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Oggetto della mia ricerca è la tematica dell’adulterio nella letteratura italiana del secondo Ottocento: nel periodo compreso tra il 1848 e i primi del Novecento essa conosce la sua “stagione d’oro”. Se nei secoli precedenti l’adulterio era stato ampiamente sfruttato come tematica e utilizzato anche come motivo di beffa (pensiamo, ad esempio, alla Mandragola di Machiavelli), adesso assume ben altra valenza. Siamo nel XIX secolo, la nascente borghesia si impone, e, di conseguenza,  impone anche il proprio nucleo sociale monocellulare basato sulla famiglia, fondata sull’autorità del padre; di conseguenza, tutta la società assume una connotazione maschilista, e la donna è totalmente sottomessa all’uomo, non ha modo di ribellarsi. L’unico mezzo per evadere, stranamente (ma non troppo, se si considera che la vita di una donna era limitata al suo rapporto con il marito e con la famiglia, immersa nel microcosmo borghese della casa, spesso equivalente ad una prigione), è commettere adulterio: i matrimoni combinati erano la maggioranza, e tradire il proprio marito significa ribellarsi non solo alla sua autorità ma anche a quella paterna e distruggere le fondamenta della famiglia, e, conseguentemente, della società.
Dal punto di vista letterario, l’adulterio garantisce la narrabilità: una storia travagliata assicura l’intreccio e appassiona i lettori. Significativo è anche il fatto che l’adulterio, trasgressione di un contratto, venga narrato prevalentemente con la forma del romanzo: un genere in crisi, basso, aperto, espressione della neonata coscienza borghese ed incentrato prevalentemente sulla tematica del matrimonio. Ho scelto deliberatamente di occuparmi di romanzi e racconti meno conosciuti: in tutti si può facilmente riscontrare l’influenza di Madame Bovary. La presenza della tematica dell’adulterio è consistente nella letteratura del secondo Ottocento, e permette l’individuazione di alcune costanti, prima tra tutte l’eliminazione fisica dell’adultera tramite suicidio o uxoricidio (che non troviamo, però, nei romanzi da noi presi in considerazione: ad essa si sostituisce una morte ontologica, molto più profonda di una “semplice” morte fisica, che invece libererebbe dai tormenti della vita).
Narrare l’adulterio, dunque una ribellione, se si considera la condizione di subalternità della donna, è sintomatico di una profonda crisi: man mano che la donna acquisisce un’identità, l’uomo perde la sua, e la società, fondata sull’autorità maschile, risente inevitabilmente di questo fenomeno. Non a caso i protagonisti dei romanzi e dei racconti scelti sono uomini materialisti, vili, meschini, anche pusillanimi, come nel caso di Maurizio di Dio ne scampi dagli Orsenigo o di Don Lucio de La casa nel vicolo. È la donna il motore dell’intera vicenda, e la sua affermazione, potremmo dire, passa dall’adulterio, come in Adriana, racconto di Federico De Roberto. È anche la sessualità femminile a fare paura, l’acquisizione della consapevolezza della propria capacità seduttiva: la donna aveva un unico compito nella società, quello di essere moglie e madre. Rivendicare il diritto all’istruzione superiore, richiedere il giusto salario e il diritto di voto spaventa l’uomo, che teme di veder venire meno la propria supremazia sulla donna, di cui Lombroso aveva dichiarato scientificamente l’inferiorità e la propensione alla delinquenza e alla prostituzione. Anche in letteratura il dominio è maschile: per questo motivo possiamo ritenere significativo il fatto che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento compaiano sulla scena scrittrici come Sibilla Aleramo, Neera, Maria Messina, che danno voce all’oppressione femminile. La scrittura, come l’adulterio, è una trasgressione: le donne acquistano una consapevolezza nuova, quella della propria identità, indipendente e scissa da quella dell’uomo. Ecco perché una donna come Sibilla Aleramo è doppiamente trasgressiva, poichè abbandona il marito ed è anche una scrittrice: ricerca in un ruolo differente da quello impostole dalle leggi di natura e divine la sua realizzazione. Agli inizi del Novecento, però, la tematica dell’adulterio perde importanza e finirà con l’avere minore rilievo. Le cause di ciò si potrebbero riscontrare, come afferma Romano Luperini, nella scoperta della psicanalisi, nell’evoluzione dei costumi: l’adulterio diviene un fatto privato, non è più un dramma sociale come in precedenza.

