo”, e ne riportiamo le parole per far partecipare il lettore all’effetto di meraviglia che abbiamo provato noi nel leggere della tendenza a smarrirsi imputata dall’esperto a chi non riesce a tenere il rigo)[3]. L’incongruenza sta nel fatto che, delle due lettere scritte da Majorana lo stesso giorno (e, a giudicare dal loro contenuto, ci pare di potere dire scritte da Majorana una di seguito all’altra, prima quella al Professore Carrelli, subito dopo quella alla famiglia), una soltanto è scritta con tratto discendente.
Il non tenere il rigo, lo scrivere verso il basso, non è un connotato fisso e invariabile della scrittura di un individuo, lo sappiamo bene; esso dice soltanto di uno stato di abbattimento morale, suscettibile di perdurare nel tempo, ad esempio per causa di depressione, come pure di passare con la stessa rapidità con cui è venuto, di modo che, in questo caso, la grafia va giù ma poi torna su (anche nello stesso scritto) lasciando sul foglio la traccia di quel momento isolato di scoramento. Che nello scrivere la lettera al Professore Carrelli Ettore Majorana abbia provato un senso di scoramento che non ha provato nello scrivere la lettera alla famiglia, che nello scrivere la lettera alla famiglia lo scoramento si sia comunque attenuato al punto di permettere a Ettore Majorana di tornare a tenere il rigo, non è dunque di per sé incoerente, non dà luogo di per sé a incongruenza.
L’incongruenza viene fuori però non appena si suppone che queste due lettere siano state scritte e concepite da Majorana con già in mente, netto, definito, preciso, il testo della lettera che poi scriverà a Palermo, secondo un disegno, un piano, già meticolosamente messo a punto in ogni particolare, e dal finale deciso una volta per tutte.
Si dirà che sono incongruenze di poco conto, e, sì, certamente lo saranno: ma sufficienti a guastare l’idea che la scomparsa di Majorana sia una minuziosamente calcolata e arrischiata architettura, e sufficienti pure a privare la teoria di Sciascia della sua forza di seduzione (e da qui sorge in noi il motivo di dubbio, il principio di ripensamento).

Con ciò non si vuol dire che Majorana abbia scritto le prime due lettere senza avere un piano, un’idea di quel che stava facendo, di quel che avrebbe fatto; e neppure si vuole dire che questo piano, questa idea, non contemplasse già quel che poi Majorana ha fatto. Si vuol dire soltanto che Majorana ha scritto le prime due lettere con in mente un piano, un’idea, in cui quel che poi ha fatto non era che il realizzarsi di una delle diverse possibilità, delle possibili ‘soluzioni’, per dirla alla Caccioppoli, tra le diverse possibilità, tra le diverse soluzioni, che Majorana aveva pensato per il proprio ‘caso’. E parliamo di ‘caso’, sia perché abbiamo ancora in testa l’aneddoto di Caccioppoli – “un matematico mette la pentola sul tavolo da cucina e si riporta al caso precedente” – sia perché di ‘caso’, in rapporto a quel che aveva fatto, in rapporto a quel che stava facendo, a quel che ancora restava da fare, è lo stesso Majorana a parlare, nella seconda lettera al Professore Carrelli – “Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente” -, in un’accezione di significato che a noi pare in tutto e per tutto identica a quella intesa da Renato Caccioppoli. Del resto, che Majorana sia partito da Napoli con in mente diverse possibilità, in merito a ciò che lo aspettava dopo l’imbarco sul “postale” per Palermo, sembra in qualche modo venire fuori nella prima lettera al Professore Carrelli:
“…dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo”.

 

(Continua nel prossimo numero di Lunarionuovo…)

 

Note

[1] Leonardo Sciascia, La scomparsa di Ettore Majorana, Adelphi, ed. VII, Milano, 2001, pag. 69 e 73.
[2] Le lettere sono riprodotte fotograficamente in Erasmo Recami, cit..
[3] Lidia Fogarolo, in www.grafologiamorettiana.it/apprendimento/elearning/lezioni/rigo_base.