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Nel suo celebre saggio L’amore e l’Occidente, Denis de Rougemont mette in rilievo come sia l’accordo amore-morte a sancire il successo del romanzo, poiché l’amore felice non garantisce storia alcuna. Difatti, questo connubio è inscindibile e garantisce la narrabilità di una storia. La passione d’amore costituisce di fatto un’infelicità: «La società in cui viviamo, e i cui costumi non sono in fondo mutati, sotto questo rapporto, da secoli, porta l’amore-passione, nove volte su dieci, a rivestire le forme dell’adulterio»[1. D. DE ROUGEMONT, L’amore e l’Occidente, traduzione di Luigi Santucci, Milano, Rizzoli, 1977, p.59. ] De Rougemont, però, non si limita ad identificare amore e morte. Egli individua una sorta di masochismo nell’uomo, poiché a suo parere non fa che ricercare ciò che, in quanto proibito, è causa d’infelicità.
Un amore felice non fa storia, non garantisce l’intreccio, la narrabilità. La proliferazione del tema dell’adulterio all’interno del romanzo ottocentesco spinge de Rougemont ad affermare che se qualcuno giudicasse gli occidentali per le loro letture, l’adulterio sembrerebbe essere una delle loro occupazioni principali. «Senza l’adulterio che ne sarebbe di tutte le nostre letterature? Esse vivono della «crisi del matrimonio». Nel 1881 in Francia la Camera dei deputati boccia un disegno di legge sulla separazione coniugale. Zola allora pubblica su Le Figaro un articolo contro la legalizzazione del divorzio: sostiene infatti che questa sottrarrebbe terreno fertile ai romanzieri[2. E. ZOLA, Le divorce et la littérature, in Id., OEuvres complètes, éd. Par H. Mitterrand, Paris, 1966, vol. XIV, pp. 543-546. ]. L’autore de L’amore e l’Occidente ipotizza che l’adulterio scaturisca da un intimo desiderio d’evasione da una terribile realtà, e individua nel mito di Tristano e Isotta il capostipite di una lunga serie di adulteri. Così come il mito nasce per contenere l’impeto, l’istinto, anche il romanzo che narra l’adulterio ha spesso un intento moraleggiante, d’ammonimento, come a dire “guardatevi dal commettere ciò che hanno compiuto questi personaggi”. Non dimentichiamo che Flaubert fu accusato di «oltraggio alla morale pubblica e religiosa e ai buoni costumi» insieme al direttore responsabile della rivista Revue de Paris, sulla quale era apparsa la storia di Emma Bovary a puntate, e persino allo stampatore, colpevole, secondo l’accusa, di non essersi rifiutato di stampare quell’opera immorale[3. S. DE LAUDE, Nota introduttiva a Atti del processo a “Madame Bovary”, in Gustave Flaubert, Opere, vol. I, Milano, Mondadori, 1997, p.1217. ].
Ravvisiamo senza dubbio in Madame Bovary (1857) il romanzo d’adulterio per eccellenza. Compare a puntate sulla Revue de Paris nel 1856 e viene tacciato di immoralità. Le vicende di Emma, sposa infelice di Charles, altro non sono che un pretesto per far sì che Flaubert possa dar voce alla critica della tanto odiata borghesia – che nel periodo narrato è nel pieno della sua fioritura – rea di vivere al di sopra delle proprie possibilità. Flaubert prende spunto dalla vicenda di una borghese di provincia, Delphine Delamare, che si era avvelenata nel 1848 dopo aver avuto diversi amanti e aver condotto alla rovina il marito, uccisosi anche lui. Ci sembra superfluo riportare la trama di questo notissimo romanzo. Piuttosto, vorremmo soffermarci sugli aspetti che permisero la sua espansione all’interno della cultura europea dell’epoca. Flaubert è attento alla condizione femminile: Emma desidera che il bambino che porta in grembo sia un maschio:

[…] sarebbe stato forte e bruno, si sarebbe chiamato Georges; e quest’idea di avere un maschio per figlio prefigurava la rivalsa su tutte le frustrazioni del passato. Un uomo, almeno, è libero; può esplorare le passioni e i paesi, superare gli ostacoli, assaporare le gioie più remote. Ma una donna è sempre incatenata. Inerte e insieme flessibile, ha contro di sé le debolezze della carne e i rigori della legge. La sua volontà, come il velo del suo cappello trattenuto da un nastro, palpita a ogni vento, e c’è sempre qualche desiderio a darle slancio, qualche convenzione a trattenerla[4. G. FLAUBERT, Madame Bovary, in id., Opere, vol. I, traduzione di M.L.Spaziani, Milano, Mondadori, 1997, pp.605-606. ].

