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Mimmo Paladino, La conoscenza

 

La sala era gremita. Un uditorio silenzioso e attento fissava il conferenziere che aveva dato inizio alla sua relazione. Ma di che cosa stava parlando? Ah sì! Della poesia di un certo Persio. Un poeta latino vissuto al tempo dell’imperatore Nerone. Che pazzo, quel Nerone! Divertente il giovane conferenziere. Seduta in prima fila, lei lo osservava con molto interesse. A un certo punto, però, quello si era domandato se Nerone fosse davvero pazzo. Per alcuni studiosi i dubbi sulla reale gestione del potere da parte di quell’imperatore non erano pochi… E poi: “gestione” o “digestione”? Quale parola aveva usato il giovane conferenziere?… Non l’aveva afferrata… Accidenti! Con certe parole non aveva ancora troppa confidenza. Doveva assolutamente impararle, e anche in fretta. Rischiava di fare certe figuracce! Come quella volta che, fra una parola e l’altra, aveva chiamato afroasiatiche le sostanze afrodisiache, e le sue amiche si erano messe a ridere… O come quell’altra volta che le aveva divertite raccontando, con una battuta involontaria, che un tizio era morto cadendo nella “tomba” delle scale… Ma quel conferenziere sapeva davvero calamitare l’attenzione del pubblico. Ed era anche bello. Non aveva potuto fare a meno di notarlo. Anche le scarpe erano importanti. Ma un po’ nervose. Sembrava ballassero il tiptap sotto il lungo tavolo delle conferenze… Un bell’uomo davvero… Palestrato, quarant’anni più o meno, simpatico a prima vista… Scarpe scamosciate Tod’s… Completo di tweed Zegna… Profumo Chanel Monsieur, ci avrebbe scommesso…
Dunque, Persio… Il conferenziere ora, rivolgendosi ai presenti, domandava una cosa sicuramente importante, perché un leggero fremito li aveva attraversati. «Qual è la libertà che ci allontana dalla schiavitù delle passioni?» Questo domandava all’uditorio. E si divertiva a fare paragoni… Ora faceva uno strano paragone fra la conquista della cittadinanza romana da parte di uno schiavo diventato liberto, e la conquista della libertà interiore che non richiede alcuna cerimonia ufficiale. Divertente anche questo… “Liberto”? “Libero”? Accidenti! Doveva stare più attenta…
Le veniva in mente la sua vita di qualche anno prima… Il marito stalliere, lei domestica a tempo pieno. Il padrone, un noto e ricco avvocato. Grande e lussuosa la casa-fattoria sulle prime colline in vista della città. Tutto grande e sfarzoso in quella casa. Feste, una dopo l’altra. Grandi tavolate e facoltosi commensali. Uomini eleganti e donne ingioiellate. Chiacchiere e musiche, canzonette e balli. Giochi, svaghi, divertimenti. Ma erano i cavalli la più grande passione del signore e della signora. Tanti e di razza, per le lunghe cavalcate nei boschi intorno alla fattoria… Per lei, donna tuttofare, una vita da vera schiava. Stessa storia per il marito: all’occorrenza custode, giardiniere, elettricista, idraulico, meccanico, oltre che stalliere. Poi, inaspettatamente, era successa una cosa incredibile. Un vero miracolo. Il marito aveva vinto una somma enorme al Superenalotto. E la vita era cambiata da così a così. Una villa tutta per loro, più grande e più bella di quella dell’antico padrone. Gioielli costosi, abiti firmati, scarpe e borse coordinate, acconciature all’ultima moda. Insomma, lo stile di vita dell’antica padrona. Certo, lei non era preparata a viverla, quella vita da neoricca. Ma lo spirito d’imitazione aveva avuto il sopravvento, e l’aveva aiutata a farsi strada in una società che adulava i parvenu, anche se li derideva alle spalle. Lei, però, avvertiva che tutta quella ricchezza non avrebbe mai potuto nascondere la sua grande ignoranza… Per questo aveva deciso di non mancare agli appuntamenti culturali più reclamizzati in città…
