Al momento stai visualizzando Dodici domande a Giuseppina Radice

Non è una intervista ingabbiata e formale quella che proponiamo ai lettori di Lunarionuovo. La professoressa e scrittrice Giuseppina Radice ha acconsentito alla nostra richiesta di rispondere “A voce libera” e ha mantenuto la promessa, confermando la sua ormai nota capacità di comunicare senza reticenze o con mezze parole.
giuseppina-radiceIl ringraziamento che le abbiamo rivolto a conclusione dell’incontro sono certa che sarà ripetuto da tutti i lettori che seguiranno questa sua carrellata di piccole grandi e vere lezioni di vita. Che sono lezioni di doppio valore, infatti la vita come arte ci offre una sterminata continuità di emozioni che arricchiscono e danno identità incancellabile a quell’altro aspetto della vita che definiremo “biologico-intellettuale”.  L’arte come creatività e come coscienza capace di leggere il mondo e interpretarlo, comprenderlo e rinnovarlo con la creatività, la passione, la sensibilità di vedere non solo dove tutti vedono ma in quell’”Oltre” che solo l’Arte può offrire.
Complessa e inarrestabile nella sua missione nobilissima di docente,  la personalità di Giuseppina continua a rappresentare un punto di riferimento per la sua vastissima cultura scientifica, per la sua singolare capacità di penetrare oltre la superficie quotidiana della realtà e della fenomenologia e per leggere, appunto, nei segni che definiamo “Futuro”. Questa capacità è il segnale che rende interessante ogni suo intervento, come dimostrano i suoi libri nei quali accanto alla panoramica scientifica degli assunti troviamo spiccante la ricerca del nuovo, la forza intellettuale di chi dà l’esempio. Ed ecco la dovizia di argomenti che troviamo in queste dodici risposte alle altrettante nostre domande per i lettori di Lunarionuovo. (Stef.Cal.)

 

1. Cosa rappresenta per Lei l’insegnamento?

Una responsabilità morale. E’ lavorare molto sperimentando una metodologia di comunicazione adeguata a trasmettere le conoscenze e, nello stesso tempo, comprendere, valorizzare e potenziare le capacità degli studenti. Senza gelosie di alcun tipo e con generosità. A questa base morale irrinunciabile che è parte integrante di me e che mi appartiene anche per tradizione familiare, ho aggiunto tutto l’entusiasmo di cui sono capace. Ho voluto controllare. Sul Devoto Oli alla voce entusiasmo,si legge: <<incontenibile spinta ad agire e operare dando tutto se stesso; partecipazione totale, gioiosa o ammirativa a ciò che si vede o si ascolta>>. Oltre a considerarlo anche un gran divertimento l’insegnamento è stato (sono stata collocata a riposo dopo 43 anni di insegnamento effettivo!), per me, un privilegio. Interagire con la parte più sana e fresca della società e guidare la crescita attraverso la formazione di un pensiero personale e la scoperta di sé è, per il Docente, una vera responsabilità morale. E deve esserlo anche nel 2017 e oltre.

2. Cosa è per lei l’arte?
L’arte è cultura e  la cultura deve essere anche  relazione. Se questo passaggio avviene si crea una fonte di arricchimento personale a getto continuo.  Ho imparato presto, e ne sono ancora personalmente convinta, che attraverso l’arte si possa insegnare la vita spiegando – per far comprendere a chi ascolta – che ogni artista deve sempre cercare dentro di sé, scoprire e avere il coraggio di tirare fuori, nella forma più adeguata, il suo pensiero. Ed in questo si espone. Così si cresce nell’arte e nella vita. Mi definisco “tecnicamente accademica ma antiaccademica per scelta”  e per questo considero artista, in maniera del tutto laica, ogni persona che investe le sue energie migliori in ciò in cui crede. L’importanza della cultura e, nello specifico, dello studio dell’Arte non è soltanto una meravigliosa compagnia ma anche una conquista di libertà nel confronto continuo con pensieri diversi e, per questo, anche una cura contro il RAZZISMO. Il senso dell’Opera d’Arte non è certo uno sterile nozionismo ma la possibilità di entrare – in punta di piedi, mi raccomando! – nel mondo più privato in cui ogni artista ci invita ad entrare. Lo stile personale di ogni vero artista  è una scoperta ed una ricerca che dura tutta la vita.

