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zhara

“Mia nonna mi diceva che morire è passare da uno stato all’altro. Ma allora forse sono morta e non lo capisco dato che sono passata da uno Stato all’altro Stato. Ecco perché sono assente con la mente. Uno Stato mi trascina verso il futuro, l’altro mi tira verso il passato. Ecco perché mi pare tutto un cinema ciò che mi sta attorno. Il primo mi vuole sempre a tradurre in francese e a ragionare, il secondo a vivere di pancia e a come viene si prende.”
Zhara non appena camminava per le strade si attivava il motore del cervello, appena restava da sola si trasformava in una statua di ghiaccio. Soprattutto appena stava in luogo chiuso era evanescente e non dava alcun avvento ai genitori che si sentivano parte di un rotolo di carta igienica per come si ritenevano trattati. Rimuginava:
“Ogni briciolo di vita mi appare d’oro ma stringo i denti per colpa di chi, se potesse, mi negherebbe il respiro. L’oro si liquefa e mi lascia il piombo.”
Inutilmente Halima la faceva mettere comoda e l’invitava a seguirla nelle sue proposte accomodanti:
“Aiutiamoci, tocchiamo le parole e vediamo che scroscio fanno. Tu devi frequentare gente che ha la casa pulita e la macchina del gas su cui ci si può mangiare per come splende. Che cosa hai da da trattare con quell’impeciato del Niger? Magari gli venisse il colpo della strega quando si stocca la schiena per cercarti nell’aria… Magari gli restassero gli occhi storti nell’inseguirti…”
“Mamma convinciti che io sono malata. Ho la piaga della fiaba. Per esprimermi alla cattolica, seguo la via Crucis del –Non ci sono- e voi cercate di farmi esserci”.
“Tu puoi pure non esserci ma per tuo padre esisti ed è a tempo perso che ti ripeto che per lui il centesimo assomma. Non lo vedi che scende i quadri dal muro per cercare se ne avete di nascosti? Se se ne accorge che quello ti punta la sua brama, ti fa più nera della pece e a quello più chiaro della paura.”
“Gli pare che si libera di me? Ieri notte ho sognato di un cane morto tempo fa. Ti giuro che sembrava presente. Stanotte invece questa specie di padre che mi ritrovo l’ho sognato alla guida di una macchina e trasportava un suo amico. Nel sedile posteriore dietro invece c’ero seduta io. Lui mi guardava facendosi tremare un muscolo del viso. Gli occhi suoi se li era intrufolati negli occhi miei all’idea degli occhi di quell’altro che ci poteva giudicare e mi disse:
-Raccontaglielo tu di quando studiavo all’università com’ero bravo ed apprezzato.
Mi parve vera quella menzogna uscitagli dalla bocca. Mi chiese di infinocchiare l’amico suo ed io gliela filai. Da un lato mi fece pena di voler apparire. Era la prima volta che mi chiedeva di stipulare il patto della complicità. Mi somigliava in quel momento e gli volevo bene tanto che intrufolai la mia mano per toccargli l’avambraccio per rassicurarlo che ci stavo. All’istante, per come era durata un istante, quella senzazione fu accaparrata dalla delusione. Il braccio lo aveva di stoffa, l’altro braccio pure, la testa pure e se l’ abbandonava da tutti i lati. Era morto per una testimonianza della nostra causa. La macchina sbandava. Comandava su di me e sul suo amico. Era tutto di pezza e gli volevo bene come se fosse tutto di carne.”
“Dormendo avevi dimenticato che i suoi schiaffi sembrano i botti di una festa del quattordici luglio. Ti pareva che soltanto ogni giorno ha la sua paura? Ti pare che la notte cangia il tempo e divide dal peso di vivere e da quello di svegliarsi?”
“Io ho questa massa di carne che mi freme, mi frigge, mi sfugge. Non voglio essere addomesticata come te. Quante volte vorrei come voi avere un Dio per pregare, con la vostra lingua araba, di riconoscere di aver due genitori?”