Flaubert viene accusato anche di incoraggiare l’adulterio. L’avvocato imperiale Pinard afferma nella sua requisitoria:

Il romanzo […] è intitolato Madame Bovary; potete dargli un altro titolo e chiamarlo a buon diritto: Storia degli adultèri di una provinciale7. No! Il sottotitolo di quest’opera non è Storia degli adultèri di una provinciale; è, se proprio vi serve un sottotitolo: Storia del tipo di educazione che troppo spesso si dà in provincia; storia dei pericoli ai quali essa può condurre, storia della degradazione, della furfanteria, del suicidio considerato considerato come conseguenza di un primo errore, e di un errore derivato anch’esso dai primi sbagli che spesso una giovane donna può commettere; storia dell’educazione, storia di una vita deplorevole di cui troppo spesso una educazione sbagliata è la premessa […] Ci presenta una donna che arriva al vizio a causa di un matrimonio non adeguato e dal vizio all’ultimo stadio della degradazione e della sventura[5. Atti del processo a Madame Bovary, in G. Flaubert, Opere, cit., p.1227.].

E ancora Sénard ribatte all’accusa di incoraggiare l’adulterio rispondendo che Emma è vittima di un castigo finale (la morte) dopo aver soddisfatto tutti i suoi piaceri. L’Ottocento è un epoca religiosa, richiamarsi al castigo divino per aver trasgredito le leggi morali e naturali è quasi d’obbligo. Ma la morte di Emma, in realtà, può essere intesa come la sua liberazione dal gretto mondo borghese, tanto odiato da Flaubert: in questo caso non si tratterebbe di un castigo, ma di un affrancamento da una condizione di asservimento.
La risonanza che ebbe l’adultera per antonomasia nella letteratura europea ed italiana fu enorme. Si pensi ad Effi Briest (1895): le iniziali sono uguali a quelle della signora Bovary; al Cugino Basilio di Eça de Queiros, alla Anna Karenina di Tolstoj, che morirà gettandosi sotto un treno, a La lettera scarlatta di Hawthorne, ed infiniti altri romanzi.
Nella letteratura dell’Ottocento la donna fa emergere il lato messo in ombra dalla società borghese e dal matrimonio borghese, specchio delle contraddizioni interne di questa nuova società che si è costituita. Le adultere sono donne stanche, annoiate, sposatesi per obbligo, per obbedire alle esigenze di una società che guarda al profitto e a come ottenerne sempre di più. Donne che, in presenza d’uno sguardo diverso da quello del marito cui sono abituate, di un’occhiata che manifesta reale interesse, accusano per la prima volta i sintomi della passione amorosa che le travolge e fa tramontare l’illusione della Austen di coniugare la ragione con il sentimento. Ma l’amore è destinato a finire, è qualcosa di effimero, che travolge al momento e poi, passato l’ardore dei primi tempi, si spegne inesorabilmente e lentamente. Allora, a queste adultere che hanno cercato a lungo la felicità in un sentimento che presto o tardi si rivela vano, altro non resta che la morte, di derivazione romantica, per mano propria o di altri. Se la protagonista del romanzo settecentesco era stata, in molti casi, una moglie (pensiamo alla già citata Pamela di Richardson), l’eroina del romanzo ottocentesco è l’adultera. Una donna che non si lascia definire dal ruolo di moglie e madre, ma che al contrario con il suo adulterio si ribella alla società maschilista, rivendicando la propria identità di “donna, e basta”. Questo perché la figura femminile all’interno della società era vista come quella di colei che doveva occuparsi del focolare domestico e mettere al mondo una nidiata di bambini. L’adultera, proprio per la sua natura eversiva, proprio a causa del turbamento che arreca ad un ordine sociale e morale ben preciso, deve essere eliminata fisicamente dalla società.