3. Perché l’arte del passato è comprensibile, affascinante, ci stupisce, mostra una capacità e una conoscenza tecnica straordinaria, una esecuzione perfetta che ci lascia senza parole?

Non è facile il discorso sull’arte. Non può e non deve esserlo. Mi piace porre una domanda inutile: perché l’arte si dovrebbe comprendere? Mi piace dare  una risposta banale: perché l’artista trasmette il messaggio! Come dire: questione di sms: prima affreschi, tele e sculture, oggi telefonini.  Ha ancora corso una tenace idea reverenziale nei confronti dell’arte classica che provoca una serie di logiche ma errate deduzioni:
Loro sì che sapevano dipingere!
Quella sì che era vera arte!
La vera arte parla a tutti!
Logica deduzione: un’arte che non parla non è arte. Non è facile smontare questa posizione.
La radio, che per definizione è la forma di comunicazione più democratica (parla proprio a tutti!), se non fosse acquistata, collegata a un cavo elettrico, accesa e sintonizzata, resterebbe muta.
Logica deduzione: se non parla a tutti, non è radio.
Si potrebbe ipotizzare una sorta di democratizzazione dell’arte: arte per tutti. Interessante e politically correct ma concettualmente poco produttiva. Indagare il versante della fruizione dell’arte è una problematica complessa e di non facile soluzione e non si può risolvere addebitando semplicemente la colpa al disimpegno mentale dello spettatore. Ma è noto che la conoscenza di qualsiasi disciplina è conquista e fatica.

 radice24. Pensa sia possibile comprendere l’arte contemporanea che sembra aver perso del tutto qualsiasi legame con la realtà e qualsiasi volontà di comunicazione?

Con una punta di ironia ho scritto nella prefazione al mio libro di recente pubblicazione:
“… Istruzioni per l’uso: essendo la cultura non innata (nisciuno nasce ‘mparato …) né acquisibile gratuitamente per infusione e/o aspirazione e/o inalazione e/o assorbimento e/o assunzione e/o contagio e/o contatto più o meno ravvicinato di I, II,  III, o altro tipo, sono  consigliate dosi non eccessive. In caso di sindrome (Stendhal o altro) sospendere immediatamente il trattamento e tornare alle proprie certezze.”
Rivendico a me quindi il compito privilegiato dello storico di non giudicare ma vivere e ritrarre il mio tempo che gli artisti interpretano racchiudendolo nelle loro forme.  Allontanando da me anche solo l’idea di un ingenuo proiezionismo storico, non posso fare a meno di individuare percorsi simili in artisti di un passato più o meno recente che hanno concretizzato in forme il loro pensiero ora in armonia ora in totale e irriducibile opposizione. In ogni contemporaneità avviene che non si comprenda.

5. Se è vero che la vera arte parla a tutti, ci troviamo di fronte ad un’arte non vera? È un bluff?

Non basta guardare per comprendere! Sarebbe una pretesa assurda.
Giorgio Vasari, contemporaneo, ammiratore di Michelangelo e iniziatore della critica artistica, sanciva una serie di preconcetti legati proprio all’arte che hanno corso ancora oggi e sono di difficile estirpazione: – “É un peccato che tanta diligenza non avesse la sua perfezione, né la grazia come avrebbe ai tempi nostri”.
La domanda è semplice: si può parlare di progresso nell’arte? Gli artisti di oggi sono più o meno bravi di quelli del passato? Non è una problematica di poco conto e comporta una serie di effetti a catena inimmaginabili.
Passaggio logico e inevitabile: infanzia dell’arte à  maturità dell’arte à decadenza dell’arte à  morte dell’arte. Amen. Una parabola.
Mi piace ricordare che Παραβολή deriva dal verbo parabállein e significa mettere di fianco, confrontare. È illuminante scoprire che da ballein derivi la parola “balistica” e che Galileo Galilei, studiando in modo scientifico il moto di un proiettile, dimostrò che la sua traiettoria fosse una parabola.
In arte non ci sono proiettili né parabole.

6. Perché l’artista si permette di disattendere le nostre aspettative  e offrirci “opere” che non sembrano avere alcuna valenza estetica né alcun messaggio da comunicare? Considera legittimo tutto ciò?

