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Rubrica di divagazioni con pareri legali e sociali

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CONTRO ROBOT E INDULGENZE

          

“Per trovar la giustizia, bisogna esserle fedeli:

essa, come tutte le divinità,

si manifesta solo a chi ci crede.”

Da “P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato”

Contro la maggior parte delle  previsioni e a conferma di quanto ipotizzato parecchio tempo fa da alcuni produttori televisivi, sarà il neo-eletto Presidente U.S.A., Donald Trump, a indirizzare la vita socio-politica in questo periodo storico fortemente instabile e dominato da una prolungata crisi di valori morali oltre che politici.

Se è vero che la storia, caratterizzata da corsi e ricorsi, essa si ripete ciclicamente, allora ci sarebbe da chiedersi a quale periodo potremmo paragonare quello nel quale stiamo vivendo, in attesa di entrare nella cosiddetta “Era dell’acquario” (con pace e saggezza a farle da padrone), che in realtà avrebbe già dovuto far ingresso a favore del Mondo.

A questa domanda, uno specialista studioso, risponderebbe che la nostra era potrebbe essere accostata un po’ al Medioevo, e non tanto perché vista come un’età oscura, ma perché oscurata dal fatto che poco ci è pervenuto da quell’epoca così come poco o nulla resterà della nostra, poiché digitale e digitalizzata: le macchine stanno velocemente soppiantando la carta e tutto è destinato a perdersi nei meandri dell’etere. Per non andare molto lontano basti pensare ai primi 53  numeri di questa rivista Letteraria Lunarionuovo, ancora circolanti in cartaceo, e ai numeri degli anni più recenti, ormai tutti esclusivamente presenti on-line… Che fine faranno?

In Oriente opere di ingegneria d’avanguardia hanno creato dei robot con sembianze umane riproducenti pedissequamente i tratti dei loro ideatori, capaci di svolgere diverse azioni e interagire con gli uomini; ricordano vagamente il famoso film di Robin Williams “L’uomo bicentenario”. Finiremo per non distinguere uomini e mariti dai rispettivi prototipi-robot?

Per chi apprezzasse ancora l’odore della carta e forse persino un po’ di sentimento, invece, molto  è pervenuto dell’epoca classica, e molto anche dell’ultima parte dello scorso millennio che, in fondo, costituisce la nostra epoca prima del rapidissimo e rivoluzionario avvento del digitale.

Tra le “bellezze” che la storia e la cultura ci consegnano dal passato vi sono due figure, in alcuni sensi attigue in quanto entrambi avvocati e formatisi per svolgere l’attività forense, che hanno segnato rispettivamente la cultura in diverso modo, e ai quali guardare come grandi modelli.

Mi riferisco a Marco Tullio Cicerone (nato il 13 gennaio 106 [non il 3, come i più riportano]- morto nel 43 a.c.) e Mohandhas K. Gandhi  (1869-1948).

Riveste profondo fascino, a mio modestissimo avviso, il modo con cui questi grandi maestri hanno affrontato le difficoltà e il destino umano con capacità unica di ribaltare l’orientamento comune presente nelle rispettive società, società totalmente distinte sia per le epoche che per i retroscena-socio-culturali, facendo prevalere ideali di giustizia e saggezza.

Degno di nota appare in primo luogo (per ordine di anzianità!) il “DE SENECTUTE”di Cicerone, scritto proprio l’anno precedente all’omicidio dell’autore, in cui lo stesso, in modo del tutto originale, pone sul banco degli imputati la senilità e ne appronta una difesa convincente oltre che seducente, dimostrando la capacità, oltre che la possibilità, di ribaltare il pensiero negativo dei più, all’idea di dover affrontare il periodo più prossimo alla morte.

Partendo da un dialogo a più voci e contestando punto per punto le obiezioni mosse alla vecchiaia, punti che in fondo possono essere ricondotti a quattro distinte motivazioni, soggette a valide eccezioni, Cicerone rivaluta la vecchiaia, interponendo descrizioni colte e sagge (nel corso della descrizione dei piaceri della campagna ricorda, ad esempio, che la terra non tradisce, precisando che “chi coltiva i campi ha un conto aperto con la terra, che non si rifiuta mai di obbedire”),oltre che dense di spiritualità.

I quattro specifici assunti contestati all’anzianità sono i seguenti: 1) impedisce di essere parte attiva negli affari; 2) indebolisce il corpo; 3) priva l’uomo di quasi tutti i piaceri; 4) è molto vicina alla morte.

Alla prima motivazione Cicerone obbietta che, per fare ciò che è davvero importante, é necessario il senno, il pensiero oltre che il prestigio, tutti elementi di cui ci si arricchisce solo col passare del tempo; non sono essenziali pertanto la forza, la temerarietà o la celerità proprie della giovinezza.