Dunque, per la liberazione di uno schiavo si seguiva una specie di cerimonia pubblica davanti al pretore. Una cerimonia davvero curiosa. Persio la ricordava in una delle sue poesie. Così diceva il conferenziere. E quelle poesie, le aveva chiamate “satire”, chissà perché poi… Le satire, per lei, erano quelle che facevano i comici con le loro battute sui politici… Anche il giovane conferenziere sapeva far ridere. Per esempio, quando raccontava che Persio preferiva restarsene in casa con la madre e le zie, studiava anche di notte e frequentava un filosofo che aveva un nome incredibile: Cornuto. E anche questo Cornuto passava le notti a studiare, tanto che era diventato pallido come un fantasma. Ci fossero state, a quel tempo, le lampade UVA, non ne avrebbe approfittato… Era fatto così, quel filosofo… Un filosofo stoico. Perché seguiva gli insegnamenti di un certo Cleante, un altro stoico… Ma “stoico” o “storico”»? Non ricordava bene… Accidenti! Doveva proprio stare più attenta e imparare bene le parole… Persio, Cornuto, Cleante… Che nomi strani!… E poi si contentavano proprio di poco, quegli antichi filosofi… Niente lussi, niente palestra, niente vino, niente donne! Persio, così raccontava il conferenziere, una volta aveva messo il piede nel quartiere più malfamato di Roma, la Suburra, e se n’era tornato a casa sconvolto…
Il conferenziere aveva capelli biondi, fitti, lisci e spioventi. Ogni tanto, con un rapido colpetto della mano, rimetteva a posto la bella frangia che gli scivolava sulla fronte… Adesso il discorso si faceva più facile. Parlava anche di un altro poeta. Che era di Recanati e aveva passato la vita, anche lui, a leggere e a scrivere. Tanto che si era rovinato la salute, ed era morto piuttosto giovane. Come Persio. Tutt’e due, poi, morti per un imbarazzo di stomaco… Come morte, non c’era che dire…
Dunque, nell’antica Roma il padrone conduceva davanti al pretore lo schiavo da liberare. A quei tempi esistevano i littori, una specie di scorta ai magistrati, e camminavano portando un fascio di verghe legate con in cima una scure. A un certo punto della cerimonia lo schiavo da liberare, che di nome poteva fare, per esempio, Marco Dama, riceveva da uno di questi littori un colpetto di verga, dopo di che il padrone gli faceva fare un giro su se stesso e, nel frattempo, recitava una formula del tipo: «Da questo momento tu sei un libero cittadino romano». L’ex schiavo veniva quindi registrato in una delle tribù di Roma, riceveva un prenome e si metteva in testa un berretto a forma di cono, per far vedere a tutti che lui ormai era un uomo libero. E gli si doveva rispetto… Era lo stesso che vincere a una lotteria. E la vita per lui cambiava da così a così… Dunque questo Marco Dama, un bugiardo ubriacone che prima doveva badare alle bestie del suo padrone e che nessuno prendeva in considerazione, adesso come prenome aveva, per esempio, Publio e faceva parte, per esempio, della tribù Velina. Interessante, no? E poteva succedere che se uno aveva bisogno di una garanzia, che so, per ottenere un prestito di denaro, poteva chiamarlo. E costui, grazie a quella giravolta davanti al pretore, poteva benissimo fare da garante. Il conferenziere riproduceva la scena con voce comica: «L’ha detto Publio Marco Dama della tribù Velina! Mettici la firma! Sigilla gli atti!»… E qual era il succo di questo discorso? Che nessun colpo di verga e nessuna giravolta possono mai dare la vera libertà, la libertà del sapiente, quella che allontana dalle passioni disordinate dell’animo umano: avidità, lussuria, ambizione… Così concludeva il bel conferenziere, dando un ultimo colpetto alla bionda ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi…
Lei lo guardava affascinata, ammirata, conquistata… Stupenda cravatta Ferragamo… Costosissimo Rolex d’oro al polso… Eleganti occhialini Cartier… Fine cartella Gucci sul tavolo… Domani lo avrebbe raccontato alle sue amiche… Davvero un bell’uomo… E anche ricco…

 

Mimmo Paladino, La conoscenza
Mimmo Paladino, La conoscenza