Considero più che legittima l’elaborazione di  uno stile che non è un fatto estetico esteriore ma una ricerca che impegna tutta una vita. È scegliere di crescere. In un capitolo del mio saggio “La storia dell’arte e il tiro con l’arco” scrivo:- “Entrino signori, entrino. Ho preparato per voi una grande avventura … lasciate fuori i vostri pensieri, le vostre preoccupazioni … potrete scegliere i vostri percorsi.  Solo una cosa vi chiedo: per favore lasciate fuori le scarpe. Entrate in punta di piedi, senza far rumore … non disturbate pensieri che dormono.”
Se l’artista è uomo e non mito (il mito non ha bisogno di crescere, è già tutto lì: mito)  è diverso come ogni uomo è diverso. Cerca di ricomporre nelle sue opere  i fatti ingarbugliati e confusi della vita ordinaria e le forze contraddittorie e antagoniste che  senza tregua si combattono; urla la sua impotenza di fronte al non senso della vita e/o si rifugia in una riflessione di natura spirituale; comprende o no, accetta o no, ama o no, spera o no e, se pittore, tramuta in forma, colore, materia al massimo grado di intensità o di leggerezza. Noi dobbiamo prima di tutto rispettare il suo pensiero che si esprime nelle forme più adeguate che non possono mai essere quelle che ognuno di noi si aspetta. L’errore sta nell’aspettativa che genera sempre delusione perché distrugge la meraviglia della scoperta e della novità.

7. Lei pensa che possa esistere un vero e produttivo rapporto cultura/ vita?

Si. Deve esistere ma lo si deve anche creare e insegnarlo. Non voglio arrendermi all’impossibilità di vivere  nell’universo civile delle relazioni belle e spero che non siamo fuori tempo massimo per ipotizzare una contemporanea e vera libertà che prevede questo rapporto: la cultura deve nutrire la vita e questa deve impregnarsi di cultura. E questa è responsabilità di chi ha il compito di trasmettere il sapere. A dispetto di scetticismi diversi ho lanciato la mia personale sfida alla teoria della non insegnabilità dell’arte che deriva a mio parere da una sua presunta ineffabilità e, in fondo, inutilità. L’arte è, a mio parere, un inno alla vita, anzi è un modo di pensare la vita fissandone in forme più o meno stabili e durature  il suo flusso continuo. Devo dire però che, in realtà è sempre ancora in agguato il pericolo insito nelle posizioni antitetiche ma intrise di pregiudizi: da un lato la  convinzione dell’esistenza di  regole e certezze in qualche modo immutabili  (soprattutto legate alle tecniche) dall’altro la trappola antidogmatica secondo la quale soltanto un’assoluta, presunta spontaneità e l’esclusivo riferirsi alla propria vocazione interiore sia il luogo della produzione artistica
Io credo nell’insegnabilità dell’Arte e sono convinta che essa attività umana di pensiero – sia essenzialmente un’esperienza culturale ed esistenziale non solo condivisibile ma altamente stimolante. Il senso nell’arte o, forse meglio, il senso dell’arte per prendere consapevolezza di sé, della vita del presente e per progettare il futuro.

8. Lei si considera ottimista o pessimista?

Ottimista ad oltranza. Ho voluto dedicare il mio saggio “Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano” a chi ha fede nella speranza e mi piacerebbe creare una rete di fiducia nel lavoro, nell’onestà, nella cultura.
“Il nichilismo è ormai diventato una prerogativa della cultura di massa, nonché il segno di riconoscimento delle menti ordinarie”. Desidero contrapporre all’ indiscriminato quanto generico senso di malessere nei confronti della nostra epoca, questo  pensiero di Czeslaw Milosz, poeta polacco del Novecento.
Ecco: io penso che le menti creative non possano né debbano lasciarsi sedurre da uno sterile e frustrante disfattismo etico e culturale.
Sono convinta e affascinata all’idea che dall’estetica possa scaturire la bellezza delle relazioni che si può ottenere rispettando la libertà dell’altro ma mostrando la propria libertà.
Non è facile ma è da qui che si deve ripartire.

