Al momento stai visualizzando Intervista esclusiva al poeta Vittorio Stringi
© Serena Di Maida

© Serena Di Maida

Il poeta nisseno Vittorio Stringi, di cui spesso abbiamo proposto liriche inedite e di cui in altre occasioni ci siamo occupati su Lunarionuovo, ha pubblicato una nuova silloge di poesie dal titolo L’Umano sopra l’erba (edizioni Prova d’Autore). Come si può leggere in altra parte di questo numero della nostra Rassegna (rubrica “Passi perduti” del direttore) uno degli argomenti chiave della nuova opera stringiana è il “ritorno”, lo stesso tema che occupa questo numero monografico nel quale, adesso, cogliendo l’occasione di potere intervistare il Poeta, ci fregiamo del privilegio del suo contributo diretto.
I lettori avranno modo di entrare in sintonia culturale con Vittorio Stringi seguendone le esaustive risposte che qui di seguito seguiranno, ma avranno anche modo di integrarle con altre importanti informazioni esposte nell’analisi  della nuova opera, esposta nella rubrica prima citata. Inoltre la possibilità di collegarsi direttamente con il Poeta, visitandone il sito: www.vittoriostringi.it
Ed ecco l’intervista con le risposte integrali di Vittorio Stringi:

D. 1 – La poesia è un eterno ritorno, diceva Montale, un concetto che è stato da sempre argomento intimo dei grandi Poeti ma che nei tempi odierni non troviamo più con altrettanta frequenza. Secondo lei perché questo diradarsi del tema del “Ritorno” ?

R. Si può parlare di ‘ritorno’ quando si presuppone che l’uomo abbia compiuto un viaggio durante il suo percorso esistenziale, sia esso artistico, creativo o di altra natura. Tutti viaggiamo, la vita stessa è un viaggio. Nel caso specifico il problema è come il poeta riesce, nelle varie tappe del suo percorso e dalla osservazione della realtà circostante, ad esprimere sensazioni, a trarre conclusioni, a dare voce e creare immagini ad un moto dell’animo nel quale altri entrano, che diventano verità, sprazzi di luce. Si può dire che questo modo di sentire appartiene a un tempo interiore che dovrebbe essere di ogni essere umano, ma va anche detto che questo tipo d’ uomo oggi fatica ad essere visibile.
Perciò sottolineare che, nel nostro tempo, non è più frequente e si dirada il tema del ‘ritorno’, significa entrare di petto nel contesto moderno e, senza paura, senza infingimenti, affermare che il cambiamento antropologico dell’uomo nella civiltà tecnologica è il dato di fatto che abbiamo di fronte. Del resto basta pensare alla frequente affermazione che la società in cui viviamo è tutta orientata sul presente, sull’attimo, sull’apparire in cui tutto viene rapidamente archiviato, dimenticato. Tutto ciò ha conseguenze precise, visibili, riscontrabili, nella vita quotidiana, e anche nell’arte e nella cultura. Infatti c’è chi afferma che la poesia oggi è una poesia senza progetto e il risultato di tutto ciò è “il poeta senza poesia” (vedi Alessandro Carrera – Corriere della Sera del 23/12/2011).
Per questo i poeti che sopravvivono alle intemperie del nostro tempo, un po’ per ‘chiamata’, un po’ per vocazione, ed anche per il bisogno di manifestarsi, percepiscono e sentono la totalità della crisi spirituale che in questa epoca stiamo vivendo.
Nasce anche da qui la mia esigenza di ‘ritornare’. Non intravedendo un tracciato per un possibile futuro, si impone come una necessità la esplorazione a ritroso della propria vita, quasi per sottoporre a verifica la nostra anima di fronte al deserto che avanza e far prevalere passione ed emozioni.

D. 2 – La sua poesia è tutta pervasa da un velo di malinconia e, come ben dice Pietro Barcellona “tragica ma serena percezione del finire delle cose…”, vorrei che mi parlasse del suo sentimento così forte e costante lungo tutta la silloge di questo suo recentissimo “L’umano sopra l’erba”
 
R. – Debbo dire con franchezza e forza che, per me, la malinconia è una possibilità in più dell’animo umano di accostarsi alle persone, alla vita e alle cose; di accostarsi con una sensibilità particolare, capace cioè di percepire nel profondo che tutto è caduco e provvisorio. Per questo la forza del poeta, io credo, si misura nel voler tenere insieme i diversi stati d’animo (dal giocoso, al tragico) e farne vita vissuta, consapevolezza dell’essere al mondo. Come ha notato acutamente Pietro Barcellona, coscienza della finitezza delle cose non significa drammatizzazione, o pessimismo, ma serena accettazione della nostra condizione umana. E’ qui il senso del limite, che oggi sembra essersi perso, perché sostituito dal terribile uomo tecnologico, senza più anima, valori e volontà di mettersi in gioco.
La malinconia è in fondo una dolce compagna quando, nel vedere che molte cose si sono perse, ci aiuta a commuoverci e a riportare dentro di noi le più care nostalgie di fatti, di persone, di cose che ci hanno accompagnato nel nostro viaggio.