“Questa è una fissazione che non si può curare perché siamo poveri, figlia mia. Mettiti l’animo in pace.”
Quando a casa si poteva isolare dagli altri, a Zhara piaceva stare col naso appiccicato ai vetri dato che quel francesaccio che era venuto ad abitare nel palazzo di fronte circolava al pelo. Era una specie di insetto svolazzante per lei. In genere ammirava con stupore qualsiasi novità ma subito dopo si sentiva esaurita per averlo fatto e la disprezzava. Si sarebbe detto un contenitore colmo fino all’orlo ma con un buchino a testa di spillo che mai lo lasciava a raso. Se parlava con i compagni di scuola:
“Ormai esiste un solo valore, sì, il progresso, sì. Infatti noi da arabi a casa parliamo sempre in francese. Ci illudiamo di comportarci come parliamo però, perché ogni vostro sì, mio padre lo trasforma in no. Non riesco a darlo per scontato questo fatto ma glielo farò scontare un domani. Si prende come se fosse un Mitterand lui un puffiassi ignorante che se la fa pure addosso per non sbagliare”.
Era senza rossore del fatto che mentiva perché in quell’istante medesimo era convinta di dire la verità. Quando Halima tentava di approcciarsi a lei per stimolarla ad essere più contenuta, più fine nel muoversi o truccarsi, lei si disturbava:
“Che hai da dire alla mia faccia? Non lo vedi che ce l’ho cangiante perché sono senza specchio e semplicemente perché qui nessuno di noi, dico nessuno assomiglia in qualche tratto all’altro? Qui dentro casa ognuno di voi vuole essere il mio specchio ma per me non siete manco sagome. Ma non vi volete rendere conto che fate fare sciopero pure all’immondizia? Che siamo in impermeabile per proteggerci dalla pioggia? Lui con quei franchi che ha di scorta vuole asservirci ad una suocera. Lui mi sfregia, mi mangia per la bocca e mi scarica col sedere. Certe volte mi viene difficile ricordare le vostre prediche al punto che vado a scuola con una sola calza e fin qui ci siamo ma è dopo due ore che comprendo di avere nudo il secondo piede. Devi guardare la mia di mano e non quella di Allah”.
Shafi udendo quel nome abbandonava la stanza da letto e accorreva per intromettersi:
“Parla giusta, non trascinare la voce, sembri una stitica morente!”
“Mi piace parlare così, col tremolìo. Chi mi ascolta deve risentire che piango in continuazione per la sfortuna che la fa da padrona dentro di me. Mi piace che devono illudersi di tirarmi il fiato con la pinza. Diversa, voglio essere, diversa perché tutti sanno che sono araba e mi trattano da diversa appena esco dal nostro rione. Tu che non puoi capire, devi infilarti in testa che io tengo ed agito le briglie delle bugie. Ma che ti parlo a fare se ti interessi soltanto al fatto che l’ebreo dell’ottavo piano mi guarda dall’alto come se ad ogni istante ti rubasse un pezzo di me? Perché mi rendi così difficile il crescere? Perché vuoi rendermi brutta a me stessa? Sappi che per fare una scultura bisogna prima costruire la forma interna. Vuota mi sento la vuoi capire con tutti i tuoi blablablà. Mi sto stufando perché non so se vengo per accusare me o te. Gli uomini credenti slittano oleosi”.
“Smettila di farmi le boccacce”
“Chi te la vuole dare questa soddisfazione? A me piace mimicare solo con gli amici, sappilo. Io gioco a far cadere a terra gli spaghetti crudi per servirmene come i bastoncini cinesi, a raccoglierli senza farne muovere.”
Halima voleva frenarle l’immaginazione:
“Calmati! Che ti pare che solo i figli si stufano dei genitori? Ammettilo che ci potrebbe essere anche l’inverso”
Era risaputo che Zhara ogni mattina si sforzava di volere credere che ogni bugia non era vera ma valeva soltanto per le bugie della vigilia.