Si possono trovare delle costanti tra questi romanzi d’adulterio? Difficile dare una risposta poiché, come suggerisce Emilia Fiandra[6. E. FIANDRA, Desiderio e tradimento. L’adulterio nella narrativa dell’Ottocento europeo, Roma, Carocci, 2005, p.16. 21. ], le aree culturali che li generano sono molto differenti, ma può comunque esserci un legame tra i vari romanzi che narrano questa trasgressione. L’atto che viene commesso è già espressione di una crisi dell’istituzione familiare. Come evento narrato, invece, dimostra la crisi dell’atto del narrare. Nel saggio Narrare o descrivere, Georgy Lukács contrappone la narrazione alla descrizione: narrare rappresenta l’azione, descrivere è osservare. Dal 1848 in poi (data che per lui segna l’involuzione della borghesia) si descrive, e questo segna la crisi della narrazione. Del resto, Auerbach[7. E. AUERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirkichkeit in der abendlandischen Literatur, Bern, Franche, 1946; trad. it. Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 1984, vol.II, pp. 255-265. ] ravvisa nella scena del pranzo di Emma e Charles Bovary il fondamento del realismo moderno. L’avvento della descrizione in Francia coincide proprio con Madame Bovary, e i romanzi finora menzionati sono tutti successivi al 1848, e sintomatici della crisi della narrazione, oltre che della società. In molti romanzi l’adulterio viene evitato (pensiamo a L’educazione sentimentale dello stesso Flaubert), oppure non viene descritta la scena dell’amplesso. Questo, però, non vuol dire che l’atto, soprattutto nel primo caso, non incida (o lo faccia meno) sulla vicenda narrata o sulla storia del personaggio. Un famoso adulterio mancato è quello delle Affinità elettive di Goethe: non c’è una notte d’amore tra Ottilie ed Eduard, né tra Charlotte e il capitano, ma il bambino che Charlotte aspetta e concepito nell’amplesso con il marito, “misteriosamente” avrà le sembianze di Ottilie e del capitano, poiché durante il rapporto Charlotte pensava al capitano ed Eduard ad Ottilie. Un adulterio a lungo vagheggiato, anche se non realmente consumato, non ha importanza minore rispetto ad uno che viene concretizzato. Una costante cui accennavamo in precedenza è la triste fine dell’adultera: tranne rarissime eccezioni, i romanzi che narrano l’adulterio non conoscono happy end. Un altro punto comune è l’importanza dell’inizio della narrazione, piuttosto che della fine. L’avvio è infatti di fondamentale importanza. Inoltre, come suggerisce Emilia Fiandra, spesso il mediatore è un libro: pensiamo a Paolo e Francesca che consumano il tradimento “grazie” alla mediazione del libro che stavano leggendo, che narra la storia dell’adulterio di Lancillotto e Ginevra. Ma anche in Madame Bovary, nell’Illusione di Federico De Roberto, per non citarne che alcuni, le future adultere crescono leggendo romanzi e fantasticando sulle avventure di quelle eroine. Alla letteratura viene riconosciuto così un potere di mediazione particolare, forse eccessivo. Dunque, nonostante la diversità dei contesti culturali, è possibile riscontrare alcune costanti tra i vari romanzi d’adulterio. Al capostipite per eccellenza tra questi, però, si deve la coniazione del termine “bovarismo”.

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Maria Gabriella Di Chiara

Classe 1986, vive a Morano Calabro. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università della Calabria, con una tesi dal titolo Contratto e trasgressione: l’adulterio nella narrativa italiana del secondo Ottocento, di cui pubblica qualche estratto a partire dal n. 46 di Lunarionuovo. Attualmente frequenta un master in Didattica dell’Italiano e fa parte dell’associazione culturale “Il Sileno”. Si interessa di questioni relative alla Shoah e ha collaborato alla realizzazione di incontri preparatori di lettura e cineforum in vista del convegno sulla “Giornata della Memoria” che ogni anno, dal 2007, si tiene all’Unical.