D. 3 – E a proposito del titolo: quale dei molteplici significati che possiamo dare a questa sua felicissima metafora è quello a cui lei pensava al momento di porla a titolo del nuovo libro?
 
R. – Pensando al titolo da dare al libro mi sono rifatto a un verso che è inserito nel trittico, nella prima parte del libro, incentrato sul significato delle cose perdute, in particolare in Sicilia. Letteralmente si potrebbe dare a questo titolo un significato che riguarda da vicino la mia poetica e cioè che la parte umana e sensibile di noi la vorrei, non solo a contatto, ma in armonia con la natura. Per dare un senso più compiuto a quanto affermo mi piace ricordare Virgilio che, nel suo peregrinare umano e poetico, cerca un luogo, una dimensione dell’esistere che lo porta a concepire opere come le ‘Bucoliche’ con l’intento di ricostruire in una vita appartata, l’ambiente idealizzato dell’atmosfera pastorale e agreste. Ma oltre a questa lettura, la scelta del titolo, rappresenta anche un atto di accusa rispetto un mondo in cui viviamo che mi porta a dire: …”Altri mi segnano/ il passo./ Venuti all’insaputa/ hanno travolto/ il mio/ umano sopra l’erba./ Iene e sciacalli/ sciolgono i nodi/ dei miei ricordi.”

D. 4 – A pag. 32 leggiamo: “E il mio silenzio /rovista / tra gli anfratti /dei miei luoghi / che ho nascosto / che io solo conosco”. Bellissima frase lirica che condensa il tema del “Nostos” sul quale io la sto intervistando. Ci parli un po’ di questo suo mondo, di questi anfratti e “luoghi”.
 
R. – Il ritorno è sempre, se vogliamo, un fatto che nasconde un mondo che si palesa nell’atto in cui si compie una sorta di resoconto di una parte della propria vita. Questo ritornare indietro, tornare a casa, non è un fatto superficiale o immaginifico, ma affonda le sue radici nella possibilità che l’animo umano ha di ricongiungersi con un qualcosa che ci supera, che può essere il ritornare a ricordare o, perché no, rivolgere la mente ad una sorta di paradiso perduto.
Questa predisposizione consente di rivedere luoghi che sono stati vissuti e, nei versi da lei citati, intendo mettere in luce il mio mondo interiore, gelosamente custodito, reso esplicito nel farsi ‘poesia’, quindi nel raccontarmi e, nello stesso tempo, continuo a mantenere nascosti i luoghi che solo io conosco. D’altra parte il percorrere la via del ritorno significa compiere un atto di purificazione dopo aver attraversato le innumerevoli traversie della vita e tendere a perfezionare la propria visione dell’esistere.

D. 5 – Verso la conclusione del saggio introduttivo, che spazia con penetrante puntualità sulla sua poesia, Emilia Musumeci fa riferimento al contrasto, al continuo oscillare tra l’Essere e il Nulla nel quale lei dimostra di muoversi dando voce a “una lotta interiore che può esprimersi solo in versi”. Vorrei che lei spiegasse il suo pensiero, la sua “filosofia della vita”, come generalmente e semplicemente si suole dire.
 
R. – Ha detto bene E. Musumeci, quando nella presentazione introduttiva afferma che per uscire dalla lotta interiore che tocca temi capitali quali: vita/morte, essere e nulla, bene/male, il poeta crea una sorta di utopia che gli consente di “superare” il conflitto esistenziale e gli impone, quasi, di esplorare con la parola i sentieri più profondi e insondabili dell’animo umano. Si potrebbe dire, in altri termini, che il poeta cerca sempre di andare ‘oltre’, di cogliere l’essenza più nascosta dell’uomo e della realtà e, quindi, di raggiungere il significato primigenio della vita. In sostanza cerca con la parola di afferrare l’invisibile e di esprimere l’indicibile. Io questa filosofia di vita, come poeta, ho elaborato e non credo di essere l’unico a tentare di superare luoghi comuni, scavare oltre la superficie delle cose e tentare di andare all’essenza.
Potrei finire qui, ma vorrei inserire un’altra considerazione. Ripercorrendo la storia dell’umanità ci rendiamo conto di quanti brutture siano state compiute, a partire dal non rispetto della vita, allora, a me piace pensare che il poeta rimane una piccola riserva per l’umanità che sa di essere osteggiato dal grande male.
Questa considerazione viene dalla consapevolezza che il male avvince e, il contrasto che il poeta può contrapporvi è quello di resistere e di essere consapevole del suo posto di sentinella degli avvenimenti. Come esemplarmente viene scritto da Vasilij Grosmann in “Vita e destino”, dalla storia delle ideologie e delle religioni traiamo sconforto e delusioni. …“La storia dell’uomo è la lotta del grande male che cerca di macinare il piccolo seme dell’umanità. Ma se anche in momenti come questi l’uomo serba qualcosa di umano, il male è destinato a soccombere.”…