Faceva innervosire chiunque le stesse intorno perché non poggiava mai il sedere, sempre col malessere ed il rifiuto del riposo se ne stava.
“Perché non piangi mai? Perché non ti scommuovi il sangue? Perchè sei così selvaggia?”
Le chiedevano i fratelli impressionati.
La risposta era sempre identica:
“Perché due non è tre. Siete voi che state a cercare il sesso delle cozze, a ridurmi tale. A me piace prendere nelle cose il peduncolo e se non lo trovo mi ci impicco il cervello”
All’idea di questo impossibile, davanti al concorso dell’immaginazione forzata, Halima per la prima volta cadde come un gelso maturo. Non per odiare il marito ma per la logica delle cose che non riusciva ad afferrare. Aveva avuto paura, se l’era vista impiccata quella figlia. Era successo un coito tra due immaginazioni, una se ne stava sull’altra. Quando riprese i sensi, ebbe paura della paura. La molla della sopravvivenza le scattò per ricordarle che il verme ammazza il verme, che nero su nero non tinge e ciò la rese che si sentiva coraggiosa:
“Shafi… Hai la mania di voler trasformare chi è a modo suo. Zhara non è così per Allah e manco per te. E’ così per chi l’ama in un domani. Pensa a come sei tu con tutto il tuo Dio compreso invece, altrimenti mi faccio il foglio di via da questo albergo. Non capisco perché li vorresti tutti uguali al volere del tuo Maometto, perché ti fai prendere dal lunedì appena lo pensi. Mi sono stufata di tutto e di tutti, pure di lui”
Zhara le disse una frase che si era composta nella mente giorno per giorno della sua vita:
“Mamma la colpa non è sua. Lui è una popò, non è un papà, perché sua madre lo depositò dal dietro e non dal davanti”
Madre e figlia ebbero la peggio tra le mani di Shafi, perché loro alle parole rispondevano con parole ma ai fatti non ce la fecero ad alzargli le mani soprattutto Zhara che si era ridotta a flautino abbrustolito per sembrare una francesina.
Shafi si rosicchiava le dita:
“Sento che mi farete perdere la libertà. A che serve che mangio a tavola seduto ora, che vado in auto o in bicicletta? Ora a che serve che continuo a vivere sapendo quel che pensate di me?”
Halima che se l’era sposato con la lingua incollata nel tempo della maternità, in menopausa se l’era scollata:
“Anche se non te lo sogni, questa figlia che hai di fronte ha un cervello critico, per questo pare un’assente in questa scuola di vita che credi di fargli. La vicina cattolica l’altro giorno mi raccontava come ridussero il loro Gesù ai tempi di Cristo, proprio a Zhara vuoi accollare la stessa fine? Per fortuna che abbiamo un corpo, il matrimonio le addolcirà l’anima che non te la farà stare vicino. Sarà la seconda figlia che ti scorderai di avere”.
“Carissimissimo papuccino a Sana l’hai vista morta per il marito musulmano che le hai accollato, lecco come sei dei soldi e di preghiera. Per quanto riguarda me questo desiderio ti resterà in gola, perché io dico sempre agli altri che noi esseri umani siamo l’equilibrio delle stelle. Se non poso né in cielo né in terra è perché la tua religione qui non solo fa ridere ma fa anche piangere. Perché te la sei portata in valigia? Papinuccettaccio questo vale anche per il parlare. Ti sbrodolo un esempio
-La parola Avvocato prima era un Qualcuno, ora resta la stessa parola ma è diventata un avvocato che per di più è un disoccupato. Anche la parola papà ha fatto la stessa fine. Del resto tu sei un papà che non ha mai tradito la moglie, che non sei stato a letto con un’altra per rimettersi in causa. Sei un qualunque che non si è fatto sfidare mai dal dubbio e dunque non fai parte della categoria degli uomini ma sei un calcolatore senza elettricità.”
