Al momento stai visualizzando Francesco Foti: un’intervista di parte

Francesco Foti si racconta. Si racconta in un’intervista “di parte”. Perché l’intervistatrice non è una a caso. È una persona che lo conosce bene, molto bene. Ma allora, direte voi, è palesemente “di parte”? Ebbene sì. Questa è un’intervista “di parte”, o meglio “da parte” di chi ha sempre guardato Francesco come “cantautore”. Di chi conosce gioie e dolori di questa scelta di vita. Perché questo non è un mestiere. È arte. E l’arte è una scelta di vita che non puoi rifiutare. Allora non fatevi tediare dal mio nome e tantomeno dal mio ruolo, ma concentratevi sull’essenza di Francesco e sul mio tentativo di farvi conoscere quello che è più recondito e nascosto, il bello e il brutto di un personaggio che ha già deciso di lasciare il suo segno. Parola all’intervistato!

 

Francesco, hai raccontato più volte la tua infanzia, tuo padre che ti portava ad ascoltare i concerti di musica classica, il negozio di dischi di tua madre, ma qual è il primo ricordo della tua infanzia legato alla musica?

Sicuramente il mio primo ricordo è inconscio, ovviamente non ne ho la percezione materiale, ma solo una sensazione dentro di me e risale a quando mi trovavo nella pancia di mia madre. Il ricordo più vivo del mio approccio alla musica è legato ai cartoni animati, sapevo a memoria tutte le sigle, e non posso non confessare che la mia prima idea di band fu l’emulazione con i miei compagni di gioco dei “Bee Hive”, gruppo apparso nella serie animata “Kiss Me Licia”: ovviamente io interpretavo Mirko.

FFLe tue foto ti ritraggono come un bimbo dai boccoli d’oro. Ti immaginiamo tra le vetrine del negozio di tua mamma. Cosa sognavi in mezzo a 33 giri e musicassette?

Erano gli anni ’80, uno dei periodi che musicalmente mi ha segnato di più: dai Depeche Mode a David Bowie, sino ad arrivare al mito dei Pink Floyd. In Italia avevamo Jovanotti, Vasco Rossi e io ricordo i tormentoni Rock demenziali di Francesco Salvi come “C’è da spostare una macchina” e “Esatto!”. Era il periodo di Drive In, dei capelli con la permanente, i vestiti di almeno tre taglie più grandi. Io andavo alle scuole elementari, ma vivevo tutto questo in pieno. Sognavo un mondo divertente e già avevo le idee chiare.

L’adolescenza vissuta a Giarre. Città vicina a Catania e Taormina, che guarda il vulcano Etna quando tramonta il sole. Che significato ha avuto respirare l’aria di altri grandi cantautori e il fermento degli anni del loro successo?

Negli anni della mia adolescenza si affermava Franco Battiato ed emergeva Carmen Consoli: due cantautori che ho seguito per anni anche dal vivo e che sicuramente sono stati inizialmente dei punti di riferimento. In quel periodo, inoltre, ho cominciato a studiare chitarra e da lì è iniziata anche la ricerca di una mia identità musicale, cosa importante sin dai primi passi. In quegli anni, non mi perdevo un concerto dal vivo anche di molti altri cantautori nazionali come Luca Carboni e Zucchero.

Il momento di diventare “adulto”. Come immaginavi a 18 anni il tuo futuro? Che scelte hai fatto allora?

Avevo già la consapevolezza che l’affermazione nel mondo della discografia sarebbe stata una strada lunga e tortuosa: decisi di iscrivermi all’Università, in farmacia, anche se non era una tradizione di famiglia. Ma allo stesso tempo iniziavo a scrivere le prime canzoni, che vennero apprezzate sin da subito. Inizialmente, il mio pubblico erano i miei amici, poi i primi successi come il “Premio Miglior Testo” al Lennon Festival con “L’uomo nero” e il “Primo posto” al “Gabbiano d’argento”. La strada era quella giusta.

I sogni che iniziano a diventare realtà, arrivano gli apprezzamenti nel mondo della discografia italiana: dai primi brani sino ad arrivare a “L’uomo nero”. Come si cresce e si evolve un cantautore?

Il cantautore ha un ruolo sociale, deve osservare attentamente quello che gli accade intorno. Deve interiorizzare quello che sente, vede e prova ad avere la capacità di raccontare, denunciare; la musica e le parole sono il mezzo più potente soprattutto se accompagnate dall’ironia.

Pensi che il sistema discografico e musicale italiano sia in grado di dare spazio agli emergenti? Cosa dicono di te gli addetti ai lavori e cosa invece il pubblico?

Il sistema discografico italiano è concentrato sui talent, per ovvi motivi: sono una vetrina che permette di abbattere quasi totalmente i costi di promozione di un artista emergente. Ne consegue, che non ci sia più spazio per chi segue altre strade. Per il mio nuovo brano “Tàn Tàn Tàn” ho ricevuto apprezzamenti da molti addetti ai lavori, ma per i motivi già citati ed altri personali, mi ritrovo a camminare da solo.