 

SOCIETÀ BORGHESE E ROMANZO

La Rivoluzione francese del 1789 sancì soprattutto l’avvento al potere (in alcuni casi, ad esempio in Inghilterra, il consolidamento ufficiale di tale potere) della borghesia. Dopo le rivoluzioni del 1848, la borghesia europea conobbe una stagione di impetuosa, crescente affermazione. Bisogna premettere che il ruolo, i caratteri e la composizione di questa nuova classe sociale variavano da Paese a Paese, ma un po’ ovunque essa fu portatrice di elementi innovativi come il progresso scientifico e lo sviluppo economico. I valori della borghesia erano la moderazione, l’austerità, la propensione al risparmio, la repressione degli istinti. Quest’ultima caratteristica era dovuta alla componente puritana e moralistica che si rifletteva particolarmente all’interno della famiglia, il nucleo portante di questa nuova società, basata sull’autorità del capofamiglia; molto forte era in essa la subordinazione della donna, che era esclusa dalle attività lavorative e delegata all’unico ruolo di moglie e madre.
La società borghese è costituita da una pluralità di famiglie, e si distingue per la sua intraprendenza in campo economico. Ma a tanta apertura in campo finanziario corrisponde altrettanta chiusura nel microcosmo della famiglia. In questo senso possiamo parlare di “doppiezza borghese”. «La casa era la quintessenza del mondo borghese, perché in essa e soltanto in essa si potevano dimenticare, o sopprimere artificialmente, i problemi e le contraddizioni della sua società»[1. E. J. HOBSBAWN, Il trionfo della borghesia. 1848-1875. Roma-Bari, Laterza, 1976, p.284.] Era all’interno della famiglia che i figli venivano educati più o meno rigidamente, secondo le usanze del tempo. Nella maggioranza dei Paesi cattolici vigeva l’obbligo di castità per le borghesi nubili e fedeltà per quelle maritate, ma gli scapoli borghesi potevano liberamente correre dietro a colei che più risultasse gradita al proprio gusto, e l’infedeltà era tollerata per tutti i mariti[2.  Ivi, p.290.]. Questa disparità di trattamento non stupisce, poiché la ravvisiamo all’interno di una società che, come detto, si basa su un’autorità patriarcale. Ne consegue una ovvia discriminazione della donna, destinata ad essere solo moglie e madre. L’elemento sessuale all’interno del mondo borghese era concepito come «una straordinaria miscela di tentazione e proibizione»[3. J. L. FLANDRIN, Il sesso e l’Occidente. L’evoluzione del comportamento e degli atteggiamenti, Milano, Mondadori, 1983, p.79.]. Questa società era effettivamente basata sulla repressione degli istinti, non solo sessuali. La famiglia era la cellula base della società borghese, lo ricordiamo, e fondamentale era il contrattualismo, il sistema di scambi che avveniva tra le famiglie e che aveva come protagoniste le donne e la dote. Questo insieme di caratteristiche (l’autorità del padre e il perbenismo che si faceva sentire soprattutto per quanto riguarda la morale sessuale) può facilmente fare intuire