Per riposarsi la mente e le orecchie Halima, quando finalmente era il momento, pigiando il tasto del televisore chiedeva scusa e salutava il gentile personaggio che vi monologava prima di spegnere. Zhara come se avesse perso un treno:
“Aspettate, aspettate concludo che le religioni sono legate alla quantità di ormoni ed alla temperatura del corpo”.
Halima si levò una spina dal cuore:
“Quando mai hai portato una caramella, un cioccolatino, un fiore, dico un fiore ai nostri bimbi rincasando? Perché gli altri padri ci tengono a farlo? lo lo capisco dal balcone! Quando mai li hai presi per la manina ed hai fatto compiere un giro di palazzo? Non sono polli questi, diciamo, figli nostri”.
Zhara, quando era stanca o perturbata, viveva di supportare sulla testa una coltre di nuvole sopra la quale esisteva una realtà identica a quella in cui nuotava, che intravedeva attraverso i rumori. Alla quale non poteva accedere, per cui si riteneva incapace di sentimenti e di vere comprensioni per causa ed effetto dell’immigrazione in Francia dei suoi. Lei giurava che non sapeva amare oltre la pancia, che non sapeva come accedere in un mondo che ignorava della sua infanzia, che non amava un cibo non maturato al sole del Mediterraneo, un cibo insapore di cui corrispondeva solo il nome. Rassicurava sua madre che non voleva essere amata da un francese o da un arabo trascinato come lo era stata lei, o di un’altra nazionalità. Sbandierava ai quattro venti di essere morta per colpa dello Stato. Circolava fra la gente come una cagna bastonata che scodinzolava la coda solo se qualche attimo prima l’avevano guardata come straniera. Altro che araba, per conseguenza vestiva al top della moda, andava dal parrucchiere ogni settimana. Erano la sorelle sposate a supportarla anche economicamente. Poiché nei giorni pari era biondona e nei giorni dispari era brunetta. Shafi appena la vedeva rientrare a casa chiedeva alla moglie:
“Chi è questa? Ma quando si sposa questo pericolo”
Ignorava che il suo dire non la perturbava né le perdurava. Ignorava che a sua figlia bastava il cambio della temperatura, il vento, la pioggia, la neve purchè intervallati, per chiedersi dove si nascondevano gli uccellini cinguettanti. Per Zhara la vita era un ricordo di ogni prova. Riusciva ad esprimersi solo con Leila:
“Io sento il bisogno di attirare gli altri che debbono per conseguenza dire che c’ero. Per me non c’è un filo che unisce cose tra loro o persone tra loro, per me siamo tutti dei pezzi isolati ed ogni turbamento bello o brutto che sia, dura un giorno e finì. Siamo spezzatini. Il mio pane e la mia acqua sono di spogliarmi di ogni fatto, infatti. Se mi sorridono, io sorrido. Se mi si buttano sgarbati, io scappo.”
Soltanto a Leila riuscì a raccontare di sé, di un avvenimento catastrofico:
“Per dirla come la Sciummula del piano terra, i tre dell’Ave Maria andammo a Firenze dove era volato dall’Algeria il fratello di papà. Ci incamminammo per le strade che pullulavano. Dove giravo le pupille vedevo nudo. Scultura e pittura erano con brandelli di vestiti”
“Ma che mi conti?”
