Al momento stai visualizzando Una calmata

 

Diamoci una calmata. Bisogna, perché quando tutto va bene bisogna rasserenarsi. Mi riferisco alla presenza degli intellettuali nel nostro Paese. In tutti i Paesi. Una presenza che nel corso dell’ultima metà di secolo si è infoltita e ingagliardita. Ingaglioffita molto. Infatti la perfezione pare si raggiunga quando ciò che è perfetto si rende invisibile. Pensate all’armonia del mondo intuita quella volta da Pitagora: c’è ma non la avvertiamo, ci siamo abituati alla sua armonia. Che è tale da renderla virtuale ai sensi. Che bello!
I malinformati sostengono che l’attualità è talmente nemica della letteratura da esserne l’opposto. I consapevoli, informatissimi, affermano il contrario, pretendono di dimostrare come siano le ossimoricità a stimolare l’irrompere del nuovo. Quale delle due tesi sia vera non starà a noi proclamarlo. La terra gira e noi siamo girini. Crescendo diventiamo batraci. É la legge della evoluzione biologica (Darwin non c’entra).
Certo, fin che si parli di girini il discorso può filare. Col cambiare marcia e dire batraci la musica diventa espressione stridente. E viene da pensare a Stravinskij.
Torniamo ai batraci e dissotterriamo Il re travicello del Giusti che il poeta fece piovere nella gebbia con i ranocchi. Avrebbe potuto scrivere “piovuto ai batraci”, invece di lasciare il “piovuto ai ranocchi”. Ma avrebbe avuto difficoltà al momento di accordare la rima baciata con “ginocchi”, che, piegati come sono stati colti al momento dell’arrivo del re travicello, danno significato definitivo e definitorio alla scena e alla disposizione d’animo dei ranocchi-batraci. Ora voi, cari lettori immaginari, mi chiedereste: “Ma è una questione di batraci?”
A ciascuno lasceremo facoltà di giudicare. Qui, su questa rassegna di scritture on-line, si pretende di dissertare su temi letterari. Quindi non si può che mostrarsi (sic!) prudenti, darsi una calmata, appunto.
Decenni or sono, e si dice per dire, si levarono alte voci femminili con un “Tremate-tremate le donne sono tornate”, fortemente allusivo per il malizioso cambio di “soggetto significante” che, di là dalla diacronicità avrebbe lasciato adito a qualche “distinguo”. Ebbene? Adesso non siamo in pochi a rimpiangere le streghe. E i rimpianti non traducono liete speranze.
Siamo come i velisti quando aspettano il vento. O come i barcaioli a braccia conserte, quando guardano verso l’orizzonte e controllano il ritmo della risacca in attesa che finisca il vento di libeccio.
E gli intellettuali? Ingaglioffiti? Già, s’è detto prima: nemmeno le donne.
Niente. Siamo nella calma opprimente dell’occhio d’un ciclone che non si decide a scatenare la propria mostruosa energia. I girini crescono e si fanno batraci e questi male che vada, rospi. Che ai tempi dei nonni nessuno voleva inghiottire.
Sembra una nuova più aderente sceneggiatura del Deserto dei Tartari di Buzzati. Tutti in attesa del nemico, dell’invasore. L’ansia ci rode impietosa.
Diamoci una calmata, ci sono le lobby di scolta. Pensano loro per tutti.
A noi basterebbe il diritto del voto. Ma l’ansia ci impedisce di usarlo. Per questo sarebbe igienico calmarsi, ascoltare. Le voci ci sono, i segni non mancano, diamoci una calmata e facciamoci schiarire le idee, è questo il momento giusto per meditare e forse anche per agire.