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5. Analisi linguistica

5.6 Il lessico

Il lessico è tra i livelli di analisi della lingua il più esteriore, cioè il più esposto maggiormente alle influenze extralinguistiche e alle mode in atto.
Questo settore è di per sé molto eterogeneo e in continua trasformazione, infatti esso è sottoposto continuamente sia all’arricchimento dovuto alla nascita di parole nuove, i neologismi, sia alla perdita di termini che diventano arcaismi.
L’analisi del livello lessicale nel nostro studio è stata condotta attraverso il Gradit, “Grande dizionario italiano dell’uso” di Tullio De Mauro (De mauro 1999), grazie al quale è stato possibile evidenziare l’incidenza dei diversi tipi di voci del dizionario in diacronia.
Data la vastità del corpus nelle pagine che seguono si tenterà di rendere conto dei fenomeni lessicali considerando la divisione delle sezioni indicate nel paragrafo 2.15 e la suddivisione del corpus nei due blocchi cronologici già considerati (1976-1992; 1997-2006). Tale organizzazione si è rivelata decisamente produttiva, perché ha permesso di evidenziare per singole sezioni evoluzioni significative.

5.6.1 Politica interna

La politica interna è tra le sezioni che offre un campo d’indagine di particolare importanza, mostrando fatti di sviluppo legati sia a mutamenti strutturali e linguistici che si sono verificati nel corso degli anni all’interno dei telegiornali, sia a mutamenti che hanno riguardato il linguaggio della politica con ‹‹la nota desettorializzazione e il noto avvicinamento alla lingua comune››[1. Bonomi, Mauroni, Nacci, Vaiano, Struttura e lingua dei telegiornali  in L’italiano televisivo 1976-2006, Atti del convegno, Milano 15-16 giugno 2009, E.Mauroni, M.Piotti (a cura di), Accademia della Crusca, Firenze, 2010, p. 309]. Negli anni ’70 e 80’ il conduttore chiarisce i contenuti, riformula, attua una mediazione comunicativa dal politico al telespettatore. Dunque sono frequenti da parte dei giornalisti richiami metalinguistici come ad esempio: è utile spiegarlo, come dicevo prima, ripeto, dicevo (TG1 23 marzo 1976). In senso opposto alla mediazione giornalistica l’uso del politichese non mediato:

‹‹Le conclusioni del consiglio nazionale della democrazia cristiana sono all’esame dei partiti del mondo politico// la DC si è interrogata per tre giorni sulla inadeguatezza del suo ruolo e della sua struttura di fronte alla realtà sociale/ e si è pronunciata unanimemente sulla necessità di avviare un processo di rinnovamento interno/ di rilanciare la sua immagine e il suo ruolo nella vita del paese// tale processo di rinnovamento/ questo il senso delle decisioni prese questa notte/ deve avvenire però senza soluzioni traumatiche/ cioè attraverso un processo graduale segnato da due tappe/ e cioè l’assemblea costituente della nuova DC da tenersi in novembre / e da prepararsi attraverso una speciale commissione// in secondo luogo il congresso da tenersi in febbraio// tali indicazioni sono contenute nel documento finale approvato/ e che contiene anche un giudizio positivo sulla crisi di governo// ad avviare questo processo di rinnovamento sarà l’attuale dirigenza del partito/ coerentemente alla linea che si può dire morbida/ e scelta dalla maggior parte dei leaders del partito// a chi parla di immobilismo la democrazia cristiana risponde/ invece/ che questo consiglio si caratterizza proprio come l’avvio di una svolta di quel processo di rifondazione chiesto unanimemente/ sia pure attraverso posizioni differenziate //(…)›› (TG1 6 dicembre 1986).