“Perlomeno quello mi attirava. Non ti dico come mi tentava lo sfiorarli”
“Ma cercati un fidanzato che ci fai più figura”
“Fidanzarsi? Come si fa a essere sicuri che sotto i vestiti non c’è inganno? Là invece ne ero certa. Il marmo lavato e bianco fa pensare alla luna. Mi sono ricreata gli occhi al punto che appena rincasati anche se gli zii ci restarono male volli confinarmi nella cameretta assegnatami. Il loro bagno era così bello che per restarci dentro mi ci sarei coricata dentro la vasca. Una ceramica che in Francia non se ne vede. Le saponette al gelsomino agivano meglio di una camomilla. Decisi di lavarmi i denti ma siccome avevo dimenticato il dentifricio a casa, aprii lo stipetto della zia, presi il suo tubetto, spalmai una dose abbonante sullo spazzolino e cominciai a sfregarmi i denti. Non ti dico la sensazione…. Mi bruciavano le gengive e sanguinavano. Non ti dico come urlavo, dal non poter muovere i muscoli della bocca. Sono accorsi all’istante e tutti a ridere”
“No”
“Si. Non era dentifricio era una specie di colla per la dentiera della zia. Poi ridevo pure io ma senza il comico. Questo mi rese di un incazzato indescrivibile. Aspettavo che si alloppiassero, almeno nel sonno mi rendevano libera. E quando fu il silenzio assoluto, mi spogliai completamente tutta per il bruciore alle gengive che mi aveva infettato pure il corpo. Là eravamo a Fiesole, ce n’era di verdura a vista d’occhio che non ti puoi immaginare. Sembravamo sperduti in campagna. Mi affacciai al balcone e cominciai a fare il gioco delle belle statuette per la luna piena che c’era. Che fresco, quant’era bello. Dall’interno della casa qualcuno aveva spalancato il balcone attiguo ma senza far rumore. Fui distratta dalle mie orecchie:
“Oh che c’è un ladro in balcone? Guarda quell’ombra”
“Oh forse è un fantasma”
Ma quale fantasma….ero io. Erano papà e suo fratello che si erano portati un materasso in stanza da pranzo per discutere da soli cose di parenti in piena notte. Papà mi azzannò, lo zio si acchiappò a pugni il volto. Le donne corsero a coprirmi e rinchiudermi in uno stanzino per farmi scomparire. In quel momento udivo:
-Allah, Allah perdonami, ho visto mia figlia nuda. Non mi tenete le braccia perché voglio cavarmi gli occhi, però prima la scuoio-
-Per toccarla devi passare su di me morta-
-Peggio di questo non ti poteva capitare fratello. Calmati non fare come un mio vicino che da poco ha ucciso sua figlia perché amava un cattolico. Allah è giusto. Tu non hai cercato né causato il fatto-
-Poliziaa, polizia venite subito è urgente, qui mio cognato tenta di uccidere la figlia se trova dove l’ho nascosta-
Zhara sorrideva nel buio dello stanzino:
-Magnifico se viene a liberarmi la Polizia, mi vedrà, senza peccare, come mi ha fatto la Natura, appena esco-
“Perché questo piacere di mostrarti alla natura nuda?”
“Perché due non è tre. Questo fatto ha avuto un’importanza per me. Mi fa capire che noi figlie abbiamo fatto le budella alla mamma. L’abbiamo smossa dal suo mutismo e più ne facciamo più le faremo anche il cuore, la mente, il corpo intero insomma”
“Però vacci calma perché distruggiamo in parallelo il nostro papà”
“Papà, dici papà, bisogna annullarlo quello per farlo esistere. Io ce la metto tutta. Se ci riesco, Esisteremo tutti noi, i figli. Perché questa guerra delle religioni non ci dà pace né ci permette di essere in un qualche modo”.

 

Rosa Pedalino

Nata a Leonforte in provincia di Enna,dove ha trascorso l’adolescenza, si è trasferita a Parigi, ha insegnato alla Sorbona e ha, per anni, mantenuto rapporti di coordinamento con gli emigrati italiani. Adesso vive a Grenoble. Tra le sue pubblicazioni creative un libro di racconti Decamerone siciliano (Prova d’Autore 1989), e i recenti Agli àgli m'incipollo e Di me mi prendo e di me mi lascio (Prova d'Autore, 2011).