Il tuo nuovo singolo “Tàn Tàn Tàn” di cosa parla?
 
È una denuncia dei mali che attanagliano la società dei nostri giorni: dall’inquinamento allo sfruttamento indiscriminato di risorse ambientali e MBumane, fino ad arrivare alla spersonalizzazione del malato che diventa un numero da sfruttare. In contemporanea al singolo è stato pubblicato anche il video del regista Vladimir Di Prima, che con maestria ha diretto l’attore Giuseppe Cavallaro al mio fianco, e volti comuni che compaiono a supporto di una scena allegra e festosa in contrapposizione alla tematica di denuncia affrontata. La canzone è stata arrangiata da Carlo Longo e Salvo Dub.

Francesco e il suo mondo interiore. “Bisogna avere un caos dentro di sé, per partorire una stella danzante”. Quanto ti appartiene questo pensiero di Nietzsche?

Sicuramente una creazione nasce da un disordine interiore e dalla necessità di esteriorizzarlo, dandogli forma, valore: può essere anche un semplice sfogo atto ad esorcizzare un malessere. Questo può avvenire sia nella musica che in molti altri campi dell’arte. Io credo che la bellezza si crei dal caos, che possiede già un senso e l’artista abbia il dono di mettere ordine. Anche il cantautore ha questo ruolo e io voglio portare avanti questa missione.

Il tuo essere cantautore ti ha portato a scrivere numerose canzoni, alcune delle quali interpretata anche da altri artisti: che emozioni hai provato?
 
Scrivere per altri artisti è sempre un’esperienza interessante, perché in un certo senso ci si deve calare nei panni di chi interpreterà la canzone. Nel momento in cui verrà cantata, saranno loro stessi il veicolo attraverso cui le emozioni arriveranno al pubblico.
Ascoltare una propria composizione attraverso la voce di un altro artista è sempre un’emozione unica e gratificante, difficile da spiegare.
A tal riguardo, ho avuto la fortuna di firmare due canzoni per Alessandro Canino: “Sarai” e “L’amore è amore”.

Ti esprimi anche attraverso la poesia e la narrativa, sei molto conosciuto per i tuoi Afotismi. Quale in questo momento ti rappresenta di più?
 
Sì, il mio percorso letterario è legato alla figura di Mario Grasso, colui che mi ha avvicinato allo studio del dialetto etneo, e alla Casa Editrice Prova d’Autore dell’editrice Nives Levan, che mi hanno sempre dato fiducia. Sono membro del direttivo del Gruppo C.I.A.I. “Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane” con il quale svolgo un’intensa attività culturale in tutta la Sicilia sin dal 2002. Negli anni sono seguite diverse pubblicazioni e da marzo 2015 curo la rubrica “Orologio con cuculo” per la prestigiosa “Rassegna di Letteratura Lunarionuovo”.
In edizioni Prova d’Autore, ho pubblicato, quindi, due libri di poesia in dialetto etneo “Afotismi” e “Jettu uci senza vuci”; una lettura critica su Catania, “Lettera aperta a Vincenzo Bellini” in “Catania giorno e notte”; il racconto, “I commensali arcani” in “La Mastunicola – Racconti di pizzerie galeotte”; uno studio critico sul romanzo “Un posto tranquillo” di Enzo Marangolo, “Sonorità di un posto tranquillo tra grilli e cicale” in “Baroni, bombe & Balilla, nella città dalle cento campane”; uno studio critico sulla pittura dell’amico Pietro Barcellona, “La pittura di Pietro Barcellona: pop e contatti interrotti per interposizione” in “Su Pietro Barcellona, ovvero, riverberi del meno”.
L’Afostima che mi rappresenta di più in questo momento della mia vita è sicuramente quello che recita “vidu / sentu / cantu / sonu / scrivu / sugnu / vivu (vedo / sento / canto / suono / scrivo / sono / vivo)”.

Cosa ti aspetti per il futuro?

Mi aspetto di poter arrivare al cuore di sempre più gente. Sto lavorando in prima persona con grandissimo impegno affinché ciò avvenga e spero che presto questo mi porti a coinvolgere un’etichetta discografica, che abbia la voglia e la spinta di investire seriamente su di me, e sul mio progetto discografico.
Vi invito a seguirmi nei vari Social Network, dalla mia pagina ufficiale Facebook (www.facebook.com/francescofotimusic), al mio canale YouTube (www.youtube.com/francescofotimusic), ad Instagram (fraf79) e Twitter (@francescofoti79), fino al mio sito internet (www.francescofoti.net).

 

 

Grazie Francesco. Io e chi legge, abbiamo bisogno di una promessa da parte tua, citando le tue parole alla fine del tuo nuovo singolo “Tàn Tàn Tàn”: “non ti arrendere!”.

 

Copertina Tàn Tàn Tàn