Negli anni ’70 e 80’ritroviamo numerosi  tecnicismi legati alla sfera politico-economica e giuridica sia nel parlato dei conduttori sia nel parlato degli inviati. Per tecnicismi si intendono tutti quei termini che il “Gradit” indica con la sigla “TS” cioè tecnico specialistico poiché contraddistingue un lemma utilizzato in ambito specialistico e necessita di un’ulteriore specificazione di etichetta specialistica (TS med…). Ecco gli esempi: articolato unico del testo politico, portatori di una tensione ideale (23 marzo 1976; 30 novembre 1981). Nel tempo, questa tendenza  dei giornalisti e, soprattutto dei politici si assottiglia: negli anni ’90 i temi politici accolgono ancora qualche settorialismo (correntismo 1981, sistema correntizio 1986, quorum 1992, istruttoria 1992 ) mentre dal 2002 si conservano solo rari casi di tecnicismi (cuneo fiscale 2006, manovra bis 2006). Accanto ai tecnicismi politici che negli anni diminuiscono progressivamente, vi sono quelli di diritto (concussione 1976, escussione dei testi 1976, abrogazione 1981) e di economia ( pacchetto azionario 1976, quota di capitale 1981, aliquota 1992, congiuntura economica 1997,  riordino dei ticket 1992, cuneo fiscale 2006). Sempre in ambito economico frequenti e in crescita nel tempo le unità polirematiche: provvedimenti fiscali 1976,  ammortizzatori sociali 1997, cassa integrazione 2002, sviluppo sostenibile 2006) spesso di non facile comprensione per il largo pubblico.
Il progressivo avvicinamento ai telespettatori da parte dei politici si nota anche nell’introduzione di colloquialismi (a far scattare le manette attorno ai polsi 1976, acque più calme 1981, gettare acqua sul fuoco 1981, sentiamo adesso dai corrispondenti come sono andate le cose 1981, boccata d’aria pulita 2006).
Anche l’espressività pervade le notizie di politica interna attraverso il ricorso a binomi di “aggettivo+nome” (sorta di elativo): massicce battute 1981, impressionante deficit 1986.
In riferimento ai neologismi si nota la produttività di alcuni procedimenti derivativi come i prefissati anti– ( antiterrorismo 1976, antisindacale 1981, antisindacalità 1981) e i suffissati –ista (sindacalista 1981, brigatista 1986, attivista 1986, laburista 1997) e  –ismo (brigatismo 1986, immobilismo 1986, leghismo 1992, trasformismo 1997). Sporadici ed effimeri suffissati diversi come depenalizzazione 1981, smilitarizzazione 1981. Tra i composti presenti nel corpus appare quello costituito da due sostantivi: legge delega 1981.
Attestano una presenza rilevante gli stranierismi, soprattutto anglicismi: meeting; welfare; leadership; leader; premier.
Quanto alle sigle costante è la tendenza al mancato scioglimento: AN; DC; CGIL; CISL; UIL.

5.6.2 Politica estera

In riferimento alla politica estera, sezione che non mostra un’evidente evoluzione diacronica neanche dal punto di vista lessicale, è piuttosto evidente  l’uso di espressioni dal tono retorico ed enfatico spesso stereotipate come requiem per il negoziato 1997; teatro degli incidenti 1986; braccio di ferro 1986;  presunta tortura 1992; cruenta guerra civile 1992; destino atroce 2006,  macabra definizione 2002.
Il linguaggio di questa sezione mostra uno spiccato tono letterario e retorico nelle descrizioni presenti costantemente in tutto il periodo considerato, maggiormente evidente nei telegiornali del1997 inseguito alla presenza di due avvenimenti importanti: la morte di Madre Teresa di Calcutta e quella della principessa Diana d’Inghilterra. Di seguito i brani più significativi:

