Al momento stai visualizzando La vedovanza di Halima (9)

Il palazzone in cui abitava Sciummula a piano terra ed Halima al terzo piano consisteva in undici piani. Era un fritto misto: tunisini, algerini, marocchini, turchi, cinesi, francesi, italiani, senegalesi e siciliani. La maggior parte erano commercianti e pensionati. Gli uomini non osavano dire più che buongiorno e guardavano sovente a terra, avevano un’aria impremurata. Le donne ai primi tiepidi raggi di sole occupavano i sedili dello spazio verde adibito e curato dal Comune. Gli adolescenti stavano appoggiati alle loro vetture d’occasione ma arricchite di stereo che fino alle tre di notte funzionava a squarcia volume. Le adolescenti stavano assai vestite e con la mano che tentava di nascondere il rumoroso ridacchiare che scappava intrufolandosi tra le loro dita. C’era sempre aria di movimento. Sembravano le pagine intere di vocali che gli alunni elementari compilavano verso gli anni cinquanta. A tutto si poteva pensare osservandoli tranne che al sesso ed alla civetteria che lo abilita. Di Sciummula, appena tornava a casa, si udiva l’allegra voce di soprano fino al piano più pizzuto. Salutava e puntualizzava:
“Sono amica con tutti, nel bisogno vi do il cuore ma non chiedetemi un centesimo altrimenti non vi conosco neanche se siete stesi per terra.”
Gli inquilini la chiamavano Smerdaculo e Leccasoldi anche se lei ci teneve a rivalutare il suo ultimo lavoro di badante per vecchi paralitici, come servizio sociale, perché con la sua pensione sarebbe potuta vivere come una regina. Halima non la valutava affatto e le diceva:
“Ricordati che devi morire e lasciare. Con un pugno ti schiaccerei le pulci in testa. Per te non ci sono neanche le Feste
davanti all’ammontare”.
C’era chi andava a fare il cuoco nella scuola elementare e si alzava alle tre, chi partiva alle quattro di mattina per andare a fare il manovale, chi si scialava a vendere al mercatino frutta e verdura a prezzi ridotti a causa della crisi, chi riparava televisioni ed ordinatori di bocca in bocca. Vi abitava anche una pensionata che raccoglieva i sogni, i desideri, il punto della vedovanza di Halima che la annoverava tra i familiari invece di amica. Infatti con lei era disinibita:
“Signora ho il cervello come un bigliardino, pare che gli altri ci giocano quando mi si avvicinano, scossoni di qua e scossoni di là a cominciare dai miei figli. Nel mio cervello non ci entra più niente. Mi bastò quello che me lo riempì. Anche da parte di chi ho avuto del molle in quanto più tenera e ultima figlia. Le lamentele sono le stesse, cambia l’orario. Certo che se vincessi quattro milioni si inventerebbero pure l’amore per me. Con i soldi in tasca non c’è neanche peccato. Solo lei mi viene a scommettere fino a casa e mi sento considerata. Ce l’ho tante figlie ma si occupano soltanto di tingi muso e profumo ad ammazza mosche. Mi criticano pure l’osso del petto perché ce l’ho a paloma. I vicini appena escono di casa mostrano, perché lo credono, la cresta più grossa degli altri, di questi si sa la nascita, ma la pascita quale è? Come e dove si sono tolti il bavaglino, resterà un mistero. Si arriva in Francia e ufficialmente non si ha più un passato. La mia vita è consistita nel muso stretto. La scuola fu mia madre e me la sono guadagnata ricalcandola. Tutto il resto è noia perché non è potuto essere ripetibile. Stamattina ho visto spruzzate di nuvole con la scia trasparente e ora siamo qua.”
“Sua madre com’era?”
“Mi devi dare del tu, visto che andiamo a respirare aria verde attorno al palazzo ogni tanto quando il sole è a portata di mano. Ogni tanto me la sogno e mi pare una bella donna. Con lei mi confidavo ma fino a un certo punto. Oggi non so che devo dire di lei. Sin da bambina quel che ho fatto me lo sono messo dietro la nuca così non lo vedevo più, così non era successo mai e se non lo vedevo giuro che non era successo. Solo che mia madre e mio padre quando ero trista mi trattavano come se il fatto ci fosse ancora e me lo spostavano di nuovo sulla fronte, in avanti e le immagini mano mano mi si avvicinavano e mi riapparivano. So solo che i miei capelli bianchi sono i pensieri, che la pancia piena punge, che sono stanca e stufa di me e non mi credo più”
“Benvenuta nel mio club. Pare strano ma ci si abitua. Poi si sta meglio in questo reame. Non vi traballano le natiche. Non vi si nasconde con la parola lo sguardo ma occupiamoci di questo pugno di giorni che ci restano da campare. Oggi come oggi che vorrebbe?
