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Quale cielo fiorito di leandri
e zagare e ginestre, in cui la sera
si sfarina di zolfo tra le nubi,
esala da una balza di nitore
sui muretti a calcina, fra i carrubi
barbicati al suolo paglierino,
allo zoccolo frusto dei casali..
Vastità effusa lungo le pietraie
dilegua là, frammezzo alle lampare
delle barche; sul mare acceso d’indaco
un affresco assembra di scirocco,
Sicilia, e scintillare con il rame
ancora sulle onde e le corazze
fiammee dei tuoi pupi. È questo il segreto
che dal suo chioccolìo di fontanelle,
mite, nelle piazze imprime quell’eco
di dolcezza, quell’attesa felice
di serbarsi nell’ombra delle case,
in un fruscìo barocco di palazzi
inzaccherati d’oro dallo schiocco
africano dei tuoi venti? S’impiglia
nei giardini alle fronde dei limoni
l’accordo e il cricchìo delle cicale,
accosto alle iraconde bocche in pietra,
alle finestre e alle gronde dei rioni;
e intanto intreccia melodie il manto
d’aria che piano sciogli, e vesperale
si trasmuta, incolora di pervinca
nei rami degli ulivi che s’ingemmano
di stelle. Ma è per la tua memoria
inconfessabile che l’ebbra mandola
della notte, tepore di vitalbe,
assieme a un contrappunto di chiarori,
al già percosso cuore delle genti,
si fa poi commossa. Mentre il consunto
stilo dell’esistenza ne dà traccia,
lontano, dalle bioccolute ciglia
del mare ai portali delle chiese,
verdi di sopra al marmo alabastrino
dei frontoni; più oltre da latòmie
dove s’erpica il cappero e le cornute
foglie di fico, alle biche di sale
nelle lagune riarse di fatiche.
Notizia mai dispersa che i silenzi
fra gli asserpati vichi di paese,
celano ove occhi antichi di fanciulle
inseguono, irreali, i confini
graffiati sopra i sassi per il nulla
dei loro salterelli. Ah, eccolo
il tuo cielo, la luce che sui crini
degli asini, sui volti dei braccianti
impenetrabili, si vede, intrisa
a ogni natura, impietrire nei fini
acànti e capitelli diroccati;
il tuo cielo che sopra la battigia
ormai deserta, erode la carena
poco a poco, la chiglia come ruggine
dell’alba, e vi raggruma sulla rena
color perla i cordami e la caluggine
d’una musciara; torte, aguzze maglie
che soffocando il guizzo verdebruno,
già tombe e delle mani altri segni,
d’ostro ossidò la furia di mattanza;
ora follia tra le fughe d’inquieti
sgombri, ora una speranza tra i frangenti.
……………………………………………………
Il tuo cielo che avanza come fiori
sull’orlo degli occhi, dalla sua arsura
appena, queste rughe che ignori.

 

Omaggio alla Terra tanto amata negli anni, alla sua bellezza riposta come il miele più raro in un favo di luce, nell’arnia che mi donò i nutrimenti del cuore. Con tutta la loro innocenza riscopro questi vecchi versi…

Roberto Valentini

Nato a Milano, dal 1999 lavora come insegnante nella scuola secondaria superiore e sopra(v)vive a Bernate Ticino, al confine occiduo della provincia milanese. Laureatosi in filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha collaborato con la cattedra di Storia della filosofia contemporanea quale redattore della rivista “Magazzino di filosofia” diretta dal Prof. A. Marini; attualmente, oltre a proseguire tale attività, è fra i curatori del relativo sito web di filosofia contemporanea www.filosofiacontemporanea.it. In questi anni vi ha pubblicato, fra gli altri interventi, saggi sull’insegnamento della filosofia, sul cinema di Kubrick e, di recente, una interpretazione letteraria di alcune tematiche della riflessione di Maurice Blanchot. Ha presentato un proprio contributo nell’opera collettiva Vita, concettualizzazione, libertà (Mimesis, Milano, 2008). Si è interessato in modo particolare della filosofia francese post-strutturalista, della Nietzsche-renaissance e del pensiero di autori quali Derrida, Deleuze, Blanchot, Bataille, Klossowski; coltiva da sempre l’impaziente passione della letteratura preservando epistole, esercizi di stile, prose rapsodiche e innocenti endecasillabi – né pretenziosi né insinceri – dalla (nella) loro lieve agonia dentro un cassetto.