non solo quale fosse la strutturazione della società borghese, ma tutta una rete di rapporti sociali ed economici che vi erano alla base. Appare chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi il matrimonio fosse un mezzo per stringere un’alleanza con un’altra famiglia, anche perché la borghesia, essendo eterogenea, favoriva la mobilità dello status da un livello all’altro. Un buon matrimonio, dunque, poteva portare prosperità e ricchezza agli affari della famiglia in questione. Che poi non vi fosse il benché minimo affetto tra i due novelli sposi, questo aveva poca importanza, l’amore veniva sacrificato in nome delle logiche economiche. Le peculiarità della borghesia, e cioè l’importanza conferita all’aspetto economico, puramente materiale, da una parte, e il modo di concepire il matrimonio e il sesso dall’altra sono indissolubilmente legate, poiché la seconda, nella stragrande maggioranza dei casi, deriva dalla prima. Per lunghi secoli il matrimonio ha avuto il compito di legare due famiglie e di permetterne la perpetuazione. Flandrin mette in evidenza come nel Dizionario dell’Accademia Francese (1876) compaiano le espressioni “matrimonio di convenienza”, “di ragione”, “di interesse”, opposte al matrimonio d’inclinazione, d’amore: il secondo nella pratica è ben lungi dal prevalere nella famiglia borghese e dovrà aspettare ancora qualche decennio prima di trovare posto nella società del tempo, salvo qualche raro caso.
Cercheremo ora di comprendere che tipo di rapporto si instaura tra la società borghese del XIX secolo e la letteratura dell’epoca, in particolare con la forma del romanzo. Nell’antichità classica o nel Medioevo erano già presenti opere per certi versi affini al romanzo, ma questo genere inteso in senso moderno si afferma in Inghilterra nella prima metà del XVIII secolo con Defoe, Richardson e Fielding, e anche in Francia, finendo per imporsi definitivamente all’indomani della Rivoluzione Francese, parallelamente al consolidamento della borghesia. Appare difficile fornire una definizione di romanzo in quanto genere, poiché esso accoglie al proprio interno differenti istanze e si manifesta in modi molto variegati. La difficoltà di definizione di un genere è oggettiva. Non possiamo fornirne una che assurga a dogma e che valga per tutti. Peraltro, il nostro scopo non è offrire una definizione di romanzo, bensì verificare il rapporto esistente tra questo genere e la nascente (all’epoca) società borghese. Lukács nel suo scritto Il romanzo come epopea borghese mette in rilievo come questo genere assuma i suoi tratti distintivi solo all’interno della società borghese e come la forma del romanzo faccia emergere tutte le contraddizioni interne a questa società.
L’aspetto conservatore della borghesia, ma allo stesso tempo innovatore, è ravvisabile anche nelle parole di Lukács, che parlando della mancanza di attenzione rivolta al genere romanzo da parte della teoria della letteratura, almeno in una prima fase, afferma:

Il pensiero teorico della giovane borghesia in tutte le questioni dell’estetica e della cultura doveva per forza di cose tenersi il più possibile vicino al suo modello antico, nel quale aveva trovato una tagliente arma ideologica per la sua lotta per la cultura borghese contro quella medievale. Questa tendenza si rafforzò ancora notevolmente, quando la crescente letteratura borghese cominciò ad attraversare la fase assolutistica del suo primo sviluppo. Tutte le forme della creazione artistica non corrispondenti ai modelli antichi, cresciute organicamente dalla cultura medievale in sembiante popolare e a volte persino plebeo, in questa fase di sviluppo sono ignorate dalla teoria e spesso sono respinte come «inartistiche» […] Il romanzo invece, attraverso i suoi primi grandi rappresentanti, aderisce direttamente e organicamente all’arte narrativa del medioevo; la forma del romanzo sorge dalla dissoluzione della narrativa medievale come prodotto della sua trasformazione plebea e borghese[4. G. LUKÁCS, Il romanzo come epopea borghese, in Problemi di teoria del romanzo: metodologia letteraria e dialettica storica/scritti di Georgy Lukacs, Michail Bachtin ed altri, a cura di Vittorio Strada, Torino, Einaudi, 1976, p.134.].

Carattere conservatore, dunque, perché ancorato alla tradizione precedente, ma anche intraprendenza, in quanto il nuovo si avverte nella sua eterogeneità, nella sua difficoltà di codificazione e soprattutto nell’essere la voce della neonata coscienza borghese. Lukács ci mette in guardia: le teorie del romanzo sono tutte molto interessanti, ma non possono fornire spiegazione alcuna circa lo statuto del genere, né motivare le caratteristiche che lo differenziano dagli altri generi[5. Ivi, pp. 134-135]. Troviamo conferma del dualismo cui accennavamo in precedenza anche nel pensiero di Hegel, che definisce il romanzo «epopea borghese» proprio perché possiede le caratteristiche dell’epos ma subisce le modificazioni apportate dalla nuova società. borghese, diventandone espressione. Un’espressione peraltro prosaica, non poetica. Su ulteriori contrapposizioni riguardanti l’epos e il romanzo sorvoleremo, in quanto non sono oggetto della nostra disamina.
Torneremmo però sulla composizione piuttosto variegata del genere romanzo. Bachtin affermava che il romanzo introietta, fagocita tutti gli altri generi, li metabolizza; il romanzo raccoglie al suo interno le istanze più disparate. Secondo Cesare Segre esistono epoche indenni o estranee alle classificazioni nel corso delle quali lo sviluppo dei generi può essere visto come la maturazione di tradizioni, e l’istituirsi di connessioni tra certi contenuti e certe forme espositive[6. C. SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, pp.234-263]. Dunque, i generi esistono e ogni testo è un prodotto di un determinato, preciso momento storico.
Lukács aveva già dedicato un’opera giovanile a questo nuovo genere, Teoria del romanzo, pubblicata nel 1920, ma vi lavorava già dal1914. In quest’opera suddivide la storia letteraria in due grandi fasi, quella classica e quella moderna. Quest’ultima viene definita età della totalità in frantumi, poiché non vi è più armonia tra io e mondo come invece avveniva nell’età classica. Il romanzo è un genere aperto, basso, in crisi, ed è espressione della crisi.
Ulteriori problemi potrebbero nascere in riferimento alla nozione di sottogenere. Ancora più difficile che fornire una definizione di genere è dare una definizione di un microgenere quale potrebbe essere il romanzo educativo, politico, storico, ecc. Si può parlare del sottogenere del romanzo d’adulterio? Potremmo definirlo attraverso il tema (l’adulterio, in questo caso). Dunque, ogni romanzo incentrato su questo tema è potenzialmente un romanzo d’adulterio; questo conosce il suo periodo d’oro nella seconda metà del XIX secolo, fino agli inizi del XX secolo, finendo poi per perdere importanza. Il perché di questa perdita di centralità cercheremo di rintracciarlo man mano che andremo avanti con le nostre considerazioni. Per il momento è importante sottolineare come la tematica amorosa rientri appieno, ad esempio, nei romanzi del Settecento (Pamela, La nuova Eloisa) e quanto già da allora sia evidente il conflitto con le convenzioni sociali. L’eroe del romanzo è sempre un eroe problematico, che deve confrontarsi continuamente con il mondo che gli sta attorno e affermare su di esso la propria identità. Il romanzo è un genere che presuppone una società costituita da lettori che possano identificarsi emotivamente con il personaggio protagonista della vicenda narrata. Ora, però, dobbiamo comprendere perché la tematica dell’adulterio sia così presente all’interno della letteratura italiana ed europea a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Per farlo, sono necessarie prima alcune considerazioni sull’adulterio come fatto in sé, e sulla sua “narrabilità”, senza alcuna pretesa d’esaustività.

(Continua…)

 

Maria Gabriella Di Chiara

Classe 1986, vive a Morano Calabro. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università della Calabria, con una tesi dal titolo Contratto e trasgressione: l’adulterio nella narrativa italiana del secondo Ottocento, di cui pubblica qualche estratto a partire dal n. 46 di Lunarionuovo. Attualmente frequenta un master in Didattica dell’Italiano e fa parte dell’associazione culturale “Il Sileno”. Si interessa di questioni relative alla Shoah e ha collaborato alla realizzazione di incontri preparatori di lettura e cineforum in vista del convegno sulla “Giornata della Memoria” che ogni anno, dal 2007, si tiene all’Unical.