‹‹Lady D / signora del lago e delle querce / della tenuta di [xxx] / casa sua // è sepolta nella piccola isola al centro di un settecentesco laghetto / il luogo dei giochi dell’infanzia / dove / anche da grande / veniva a rifugiarsi quando la vita e la corte / non le davano tregua // qui / lontano dalla curiosità / tra gli alberi che aveva piantato insieme ai figli / nel verde natio della campagna di [xxx] / il feretro è stato tumulato ieri // dentro / il corpo di Diana / in abito da sera nero / con il rosario che le era stato donato da madre Teresa di Calcutta / intrecciato tra le dita // quell’oggetto le era molto caro / e la prima leggenda intorno alla principessa / vuole che fosse devota / in segreto / a una santa cattolica / santa Teresa di Lisieu / e che l’andasse a pregare di nascosto / in una chiesetta londinese // oggi / cerimonia religiosa nella piccola chiesa di Great [xxx] / dove riposa il padre di Diana // ancora folla / fiori e omaggi // preghiera anche a Balmoral / dove la famiglia reale inglese è tornata subito dopo i funerali//››(TG1 7 settembre 1997)

‹‹i poveri non hanno nome / la loro casa è il mondo // parlano una lingua internazionale / il patimento // Calcutta è una moderna porta verso l’inferno // qui la vita e la morte combattono ogni momento in campo aperto // Teresa a 36 anni fa la sua scelta // non si può rimanere indifferenti di fronte a tanto dolore // nasce l’intuizione di assistere in qualche modo i morenti / nel loro trapasso // “datemi un locale in centro / ci devo mettere i moribondi” / chiede la religiosa ad esterrefatte autorità municipali nel 1952 // c’erano solo due capannoni / appartenenti al più antico tempio della città / quello della dea Calì // quei capannoni diventanola Nirmal Hriday/ la casa degli agonizzanti // trascinate dall’esempio di madre Teresa / oggi vi lavorano volontarie di ogni nazionalità e religione // ci sono le piaghe da decubito da curare // i malati di mente // il reparto dei lebbrosi // i denutriti / scheletri di persone / catorci di esseri umani // i bambini abbandonati // non è una missione facile // ogni stanza è un pugno nello stomaco // “mentre curo i malati / signore / assistimi / quanto più il lavoro è ripugnante / tanto più grande deve essere la mia fede / e gioiosa la dedizione” // le quattromila suore di madre Teresa pregano così / all’inizio della giornata // “da’ al mondo il meglio di te” / soleva dire alle sue consorelle / e il mondo ti prenderà a calci // non importa / da’ il meglio di te” //››  (TG1 7 settembre 1997).

