Al momento stai visualizzando Una conchiglia sommersa

 

Con l’immaginazione gli toccò appena un lembo di tessuto della sua fresca camicia azzurrina, a righe sottili ed allineate, ben stirata e a modo, come lui. Le bastò quell’attimo per avvertire il fastidio dell’altro pur senza vederlo. Il disagio era evidente e la raggiungeva attraversando vie misteriose. Da tanto non vedeva l’espressione del suo viso. Non riusciva più nemmeno ad immaginare il suo sorriso e quel guizzo particolare dello sguardo che tradiva l’emozione. Eppure se chiudeva gli occhi lo sentiva ancora parlare piano, piano, come il vento d’estate e scrivere sui muri della gente e cantare le sue canzoni strambe. Poteva ascoltare anche a distanza ogni suo riposto pensiero. Non sapeva come questo potesse accadere ma le succedeva talvolta di entrare nel cuore di qualcuno e di rimanere presente. Non si trattava di un gancio pesante, dell’ancora bloccante di una nave, era piuttosto come un vaso di rose su una tavola imbandita. E adesso era di troppo tra i due commensali. Non riuscivano a guardarsi bene con quella presenza ingombrante. Le bastava poco per capire che era divenuta una scocciatura. Un’inflessione brusca della voce, una parola decisa e secca, un’interruzione improvvisa. Ed anche così non riusciva a sganciarsi, a staccare la testa ed il cuore. Ci aveva provato milioni e milioni di volte, ogni giorno per mesi, senza successo. Sentiva il suo odore di campo e di spighe ed il respiro lento e prolungato quasi che l’altro fosse lì ad un passo da lei. Ne avvertiva i sussulti e le emozioni. Si chiedeva come fosse possibile entrare e permanere nell’interiorità così prepotentemente. Avesse avuto un briciolo di orgoglio o di buon senso tutto questo sarebbe finito da tempo. Un po’ di sano amor proprio l’avrebbe messa in salvo, avrebbe messo a tacere il suo cuore impazzito. Che si trattasse di amore non vi era alcun dubbio. Le attraversava tutto il corpo senza toccarla e tutta la mente senza parlarle. Prigioniera di un sentimento tirannico che non le lasciava fiato aveva eretto un parete alta e spessa per non permettere a nessuno di scoprirla terribilmente indifesa e spaventata. Non riusciva a capacitarsi di come la passione avesse preso il sopravvento spogliandola delle antiche certezze e lasciandola in balia di se stessa. La ragionevole eppur giusta vergogna era scomparsa e l’aveva assalita la tenerezza, semplice, schietta e coraggiosa. Non aveva armi per vincere quella battaglia contro il proprio cuore, nemmeno l’evidente disprezzo e l’ostentata indifferenza l’aveva scossa se non per un momento.
Si era fatta notte. Ormai i suoni si confondevano con il silenzio e la realtà con i sogni. Immagini vere o presunte di fate e di maghi avrebbero dominato sulle spaventose tenebre. Mentre i ricordi si inseguivano e le domande sul vero significato di quanto stesse accadendo si moltiplicavano, abbassò le palpebre e si addormentò sperando di sognarlo: era solo una povera conchiglia sommersa dal mare.