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Ogni cosa è a suo posto

Quando avrò sete di acqua di cielo
E nostalgia di terra amica,
penserò al respiro caldo e pesante delle case
aperte alla luce immobile del sole,
alle finestre nere di fumo
come antichi occhi stanchi di guardare;
penserò a quest’ora, nel mio paese,
quando si fanno matrimoni e banchetti,
e i cani sono più affettuosi
e guardano con occhi dolci.
Il sapore del vino è sempre lo stesso
Le cose non ci hanno tradito.
Ogni cosa è a suo posto.
La speranza nel cuore
E il muschio a tramontana;
e l’aria è fitta di raggi,
come il pane del contadino
che conserva il caldo del forno.
L’erba rabbrividisce
E assedia i vecchi mattoni
Col suo verde accanito.
Ogni cosa è suo posto.
Orlando coi paladini
Nei carretti di sole
Va e viene senza riposo,
e la ruota della fortuna
regala sogni e speranze.
(Pietro Barcellona)

 

Supponiamo un Lui giunto sulla Terra in qualche tempo, ritrovatosi catapultato da un mondo parallelo fondato su idee di uguaglianza e parità: che reazione potremmo immaginare? E se guardassimo il tutto con gli occhi di un bambino?

Viveva costante in lui quel senso di non adeguatezza a quel luogo, a quel modo di pensare e la non appartenenza a quella comunità. Ma aveva completamente perso la memoria. Non immaginava in realtà vi potessero essere vite parallele e modi di vivere la giustizia differenti e verità opposte: una la realtà della doxa di Eraclito, civiltà dell’apparenza, l’altra la verità dell’innocenza e del puro, quella realtà che gli apparteneva, una la verità imposta da leggi fatte da esseri imperfetti e perlopiù da sovrani legibus soluti, l’altra la verità imposta dall’alto, dall’Excelsior, capace di squarciare il velo interiore a ognuno di quelle strane forme di vita. Era evidente una netta distinzione tra chiaro e scuro, tra luci e ombre, tra figli della luce e figli delle tenebre.

Si era ritrovato catapultato lì, come all’improvviso per un errore o un caso fortuito, senza ben comprendere perché, per come, quando chi avesse deciso cosa. Quelle domande si rincorrevano imperterrite nella sua testa, nel suo cuore, fino a perforare fegato e intestini. Ed erano ancora più pressanti e profonde quanto più i giorni passavano e quanto più le ferite del cuore aperte, sanguinanti, i margini indefiniti e impossibili da richiudere. Era tutto un esperimento: Lui era un esperimento.

Una prima verità gli fu svelata da un profeta, una figura capace di dare risposte almeno parziali a quel moto d’animo, a quel mare in tempesta capace di voli pindarici a dir poco unici e ritenuti dai più tratti da DSM, tipici dei modelli schizofrenici. Tanto più che tutti quei dubbi, quelle paure, quei moti e quei perché venivano vomitati tutti in una volta nelle mani e nei cuori più sporchi che finivano per creargli ulteriori lacerazioni. Ma lui non capiva perché non riusciva a scorgere lo sporco circostante, convinto della buona fede altrui. Finché gradualmente la memoria gli tornò grazie a quel profeta, appunto, che gli rivelò la verità del “capire che nulla c’è da capire”, e della necessità di una difesa proprio lì in quel luogo ove le cose sono tutte sottosopra e l’ordine è solo la superficie. Dove le leggi sono periodicamente redatte ad personam e i sovrani assoluti, dove quelle forme umane, nate a immagine e somiglianza di qualcun altro, indossano una maschera e dove tutto è solo una presa in giro, anche ciò che appare davvero reale, dove alcuni se ne vanno in giro con strani aggeggi convinti di detenere la verità e il potere, ignari che saranno proprio i primi a essere giudicati; è quel luogo in cui inspiegabilmente questi esseri si bruciano reciprocamente in forni giganti per non si sa quale spiegazione, per questioni di soldi o di superiorità di una qualche pretesa razza; è il posto in cui si sganciano delle strane cose strane “boom boom”, capaci di radere al suolo intere città, di trasformarle in città-ombra dopo un’enorme esplosione a forma di fungo elevatasi fin lassù nel cielo, in grado di spazzar via intere generazioni e popolazioni di viventi, comprese flora e fauna.

Ciclicamente la storia si ripete, la mano destra si confonde con la sinistra, la sinistra con la destra fino ad addivenire all’era dei robot, attualissima, in cui i libri e gli uomini in fondo non sono più utili, tanto le macchine svolgono tutti i mestieri del mondo, o quasi! Quegli aggeggi definiti telefoni racchiudono un mondo, su cui il potere vigila, tutti gli esseri hanno un profilo e immagini ben definite sul web, così, a scanso d’equivoci, nessuno potrebbe essere confuso con alcun omonimo. Tutti occupano una posizione precisa. I libri non servono più. Si possono bruciare. Nemmeno le mamme e i papà, tanto i bimbi ormai si comprano al mercato e il corpo della donna, già deturpato nei secoli dei secoli insieme alla sua anima (basti ricordare che la Chiesa riconosce la presenza di un animo nel corpo della donna solo col Concilio di Trento, nel XVI sec.), diventa oggetto di scambio della peggior specie. Povera donna, sempre tristemente al centro dell’attenzione, vista prima come un emissario del male supremo, tanto da condurre la Chiesa a domandarsi se ella appartenga al genere umano, almeno fino al XVI sec. Un potere capillare finisce per pervadere le menti e le vite, e a pochi chilometri di distanza qualcun altro si getta in mare nella speranza di una vita migliore sulla Terra imperfetta: solo l’inizio della fine.

L’esperimento è compiuto, in lui i sensi si riappacificano, la scoperta è fatta, le ferite del cuore e dei sensi rimarginate. Ha compreso, tutto ha un suo percorso, tutto in equilibrio in una melodia tra bianco e nero, bene e male, senza yin non esisterebbe yang e viceversa. Un mondo imperfetto ma, allo stesso tempo, dominato da una natura celestiale e da un improvvido equilibrio: “Ogni cosa è a suo posto”.

 

mondo alla rovescia

 

 

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.