5.6.3 Cronaca

Nella sezione della cronaca a livello lessicale in diacronia emerge dal ’92 ma soprattutto dal ’97 in poi, un aumento dei colloquialismi come bullo di paese, chiudere in quattro e quattr’otto la partita, boss, sbirro; malaffare; camorra. Identificabili come innalzamento dell’emotività e dell’espressività le formule di alcuni binomi “aggettivi + nome” e “nome + aggettivi” che fungono da vere e proprie forme elative. Nel corpus la loro presenza è piuttosto numerosa: folle gara; clamoroso sviluppo; sanguinosa rapina; sanguinosa battaglia; progetto scellerato; terribile esplosione; misterioso attentato; violenta mareggiata; dolorosa incombenza; spaventoso delitto; feroci sviluppi; morte terribile.
Nella cronaca il campo semantico più rappresentato è quello dei delitti di sangue e degli incidenti mortali: anche se rara è la presenza di voci come il verbo morire, parafrasato in venir meno, trapassare (1997), paradossalmente non vi è nessuna difficoltà ad utilizzare voci ed espressioni crude, forti. Ciò porta in alcuni casi ad un indebolimento semantico della voce stessa, sostituita di volta in volta da una ancora più espressiva. Alla fine però ne deriva ‹‹sia un’assuefazione pericolosa del lettore, sia, cosa ancora più grave, il sostituirsi alla dimensione informativa, quella “perniciosissima”, in questo caso della narrazione dai toni forti, a tinte fosche che paradossalmente allontano dalla dimensione non marcata ma concreta della realtà››[2. Ivi, p.330.]. Ecco gli esempi: schiantarsi 1976;  vile assassinio 1986; barbaro assassinio 1986; agguato 1992; sterminio 1992;  maniaco 1992; strage 1997; massacro 2002, aver sferrato 2002; tragico tentativo 2006;  delitto 2006.
Alla base del lessico della cronaca anche degli anni più recenti la permanenza di un lessico piuttosto formale, retaggio sia della provenienza stessa di tante notizie di cronaca (i verbali della polizia), sia di un burocratese che unisce insieme necessità di formalità, asciuttezza e precisione: sono andate in frantumi; avvertire una scossa; dovranno presentare domanda.
Oltre alle voci burocratiche, sono presenti espressioni scelte, ricercate che hanno la funzione di innalzare il tono: emerge forte il desiderio; disporre l’arresto; ha preso alloggio; accorrere in soccorso.
Molto frequenti gli stereotipi che si distinguono in tre categorie: lo stereotipo di matrice burocratica, tecnica e formale; lo stereotipo di origine colloquiale e/o metaforica, lo stereotipo di origine espressiva. Nel primo caso abbiamo la presenza di voci  e di locuzioni come non ha trovato conferma ufficiale (TG1 3 aprile 1992); fitto riserbo delle indagini (TG1 3 aprile 1992); ha già iscritto alcuni nomi nel registro degli indagati (7 settembre 1997); quando i vigili lo hanno estratto dalle lamiere (TG1 16 ottobre 2002).
Nel secondo caso presenti voci tese ad una scrittura di elaborazione rapida e di fruizione orale come a far scattare le manette attorno ai polsi (TG1 23 marzo 1976); già al centro delle polemiche  (TG1 7 settembre 1997); l’accusa è pesante (TG1 15 giugno 1997).
Nel terzo caso tra gli stereotipi di matrice espressiva o di formularità narrativa forme come è finita tragicamente (TG1 16 ottobre 2002); dopo l’orrore è il giorno delle polemiche (TG1 7 settembre 1997); ed è polemica (TG1 7 settembre 1997).
Tra i diminutivi  nel corpus presenti forme come sacchetto; stradina.
Per quanto riguarda i neologismi, nel corpus compaiono termini come superpentito; superboss; extracomunitari.
I composti sono presenti moderatamente: aula-bunker; canile-lager; emergenza-rifiuti; fuori-legge, pensioni-baby; città fantasma.
Neppure i prefissati sono particolarmente numerosi, un po’ più presenti i suffissati: superboss; supertestimone; superpentito, antagonismo;  affollamento, rafforzamento; carcerazione; lavorazione; esecuzione; mafiosi.
Inesistenti i regionalismi; nel corpus è stato riscontrato un solo caso dell’uso del verbo stare al posto di essere: i vigili del fuoco stanno al lavoro per verificare la stabilità (TG1 2 maggio 1981).
Per quanto riguarda i tecnicismi la maggior parte di essi appartengono all’ambito giuridico e all’ambito medico: referendum; calunnia aggravata; autopsia, prognosi; terapia intensiva; trapianto multiplo; tromboflebite; coma farmacologico; lussazione; reinfarto miocardico; eparina calcica.
Rilevante la presenza di stranierismi; si tratta di voci dal significato accessibile e ben acclimatato. Prevalgono i prestiti angloamericani: privacy; serial killer; killer; racket; shock; pit-bull; boss; guard-rail; team. Sporadici i francesismi ( proprietà dell’armée) e prestiti dal tedesco (blitz).
Meno noti i casi come starsystem (TG1 30 novembre 1981) . Due gli esempi di sigle che non vengono glossate (IRI; IRA).

5.6.4 Cultura e spettacolo

Per quanto riguarda la sezione “cultura e spettacolo” il piano che delinea maggiormente le diverse sfumature delle notizie è quello lessicale. I colloquialismi sono più marcati, con l’intento di sottolineare dal punto di vista linguistico l’atmosfera rilassata e familiare che trasmettono la musica, il cinema e la televisione:

‹‹ci sarà certamente un pienone al concerto›› (TG1 11 ottobre 1992).

