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Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate, nude e isteriche…”

I primi due versi di “Urlo” di Allen Ginsberg, poeta americano della Beat Generation, mi ha condotta a riprendere in considerazione un pensiero e, di conseguenza, a sollevare una questione che non tocca soltanto una coscienza generazionale, ma soprattutto morale.

Ed è nella sua risoluzione più affine a me che il problema della generazione tocca profondamente l’aspetto culturale che mi circonda.

Una nuova generazione di scrittori quindi, poeti, pensatori, moderni dattilografi bloccati davanti a schermate di personal computer, grandi mainframe contenenti caratteri digitali e che hanno sostituito, (si spera, mai del tutto), la religiosità dell’ispirazione su carta bianca.

Così come Ginsberg, ma con fare da studentessa dalla penna un po’ polemica, anche io mi accosto all’orecchio dei miei coetanei, aspiranti premi Pulitzer o Nobel di una letteratura ammassata nei supermercati vicino al reparto frutta, e quelle che sento sono lamentele continue: “E’ il sistema che non funziona”.

Sacra verità Signori, ma non dogma assoluto. C’è anche da dire che questa nuova generazione di scrittori abilitati dal sistema Internet, ha scambiato la libertà di espressione, attraverso blog e social network, per una commercializzazione gratuita e spesso spavalda dell’ignoranza. Basta mettere tutto tra virgolette alte e basse, e il gioco è fatto. Non funziona esattamente così. Se esiste una nuova generazione che aspira alla gloria della copertina stampata con nome e cognome, ai fasti dell’assegnazione di un codice IBSN, bisogna anche ricordarsi che di generazioni prima di noi, ce ne sono state, e che la grammatica esiste e non si offende se viene correttamente chiamata in causa. Non ne faccio solo una questione morale, ne faccio una questione estetica, sperando che Benedetto Croce non si rivolti nella tomba. E’ orribile vedere una “a” con funzione ausiliare senza la sua “h”. Perché anche la grammatica ha le sue regole e la sua bellezza. Di certo, non sono questi i problemi che affliggono la grande cultura o la nostra Italia in crisi, ma anche Dante, dopo 100 cantiche e tutti i casini con Beatrice e Virgilio per entrare in Paradiso, direi che un po’ di riconoscenza intellettuale la merita.

Ora, noi amanuensi del nuovo millennio, nuova generazione che scopre il vocabolario italiano grazie al gioco in formato App, ovvero Ruzzle (non tutti, ovviamente!), dovremmo abbassare la cresta e gli allori letterari con cui ci incoroniamo senza fare attenzione ad “orrori” grammaticali e disastri sintattici. Ci vuole un’umiltà della parola, una preparazione e un amore per la letteratura che si nutre soltanto leggendo, senza voli pindarici verso universi di paradigmi impossibili. C’è bisogno della formazione, anzitutto. Proprio come i romanzi di formazione. E allora, forse, saremo le migliori menti della nostra nuova generazione. Sicuramente, scommettendo in un gioco delle probabilità che il sistema, quello di cui ci lamentiamo, (ma che al tempo stesso usiamo), non cambierà mai, che sarà sempre pronto ad ammassare sulle scrivanie di editori bozze mai lette di talenti che non verranno mai scoperti.

Oppure, possiamo essere il cambiamento. La nuova generazione affamata, ma cosciente del suo retaggio culturale, figlia di una preparazione per cui è stata istruita. Insomma, non siamo né pazzi, né morti di fame, né nudi (una foglia di fico in territorio ibleo è sempre facilmente reperibile…). Facciamo attenzione alla scrittura e nutriamola della migliore tradizione intellettuale che possediamo. La cultura si fa con la cultura.

 

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