9. Cosa pensa della nostra complessa contemporaneità e come la vive?

Considero un privilegio dello storico leggere il tempo. Il confronto con altre contemporaneità mi aiuta a comprendere la nostra, mi spinge ad individuarne qualche meccanismo che possa produrre risultati perfezionabili e mi conforta nella convinzione della inutilità di giudizi di merito in termini di assoluto. Il problema non è determinarne il valore calcolando quanto essa sia produttiva di geni o quanto rappresenti una congiuntura fortunata e favorevole alla produzione artistica. Mi capita spesso di dichiarare, in contrapposizione a un indiscriminato quanto generico senso di malessere nei confronti della nostra epoca, un amore per la mia contemporaneità (irrequieta, incerta, insicura, balorda, assurdamente distruttiva, corrotta e ….) nella quale mi piace (e lo considero personalmente molto stimolante e niente affatto  anacronistico) individuare nuovi luoghi  – fisici o mentali, di pensieri individuali e/o collettivi – da opporre ai non luoghi di cui si parla molto e anche a sproposito.   Il contesto è certamente cambiato: le strade a scorrimento super veloce, gli svincoli, gli aeroporti – prodotti,appunto, della surmodernità – sono le grandi installazioni necessarie non solo alla circolazione accelerata delle persone ma anche, in senso metaforico, agli attraversamenti metropolitani trans-culturali, trans-etnici, trans-comunicativi del nostro tempo. Mi chiedo : – “Perché i grandi centri commerciali, le grandi catene alberghiere non dovrebbero essere strutture adatte per incontri di pensatori /artisti del 2000 che, seppur con modalità diverse (leggi contemporanee) pensano, operano, realizzano forme per pensieri  nei quali è presente (come d’altronde in ogni epoca) la mancanza di certezze ed un naturale conflitto tra la tradizione e il mutamento?”
Considero molto più nocivo alla cultura di oggi il luogo comune ( non esistono più le mezze stagioni … i giovani non hanno più valori … ma dove andremo a finire … l’arte poi … chi capisce è bravo) esempio niente affatto raro di affermazioni prive di comunicazione che rappresenta lo svuotamento di ogni senso.  Il non luogo potrà riempirsi d’identità e del senso della cultura che tutti coloro che mi piace definire “alchimisti di oggi” o “ erranti ai tempi dell’usabilità” potranno insufflare e che costituirà nel tempo la sua storia/memoria.
Per Augè il non luogo, mancando di relazioni comuni e di storia, può essere vissuto solo al presente. Come dire: la contemporaneità si vive dentro e con il tempo. Non è male come ricetta per tutti coloro i quali desiderano crescere nella cultura che è vita da vivere con le lacerazioni e le contraddizioni dell’epoca che ad ognuno di noi è data. Senza nostalgie che hanno come immediato effetto la svalutazione delle risorse anche tecnologiche del nostro tempo.
Cum grano salis – ci si augura – naturalmente.

 10. Le piace vivere in Sicilia? La considera distante dai centri nei quali il dibattito culturale è più avanzato?

Mi piace molto vivere in Sicilia ed essendo nata alle pendici dell’Etna  mi sento dentro tutta la forza della lava che raffreddandosi diventa “sciara”. Il contatto con il “continente” non è difficile e ormai neanche tanto costoso. È facile partire ma è bello anche ritornare nell’isola. Catania  è molto attiva culturalmente e non mancano le occasioni né gli stimoli. Mi piace considerare la distanza dai centri nei quali il dibattito culturale è (forse appare) più avanzato,  una sorta di distanza di sicurezza per salvaguardare l’originalità del proprio percorso. Questo avviene più facilmente in quella che viene considerata periferia nella quale l’omologazione è meno automatica.