Da sottolineare il confronto fra i temi discussi e la ricercatezza formale: se si risale alle origini notiamo come certe espressioni vengano utilizzate solo nelle notizie propriamente artistiche (l’argomento riguarda l’artista Picasso, “l’ostinazione della ricerca di questo barbarico forgiatore”, TG1 2 maggio 1981); con il passare del tempo esse caratterizzano in maniera sempre più penetrante gli spettacoli televisivi e cinematografici (il circo di bellezza, [miss Italia] TG1 7 settembre 1997).
Tipici dei servizi culturali e teatrali gli stereotipi: il segreto dell’officina picassiana (TG1 2 maggio 1981); il filo invisibile che lega quadro a quadro (TG1 2 maggio 1981); Baglioni chiude il suo sipario con un serio interrogativo (TG1 6 dicembre 1986); cala il sipario sulla cinquantottesima edizione del concorso di bellezza più popolare ((TG1 7 settembre 1997); proviamo a far calare il sipario sulla mostra del cinema (7 settembre 1997).
Una presenza discreta hanno i settorialismi legati soprattutto a cinema e televisione come macchina da presa (TG1 30 novembre 1981); cineasta (TG1 2 maggio 1981); botteghino (TG1 9 ottobre 2006).
Spesseggiano i forestierismi, soprattutto quelli angloamericani ‘settoriali’ (show, showman, oscar, miss, film, spot, slogan, reality).
Nell’ambito dei neologismi in questa sezione tra i procedimenti compositivi derivativi più utilizzati  vi è il prefisso tele– (telefilm, televoto , telenovela, telespettatori).

5.6.5 Sport

Nella sezione relativa allo sport dal punto di vista lessicale è possibile riscontrare un aumento in diacronia dei forestierismi (soprattutto anglicismi) e dei tecnicismi, i quali vengono sfruttati anche ai fini di concentrazione linguistica: pole-position 1981; derby 2002; gol 2006, team manager 2006. Si è rilevata la presenza di un colloquialismo: svarione 1981.
Non sono state approfondite le sezioni relative a costume e società ed economia/finanza perché poco significative dal punto di vista lessicale.
Analizzando tutto il corpus ciò che è emerso dai vari TG1 è  l’utilizzo di un lessico chiaro e comprensibile che, però qualche volta non rinuncia al tono brillante. Lo testimonia la completa assenza di voci elevate.
La tendenze lessicali che caratterizzano tutte le sezioni sono il forte aumento del colloquialismo e dell’espressività, la persistenza di un lessico formale e la presenza dello stereotipo. L’aumento del colloquialismo va relazionato sia ad una maggiore trattazione di notizie leggere nel complesso del palinsesto telegiornalistico, sia con la tendenza a creare complicità con il telespettatore. A connotare il linguaggio telegiornalistico la continuità di un lessico formale e di ascendenza burocratica, più frequente in politica interna e in cronaca (giungere, abitazione, volto ecc…). Non si riscontra una diminuzione nel tempo di questa componente che resta significativa nel giornalismo stampato e radio-televisivo.