“Uscire di notte per inseguire dov’è la luna. Forse che si vede per metà mese e basta perché litiga col sole?”
Trattandosi dell’ultimo presente ci metteva tre ore per rispondere:
“Vorrei che le due figlie femmine più giovani avessero più timore e seguitassero il Ramadan. Dicono che non vogliono finire come tutte quelle teste fasciate che ogni sera si riuniscono per parlare forse di posizioni di letto. Povero quell’uomo che incaglia fra le loro mani. I piatti da lavare possono restare anche tre giorni ad aspettarmi tanto ora che a casa sono rimasta sola con chi devo litigare? Se mi litigo con me stessa subito una parte di me la difende e siamo sempre pari. Non so fare la o col bicchiere ma ho capito che buono è quello che è buono. Ho la bella pensione che mio figlio controlla alla banca. I soldi sono veramente miei ma non li so contare. Quanto costa un chilo di couscous? Il mio compito consisteva nel cuocerlo, mangiarlo e farlo mangiare. In questi giorni c’è caldo di Sahara. Ieri mi hanno chiamato il medico perchè ho avuto uno sbandamento. Dicono che è il digiuno del giorno del Ramadan”.
“A questa età malata, come si presenta al suo Dio bardata con i parigini che le confortano le varici sotto la camicia da notte? Che ci fa con la cappottina nera, i mutandoni annodati alla caviglia digiuna ed arsa finchè c’è sole?”
“E’ l’abitudine, per questo non obbligo le due che rifiutano di farlo. Queste due normalmente costituite cioè con giusta dose di grana nel cervello, si comportano come se fossero delle Cristiane ma buono sia quel che è buono, si vede che Allah non ce la fa a venire fin da loro. Loro hanno rifiutato di imparare a parlare in arabo. La pianta della religione non ha fiorito in loro. Non trovo chi mi passa l’hennè, sono i pensieri…”
“Che pensieri ha?”
“Tenere sempre la lingua incollata al palato.”
Mentre parlava Halima si accarezzava le parti del corpo come per andare a contattare ogni cellula ed imprimere loro il coraggio di accettare il proprio degrado. Ogni giorno prendeva la coroncina come i cattolici e si ripeteva il Credo dei suoi ricordi. Le figlie se le era maritate, anche gli uomini se li era ammogliati. Non erano più figli come prima ormai ma figli signori e signore come quelli che incontrava tra le scale. Si sentiva abbandonata come quando li aveva partoriti. Ad ogni matrimonio che si realizzava in quella casa era come un non lo faccio e non sarà mai.
“Guarda, io me li vedo come se li avessi ripartoriti ma purgata da ogni sentimento.”
Si rassegnava perché sapeva che quello voleva la Natura, tanto un giorno li avrebbe abbandonati lei morendo.
Si confidava con la vecchietta storpia del quarto piano anche:
“Ho paura della notte immensa e sconfinata perché mi trascina ovunque all’impazzata. Ho paura di non riuscire ad addormentarmi e di mandare la vita vissuta presso i Greci come dicono i Francesi.”
Era al passo con lo sviluppo dei tempi moderni ma se ne rendeva conto quando da vedova una volta all’anno andava in Algeria per dedicare una visita ai suoi due mariti spirati. E poiché i conoscenti la guardavano a vista per colpa del suo essere divenuta più moderna di loro, se ne restava fra quattro mura nella speranza che qualcuno venisse a darle un’occhiatina chiamata visita. Stava a raccogliere i frutti per i residui dell’emigrazione dall’Algeria ormai:
“Ritorno in un mondo che non c’era e non c’è. Non sono stata allenata al fatto che dipende da me la mia vita. Avevo sempre, da vivi o da morti, avuto padre e mariti che mi controllavano, mi dirigevano. Mi pare così strano che le mie figlie dicono:
– La vita è mia –
Ma chi glielo ha insegnato? A chi lo hanno sentito dire?
Mio marito Shafi si dava la faccia alla spazzatura per quei franchi che guadagnava. Non sono stata acculturata ma se la cultura manca di fatti, come si può memorizzare senza toccarla?