Secondariamente rileva la capacità dell’anziano di parlare serenamente, in modo più pacato e di avvincere l’uditorio, senza bisogno di particolari condizioni fisiche eccelse che, ahimè, sono oggetto di lamentele anche in giovane età, nella quale  potrebbero comunque venir meno le forze o insorgere malattie. Per non considerare poi quanto possa apparire proficuo il confronto generazionale, ma soprattutto la possibilità di essere circondati dall’attenzione  dei giovani, istruendoli e formandoli, pur senza avere, per legge o consuetudine, tutti i loro obblighi.

Un grande insegnamento quello di sviluppare la capacità di vivere in equilibrio e armonia, facendo in modo di rendere rigoglioso ogni singolo momento esaltando le virtù dell’uomo, quelle stesse virtù che verranno riprese molto tempo dopo da Dante nella Divina Commedia (“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguirvirtute e canoscenza”) e quelle stesse virtù a cui ci induce costantemente il Maestro, ricordandoci a ogni incontro che “nessuna soddisfazione può eguagliare quella che ci procurano i libri e il sapere”.

Ogni età diventa dura in mancanza di interessi e assenza ricerca di qualcosa che aiuti a vivere felicemente: “…chi ricerca in sé la ragione di ogni suo bene, non può considerare come un male nulla che gli accada per necessità di natura. E necessità naturale è la vecchiezza; la vecchiezza che tutti sperano di raggiungere, per maledirla poi; tanta è l’incoerenza…”.Mi tornano allora in mente le parole di un’ amica che in passato mi ricordava che la gioventù è bella, ma è necessario sperare di raggiungere un’età matura, con tutte le esperienze e il bagaglio culturale costruito negli anni, a partire proprio dalla gioventù.

Cicerone guarda ai piaceri della vita, poi, come a una rovina per l’uomo, da cui deriverebbero guerre, tradimenti e misfatti: “E se è vero, come è vero, che la natura o un Dio non hanno dato all’uomo niente di più nobile della ragione, è anche vero che niente, quanto il piacere, è tanto nemico di questa prerogativa, di questo dono: non v’è posto per la temperanza dove impera la libidine; nel regno del piacere non alligna la virtù”.

Secondo l’eccezione posta dall’autore, che affronta il tema con maestria, nel caso vi sia un’incapacità di respingere i piaceri dei sensi con la ragione, si dovrebbe ringraziare la tarda età che renderebbe indifferenti  a ciò che non è opportuno che piaccia, rendendo tutti più giudiziosi! Nessun confronto potrebbe reggere il piacere dato dai banchetti o dai giochi rispetto alla passione per la cultura, capace di portare ad altissime cariche, come accaduto per esempio a Publio Licinio Crasso, noto per la sua eccezionale conoscenza del diritto pontificio e civile, successivamente nominato pontefice massimo dal 212 a.c. al 183 a.c., anno della morte.

Ultima accusa mossa alla senilità,  solo apparentemente la più ostica da superare, sembrerebbe data dall’approssimarsi della morte. Ed ecco l’esplicitarsi tutta la spiritualità dell’autore: l’anima, “imprigionata” nel corpo, troverebbe la sua altissima dimora altrove

La spiritualità menzionata dal Console Cicerone è quella propria dei sani principi cristiani, è quella di cui si avvarrà il cattolicesimo, dal momento che il medesimo immagina e spera in una vita dopo la morte, convinto dell’esistenza dell’anima dalla natura divina, il cui destino è fare ritorno in cielo: “…Lo spirito, dal momento che è per sua natura semplice ed immune da ogni mescolanza di elementi eterogenei, non può dissolversi: e se non può dissolversi, non può perire. Una chiara prova, poi, che gli uomini posseggano la più parte delle cognizioni prima ancora di nascere, è che fin da fanciulli, imparando difficili discipline, essi si impadroniscono di innumerevoli cognizioni con tanta prontezza, da far pensare che non le apprendano per la prima volta, ma che esse riaffiorino nella loro memoria. Questo, all’incirca, è il pensiero di Platone…”.

Per comprendere la delicatezza e intimità del tema trattato, poiché profondamente sentito dai più oggi come in passato, basterà ricordare la questione delle VENDITA DELLE INDULGENZE di cui abbiamo preso conoscenza attraverso i libri di storia e promossa da Leone X, indotto a millantare indulgenze straordinarie per l’anima e piena remissione dei peccati persino per le anime del Purgatorio a quanti avessero versato somme alla Chiesa!

La senilità dunque come punto fermo che consentirà un approdo dopo una lunga vita vissuta… Ciò che dunque ha già avuto l’anziano può solo sperarlo il giovane, poiché la mala sorte potrebbe colpirlo violentemente, contro le leggi della natura.

(Continua)

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Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.