Conclusioni

Dai risultati emersi da questa ricerca mi preme dunque sottolineare una prima constatazione: fare informazione televisiva non è facile come spesso si crede per la diffusa convinzione che non si notano sostanziali differenze tra giornalismo della carta stampata e giornalismo televisivo. Le differenze, invece, ci sono e pesano. La prima, quella più importante, quella da cui derivano le altre, è che la televisione prevede la trasmissione a distanza di immagini non permanenti, fisse e in movimento, per presentare e raccontare una storia, mentre il giornale basa la propria comunicazione sulle parole, scritte e stampate. Ma bisogna anche tener presente che ogni telegiornale ha un suo modo di concepire la stessa informazione televisiva. Il giornalismo televisivo perciò è una scelta continua, una scelta che si muove in bilico tra la ricerca di opzioni soggettive e fattori di tipo produttivo-organizzativo. L’informazione televisiva è testimonianza diretta. Il risultato di questo progressivo accorciamento dei tempi tra la raccolta e la fruizione delle notizie ha profondamente influenzato tanto i ritmi di apprendimento delle informazioni quanto il nostro bisogno di venire informati.
Che l’informazione rappresenti uno dei tratti distintivi e rilevanti delle televisioni oggi è un dato accettato e condiviso. L’informazione è prosperata con la televisione, diffondendosi in ogni nuovo canale quasi sempre al momento della sua nascita. Il telegiornale è quindi diventato un appuntamento per gli italiani che, accedendo la televisione a qualsiasi ora, trovano un programma di informazione.
Il TG1 nasce proprio con questa missione. La prima edizione ufficiale del TG1 viene trasmessa alle 20.45 del 3 gennaio 1954, un telegiornale che appare come un infante per la sua incapacità di “parlare” il linguaggio televisivo. Una svolta clamorosa si ha con l’introduzione del nastro per la registrazione videomagnetica, tra la fine degli anni ’50 e ’60, la famosa RVM. Negli anni ’70 diventa quasi una marca televisiva, una caratteristica visibile che lo accompagna fino agli anni ’80. Negli anni ’90 in seguito alla nascita del TG5 si assiste ad una concorrenza tra le testate. Da allora il TG1 si contende con il TG5 il titolo di telegiornale più seguito.
Dall’analisi complessiva del TG1 in diacronia è emersa la conferma di quel “parlato serio-semplice” proposto da Sabatini che si muove nella linea di un neostandard poco oralizzante. Nonostante un cambiamento del TG1 negli anni, il trasmesso telegiornalistico continua a configurarsi come formale, ben strutturato e pianificato, anche se non  mancano evidenti spostamenti verso un registro più colloquiale e disinvolto.
I risultati dello spoglio sembrano confermare un carattere di sostanziale tenuta linguistica che il TG1 mostra, una buona tenuta e una complessiva aderenza ad una lingua chiara, corretta, neostandard che, nel trasmesso dei giornalisti, concede poco alla deriva linguistica. Ad emergere nel corso dei trent’anni è certo un’evoluzione, ma si tratta di un’ evoluzione più comunicativa-strutturale che strettamente linguistica.
Per quanto riguarda il primo punto, balza agli occhi quanta strada abbia fatto il TG1 rispetto alla modalità di enunciazione e all’impostazione del rapporto con il telespettatore in termini di coinvolgimento, intrattenimento e “trattenimento”, risultando profondamente diverso rispetto alle origini. Negli anni ’70 e ’80 il giornalista, in particolare il conduttore, per consentire al telespettatore una maggiore comprensione delle notizie opera una mediazione comunicativa resa possibile attraverso notizie più lunghe. Con il passare degli anni a lui sono riservate poche battute perlopiù brevi, diventando una figura “collante” che ha come funzione principale quella di lanciare i servizi.