I giovani di oggi non vogliono avere un Dio. Questo è un peccato perché non sanno che invecchiando, nel cuore si passerà lo svenimento che fa finire il piacere di Lui. Chi sa contare non prega. Ordina.”
Quando si preparava per la preghiera a volte ne era disturbata al solo pensiero. A volte udiva suonare la sveglia e poi come per incanto si convinceva di avere dimenticato di farla la benedetta preghiera.
“Il mondo mi pare che si è imbastarditito, se vuole evolversi, alla religione non resta che imbastardirsi. Penso e ripenso che la Francia mi ha dato pane a preghiera, ma mi ha tolto sia i figli, sia il Dio, sia i genitori, sia il marito e pure tutti gli altri che non sono mai esistiti, però mi ha insegnato a parlare soprattutto con gli stranieri. E’ bello parlare con te che sai ascoltare. Noi stranieri cerchiamo di consolarci fra di noi che come le lumache siamo uscite dalla casetta per non tornarci più. Io ho il problema della religione. Che è sta religione se non una ripetizione di parola? Quando sto ad anchilosarmi mi concede un conforto senza limiti ma appena ne gioisco, mi toglie il sorriso dalla bocca.”
“A che serve sbucarci la noce del cervello alla nostra età?”
“Ah se ogni lunedì quando gli altri andavano al lavoro o a scuola fossi stata buona a scegliermi un Dio più libertino. Invece doveva essere quello di prima se si voleva stare in pace. E’ un vero problema questo Dio. E’ una fissazione che non si può curare se non si hanno i soldi. Non so più a chi dirlo o ripeterlo”
“Forse che la religione vuole segregare il selvaggio dell’umanita?”
“E dopo che mi avessero tolto il selvaggio che mi circolava poi? Mi hanno insegnato il francese, in questa lingua posso dire ciò che voglio, hanno provato anche ad insegnarmela a scrivere ma la mia mente non regge, non si smuove. I miei figli restano come maestri di una mamma che è cresciuta in arabo. La notte me la vivacchio in bianco, una volta per pregare, una volta per ricordare, una volta per discutere contro le ingiustizie, una volta per fare pipì avvelenata come sono dalle medicine per sopravvivere, una volta per tentare di scappare a Dio”
“Perchè si fa queste serenate notturne? La religione è semplicemente il retro pensiero di ogni vita!”
“A che serve che ogni giorno gli ho aggiustato qualche difetto a Shafi? Oggi me lo devo ancora ricordare per correggerlo e ancora lo faccio per lui stesso, al fine che si possa sentire meglio nella grazia di Allah. Sinceramente me lo sto togliendo di dosso. Non poteva correggerlo lui al posto mio e non scaricare a me questo compito? Tanto lui verso la fine con menefreghismo mi rispettava, perché avevo dell’età e basta. Ormai che era piovuto ed era scampato nel nostro letto che dovevo chiedergli di più alla Vita Santa se quello che avevo mi soverchiava? Ora mi basta e mi soverchia persino il ricordo. Questo è il guadagno del silenzio mio che voleva essere da bambina come piacevo ai miei genitori cioè educata. Mi resta la televisione del mio personale passato, presente e avvenire, nello stesso tempo che la guardo al punto che vedere uccidere, rubare, pare una cosa normale. E’ un pane che non sazia. E’ un pane che non si digerisce appena si schiaccia il telecomando che è il sole. Me ne sono coltivata l’abitudine perchè è la mancanza dell’abitudine che crea la paura. Quelli del mio pianerottolo mi sconcicano che sono ringiovanita da vedova. Che ne sanno che mi corico vestita sul divano del salotto. Neanche le lenzuola uso tanto sono bardata dai mutandoni con elastico stretto e merletto.”
“Non possiamo sorridere un poco? Non conosce qualche barzelletta? Lei mai canta?”