11. Come si pone nei confronti delle generazioni più giovani?

Da ottimista ad oltranza e in contrapposizione a un indiscriminato quanto generico senso di malessere, cerco di individuare, nella irrequietezza mentale, artistica e anche spirituale, nelle contraddizioni e negli eccessi – sempre  nuovi e imprevisti – un disperato bisogno di normalità come etica che affiora in ambiti anche inaspettati e nel quale ci si incontra e ci si riconosce.
Ho sempre dichiarato che se i giovani riusciranno a sopravvivere a noi vecchi che abbiamo distrutto il loro futuro e abbiamo anche il coraggio di addebitarne a loro la colpa, ce la faranno.
Il ruolo di storico che mi consente uno sguardo orizzontale indispensabile per acquisire e registrare dati mi fa incontrare continuamente persone, individui, artisti che coltivano, ancora nel 2017 (!) e nonostante una sorta di sistematico ostruzionismo intellettualisticamente ben congegnato, un proprio stile di vita e di cultura, attraverso cui confrontarsi con il mondo e con se stessi e che concretizzano in innumerevoli realizzazioni. Permane anche nel nostro tempo l’idea di crescere attraverso un pensiero che cerca la sua forma. Di qualsiasi tipo. La cultura non è un concetto obsoleto nella vita di oggi e nell’arte si manifesta anche se in modalità diverse e/o opposte.

12. Concludiamo con un riferimento al suo recente libro “Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano”: ci dica tutto su questa sua recentissima opera.

alchimistiGrazie della domanda, cara Dott.ssa Calabrò. Le rispondo a caldo dichiarando tutta la mia immodestia: mi piace molto! L’ho definito “un abecedarte…un po’ per celia un po’ per non morir” . Dalla A alla Zeta ho individuato alcune parole chiave sulle quali ragionare per raccontare i miei pensieri, il mio ottimismo, il mio senso di vita e il senso che ho cercato di dare alla mia vita.
Alla voce – 35. C come carambola – scrivo: “… Nel Compianto del Cristo Morto della Cappella Scrovegni  la linea della roccia precipita inesorabilmente verso sinistra dove è collocato Gesù uomo morto. Ma proprio da quest’angolo di morte la stessa linea è come rilanciata verso destra rivestendosi di un significato simbolico di speranza e di resurrezione.
Una sorta di carambola: Giotto cala il divino (la prima bilia) nell’umano ma attraverso la sintesi e la potenza del suo racconto (le due bilie rimanenti) rende ogni episodio parabola estraendolo dalla temporalità per proiettarlo verso un significato eterno.
Noi viviamo invece immersi nel futuro e il nostro confronto è con una società sofisticata, inflazionata di cultura che, elegante e concettosa fino al culto estremo dell’artificiosità più lambiccata, si sviluppa  in senso puramente materiale perdendo forse uno sguardo più alto. Mi piace offrire l’idea di una carambola come metafora di un nuovo respiro etico che possa presiedere alla produzione scientifico/artistica dei nostri giorni proiettandola in una dimensione alta per sublimare quei valori umani e morali ai quali molti di noi ‒ uomini e donne del 2000 ‒ si rifiutano di rinunciare.
La fantasia non è riuscita ad andare al potere né a distruggerlo.
Mi chiedo: In un confronto – orizzontale con l’esistenza ma verticale con l’Infinito – potremo recuperare uno spazio che la conoscenza positiva non può riempire? Nell’attesa che una risata ci seppellisca, potrebbe salvarci una carambola? È la mia speranza.

 

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Giuseppina Radice  laureata in Lettere Moderne è stata,  fino al 2015,  titolare della Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Catania.
Ama l’ascolto e considera l’insegnamento una responsabilità morale. Svolge dal 1990 una intensa attività di Critico d’Arte. Ha curato molti eventi artistici ed ha pubblicato n
umerosi saggi critici in cataloghi e Riviste. Il suo saggio Il Futurismo e il Padre è stato pubblicato nel giugno del 2009 su “Rivista di Studi Italiani” Anno XXVII, n° 1: FUTURISMO COME ATTUALITÀ E DIVENIRE, a cura di Ignazio Apolloni. Ha pubblicato con Prova d’autore nel  2011 i due saggi La Storia dell’arte e il tiro con l’arco ed Erranti ai tempi dell’usabilità, e con la casa Editrice Fausto Lupetti nel 2016  il saggio Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano.
Tecnicamente accademica si dichiara antiaccademica per scelta.
Tiene regolarmente “Corsi di alfabetizzazione all’Arte contemporanea” perché convinta che attraverso l’arte si possa insegnare la vita.
Nella sua attività di critico applica il metodo “San Tommaso”.
Ha compreso che lo studio dell’arte è in fondo una conquista di libertà nel confronto continuo con la diversità.
Vive a Catania, in via Galermo 168 telefono fisso 095/ 515515; cellulare 3803288961 – e-mail giuseppima.radice@email.it.

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.