D. 6 – Ho visto su Lunarionuovo, della cui redazione mi onoro di far parte, un suo ritratto realizzato da un pittore di Reggio Emilia. Un ritratto nel quale lei tiene in mano il tramonto del sole. Affascinante tema e toccante immagine. A parte la sicura valenza artistica del disegnatore spicca la genialità della intuizione che ha fatto della sua poesia di questo “L’umano sopra l’erba”. Ci vuole togliere la curiosità di raccontarci la storia dell’ispirazione di questa immagine?
 
R. – La mia compagna, Adele, conosce Nani Tedeschi che oltre ad essere un valente pittore, ama la poesia e prima della pubblicazione di questo nuovo lavoro abbiamo avuto occasione di sentirci telefonicamente e di fargli recapitare le recenti raccolte di liriche “Voci nascoste e canti” e “L’apparire dell’invisibile”. Debbo aggiungere che, io e Nani Tedeschi, non ci siamo mai incontrati personalmente. Naturalmente non abbiamo mancato di fargli avere anche “L’umano sopra l’erba” che contiene anche il bel servizio di Serena Di Maida che mi ritrae nel mio habitat. Nani Tedeschi dopo aver letto le poesie e visto le immagini inserite nel libro, mi ha dedicato il ritratto che è visibile nel numero di marzo del “lunarionuovo”. Si tratta di una china (40X30) che ora è incorniciata e appesa in bella vista in una parete del nostro studio.
E’ stata per me una felice sorpresa, oltre che un dono inaspettato e prezioso, perché nel raffigurarmi nell’atto di tenere in mano il tramonto, Nani Tedeschi da artista qual è, dimostra di aver pienamente colto il senso delle liriche di questa raccolta, che affrontano il tema del passaggio verso una stagione della vita che andrà a concludersi con l’inevitabile destino che accomuna tutti gli uomini. Ma anche in questo caso l’interpretazione può essere duplice, perché il tramonto può essere dell’uomo, ma anche di un mondo…

D. 7 – Questa domanda riguarda le fotografie realizzate da Serena Di Maida in appendice al libro. Una trovata anch’essa geniale e particolare, insolita per un libro di poesie, ma molto centrata, e c’è da scommettere che sarà copiata da altri d’ora in poi. Una bella occasione per far conoscere il poeta nel suo habitat umano ed artistico. Anche questo particolare aggiunge valenze di unicità a questo nuovo libro. Da cosa è scaturita questa idea di lasciarsi rappresentare da una artista dell’immagine, quale si rivela la fotografa?
 
R. – Molto semplicemente, pensando al libro si stava definendo l’idea di inserire riproduzioni di quadri, che però in ogni caso sarebbero state immagini non necessariamente legate ai temi espressi nelle poesie. Ciò che cercavamo, assieme all’editore, erano immagini che dovevano avere, per così dire, il timbro dell’ambiente agreste in cui vivo e quello della tematica delle liriche.
Ci è parso così che la forma più vicina ed efficace per esprimere questa contiguità tra poesie e immagini fosse la fotografia e quella in bianco e nero in particolare. Conoscendo Serena di Maida il resto è venuto da sé…Mi sembra che il risultato parli da solo e da queste pagine vorrei ringraziare di vero cuore Serena per la preziosa collaborazione. Quanto al fatto che l’idea verrà copiata, potrebbe essere un utile atto di emulazione e potrebbe aggiungere contenuto ad altre opere poetiche. In questa contiguità tra poesia e immagini, la poesia si sente meno sola.

D. 8 – Progetti e tendenze per il futuro. A cosa si dedica il Poeta adesso che ha dato corpo editoriale alle sue poesie 2009-2011? La bella lirica che abbiamo appena letto sul numero scorso di Lunarionuovo non lascia dubbi sulla sua coerenza e quindi sulla puntualità del suo “ritorno” alla Musa. Già in cantiere una nuova opera?
 
R. – Il poeta, come disse Majakovskij, è un individuo che ogni giorno prende appunti, si esercita, si confronta interiormente con tutto ciò che guarda, tocca e incontra.
Un altro poeta di cui non ricordo il nome, che un giorno racconta è stato ripreso dalla moglie perché, a suo dire, stava oziando. Il poeta in quel momento era assorto a guardare fuori da una finestra e ha pensato: “Mia moglie non sa che sto lavorando.”
Intendo dire che il poeta lavora sempre, anche quando non scrive materialmente una poesia. Per quanto mi riguarda tengo in una cartellina quelle scritte ( e sono già diverse) dopo la pubblicazione de “L’Umano sopra l’erba”. Chissà che non possano diventare, in seguito, parte di una nuova raccolta.

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.