Halima pareva un treno ad alta velocià:
“Cantare? Si, cantavo quando non capivo della vita. Ridere? Con gli anni si ricorda solo quello che è entrato in cuore. Senza i sentimenti si muore più tranquilla altrimenti si resta attirata da questa vita anche in agonia. Ho il cervello pieno di ematomi per supportare la memoria, per ricordarmi che esistono dei momenti dolci ed altri a cuore amaro, per ridirmi che quando vedo scivolare a chi mi sono aggrappata non mi resta che cadere ma senza fare rumore. Faccio di tutto per dimenticare”
“Basta per cortesia un poco di respiro. Voglio sentire solo di desideri altrimenti arrivederci”
“Ho visto Mac Donald in televisione, mio nipote ne va pazzo. Mi piacerebbe andarmici a sedere all’entrata magari per quattro patate fritte, giusto per veder gente di altri Paesi che passa davanti a me, tanto per potermi dire:
-Quanto ti sei fatta moderna Halima e brava e brava-”
“Parola che un mezzogiorno ci andremo insieme va bene?”
“Mio nipote sta sempre con gli occhi sgranati e a porta chiusa ma che ci vede dentro il computer? Chiunque va al Bled mi porta un vestimento e, quando lo indosso, come mi si vedeche  non l’ho scelto io. Così come, come mangio non l’ho scelto io. Me la infilarono nel cervello dal primo giorno la Scrittura Sacra che è fatta per leggerla ma io la conosco solo per sentito dire. Giusto, mi dicono, dato che sono cose che vengono riportate a voce? Tre i miei figli se le sono tolte queste catene con la scusa che sono giovani e francesi. Beati loro! Mi pare che la vita è un sogno e quindi si capisce alla fine, quando ci si sveglia. Com’era bello sognare, almeno là non c’era bisogno di pregare”
“Che ha avuto visite ieri?”
“Mio nipote è arrivato dalla Spagna all’improvviso. Manca dall’Algeria da sei mesi perché vi era andato a fare la stagione della raccolta. Ora è a spasso e tenta di sistemarsi in Francia. Tiene la moglie e i quattro figli adagiati dai suoceri con la scusa che là non c’è lavoro sin da quando si è sposato. Qui a casa mia mangia con appetito e che fa lo faccio pagare? Si fa la doccia due volte al giorno come se fosse sporco allora che non lo può essere perchè non suda senza lavorare. Si alza alle dieci, dice che va a spargere la voce che è disoccupato a piazza San Bruno, torna a pranzo, si fa la siesta, va a rispargere la voce, poi dopo cena si allunga sul divano e si addormenta verso le due di notte ed io corro e spegnere tutte le luci. Questa è vita che posso fare? In Algeria si fa così, ogni parente mangia dall’altro parente. Non posso dirgli di farsi la via, sarebbe un’offesa per tutta la razza. Manco mi dice grazie.”
“Questo è una sanguisuga.”
“Beve la birra e per questo i soldi ce li ha. Non va alla Moschea situata qua vicino. Me lo ha detto lui che non è stato mai alla Mecca.”
“Di che parenti antichi e religione ciaccia allora…. ?“
“Lascia perdere. Ci vogliono i fatti e non le parole. Da domani mi dò per malaticcia e mi scuso per non avere le forze di stirare, di smuovere la lavabiancheria, di cucinare, aggiungo che non posso sentire i rumori e quindi niente televisione accesa, niente aspirapolvere, niente discussioni che fanno alzare la pressione del sangue e vedrai che o trova lavoro o si fa il foglio di via per l’Algeria.”
“Insomma ora che è rimasta sola, è libera anche di fargli capire che sbafa a ufo. I parenti lo stesso si offendono?”
“Ah no! Perché io potrò giurare davanti ad Allah di non avergli detto né pronunciato mai di doversene andare da casa mia. Potrò convincerli che è stata la causa del suo risentire ad interpretare. Nessuno si potrà offendere. E’ una questione di correttezza”
“Tutto questo giro, questo girotondo ci vuole?”
“Questo girotondo mi ha fatto stare bene nel mondo. Di parlare se ne potrebbe anche fare a meno. Si andrebbe molto di più d’accordo. Le parole ubriacano, uh come ubriacano. La mia scienza, senza la studiata della scuola, è il silenzio”.

 

Arte-Moderna-e-Contemporanea-Araba-e-Iraniana-2

Rosa Pedalino

Nata a Leonforte in provincia di Enna,dove ha trascorso l’adolescenza, si è trasferita a Parigi, ha insegnato alla Sorbona e ha, per anni, mantenuto rapporti di coordinamento con gli emigrati italiani. Adesso vive a Grenoble. Tra le sue pubblicazioni creative un libro di racconti Decamerone siciliano (Prova d’Autore 1989), e i recenti Agli àgli m'incipollo e Di me mi prendo e di me mi lascio (Prova d'Autore, 2011).