L’esame linguistico mette in evidenza risultati importanti. Per quel che concerne il livello morfosintattico si è riscontrata dunque la presenza, più o meno importante, dei tratti più tipici dell’italiano dell’uso medio e l’assenza, o la scarsa presenza, dei tratti più marcati sia nei testi dei conduttori sia nei testi dei servizi. Si è registrato, relativamente all’uso dei pronomi di terza persona singolare, la presenza di lui (24) e lei (4) tipici dell’italiano dell’uso medio: quanto  alle forme tradizionali egli, ella, essa, esso, essi/esse, si contano soltanto due casi del pronome egli nelle edizioni del TG1 dell’anno 1986. La forma dativale gli per a lei, a loro appare assolutamente sporadica, limitata ai rarissimi casi di un parlato decisamente informale in pezzi dal tono brillante, espressivo, ironico. Nel corpus è stato individuato un solo caso di gli per  a loro.
In tutto il campione considerato oltre ai dimostrativi questo e quello, usati secondo la norma dello standard, nel corpus si registrano tre occorrenze delle forme aferetiche colloquiali : ‘sta, ‘sto, ‘ste, ‘sti.
Sempre nella direzione di un allontanamento dallo standard si colloca il ricorso al ci in funzione locativa soprattutto in unione con il verbo essere al posto del più tradizionale vi. Nella rilevazione di tale fenomeno abbiamo notato una maggiore inclinazione verso la forma tradizionale vi negli anni ’76-’81, sorpassata negli anni a seguire dal meno formale ci, a dimostrazione del processo evolutivo di questo fenomeno.
Mantiene la stessa linea l’uso del pronome dimostrativo neutro ciò, che compare in limitati casi (5), soppiantato dalle forme più correnti questo, quello e lo.
Dal corpus traspare la persistenza dell’uso interrogativo che cosa alternato a cosa e nei testi del conduttore e in quelli degli inviati;  la forma che, più connotata in senso centro-meridionale e meno immediatamente decodificabile nella sua funzione interrogativa,  è presente in un collegamento in diretta.
Anche per quanto riguarda i fenomeni della sintassi marcata c’è una buona tenuta dello standard. Non ci sono dislocazioni a destra, mentre figurano  alcune dislocazioni a sinistra. Non si verifica mai il ricorso al tema sospeso e  all’anacoluto che rappresentano casi estremi di frammentarietà tipici del parlato. Hanno una presenza più contenuta ed equamente distribuita sia nei testi dei conduttori sia nei servizi degli inviati le frasi scisse e pseudo-scisse proprio per la loro spiccata valenza informativa: far identificare più facilmente l’elemento nuovo, spezzare il contenuto e mantenere la continuità referenziale con il discorso precedente. Ad allineare in modo evidente il trasmesso telegiornalistico  allo ascritto dei quotidiani, allontanandolo dall’ambito più formale e oralizzante, la limitatissima ricorrenza del cosiddetto che polivalente, nella quasi totalità dei casi circoscritta alle più ‘normali’ funzioni di raccordo tra i due membri della frase scissa e i soli due casi di c’è presentativo. Infine numerosi i casi di soggetto posposto, più massicci nei testi degli inviati, non infrequenti nei testi dei conduttori, estremamente funzionali all’evidenziazione del messaggio. La sintassi marcata ben rappresentata nel trasmesso telegiornalistico nei costrutti meno marcati in diamesia, la dislocazione a sinistra e la frase scissa, appare in aumento nel corso del periodo analizzato.
Anche per quanto riguarda la sintassi del periodo emergono risultati degni di attenzione. Nonostante i tempi televisivi impongano un certo bisogno di sintesi, conduttori e giornalisti superano in lunghezza le altre produzioni del parlato, utilizzando una quantità di parole superiore rispetto ai parlanti e ai giornalisti della radio e della carta stampata. La stessa tendenza si registra in riferimento al numero di proposizioni per frase. Dall’analisi effettuata sul corpus ristretto (1976-2006) risulta evidente come gli elementi sintattici emersi siano fortemente dipendenti dalla struttura del telegiornale, che si evolve significativamente nel tempo. Si registra diacronicamente un aumento discreto dell’abbreviazione dei  periodi e una modesta ma non radicale crescita della monoproposizionalità. Se, quindi, il ricorso al periodo monoproposizionale  si rileva in tutto il corpus negli analoghi contesti di apertura e chiusura delle notizie e dello stile concitato della cronaca di evento, a partire dal 2006 la propensione alla monoproposizione, nel parlato del conduttore diventa quasi una costante, anche se non cresce di molto. L’accordo per periodi brevi è da riportare alle esigenze di chiarezza e incisività.
Non si segnalano dettagli particolarmente importanti per la paratassi, presente in tutto il corpus ma in evidente flessione rispetto al passato, come ovvia conseguenza di una netta riduzione dell’estensione del periodo. In riferimento all’ipotassi, particolarmente ricco lo spettro delle subordinate. Gli inviati e i conduttori scelgono tra una maggiore varietà: finali, causali, soggettive, temporali e ipotetiche. Le subordinate si presentano più spesso in forma esplicita con un assortimento di nessi diversi. Il che relativo è il nesso subordinate più utilizzato, segue la congiunzione che senza un valore lessicale proprio e con la più ampia flessibilità sintattica. Ci sono poi una serie di nessi comuni come i relativi cui, chi, dove, quale, il perché e il per causale, il se ipotetico, il quando temporale o il mentre che, oltre al significato temporale, può avere anche funzione avversativa. Seguono nessi temporali come prima di, dopo, dopo che e da quando. Per quanto riguarda la forma implicita prevale sempre l’uso dell’infinito semplice o introdotto da nessi quali di, per, a, prima di, dopo, perché. Si attesta una buona presenza del participio passato, quasi sempre con valor relativo, e una più modesta del gerundio con diverse funzioni.
Per quanto riguarda lo stile nominale dall’indagine effettuata in diacronia si nota un aumento di tale fenomeno con funzioni diverse: tecnica (passaggio della linea agli inviati, al servizio, inizio e chiusura con i saluti); narrativa; enfatica. Si registra con costanza in tutto il periodo considerato una notevole ricorrenza di frasi nominali in apertura e chiusura di notizia e nei lanci.
L’indagine del livello testuale ha permesso di individuare prese di turno, riempitivi e  demarcativi di apertura e chiusura di tema o quelli che ricorrono in posizione mediana. Analizzando il corpus si è registrata una consistente presenza dei segnali discorsivi in tutto il  corso dei trent’anni. Dal punto di vista diacronico non è cambiata tanto la quantità di questi elementi quanto piuttosto la loro distribuzione fra le varie componenti del telegiornale. Nel ’76 il parlato del conduttore, figura che acquista maggiore spazio nei telegiornali successivi e che spesso legge notizie anche corpose commentando le immagini in onda, appare ricco di ovviamente, quindi, praticamente, e veniamo ecc. I conduttori dagli anni ’90 vedono ridotto il proprio spazio. Nel loro parlato i segnali discorsivi appaiono ridotti; più numerosi di segnali discorsivi risultano i pezzi degli inviati.
Per quel che concerne le deissi personale si rileva un uso del noi da parte del conduttore e dell’inviato in aumento nel corso del tempo. Dallo spoglio del corpus quello che è emerso è un cambiamento nel corso dei trent’anni della scelta dei deittici con cui il conduttore si rivolge all’inviato e viceversa, riducendo al minimo la formalità nell’ottica di uno stile disinvolto e brillante che ha come finalità quella di stupire, di spettacolarizzare l’informazione.
Infine l’analisi lessicale del corpus, per comodità suddiviso in sezioni, attesta la presenza di un lessico chiaro e comprensibile che tende qualche volta al tono brillante. A testimonianza di ciò la completa assenza di aulicismi. Dal punto di vista diacronico si registra un aumento del colloquialismo e dell’espressività (far scattare le manette attorno ai polsi, boccata d’aria pulita, gettare acqua sul fuoco), la persistenza di un lessico formale e la presenza dello stereotipo. Un fenomeno decisamente significativo è la ricorrenza di voci settoriali appartenenti ad ambiti specifici come la burocrazia, l’economia, la politica, la medicina. Questi termini di norma non vengono spiegati ma non rappresentano un ostacolo alla decodificazione dei contenuti. Dallo spoglio del corpus colpisce l’elevata presenza di neologismi distribuiti equamente tra i testi dei conduttori e degli inviati, in tutte le sezioni dal 1976 al 2006.

La mia ricerca è giunta così al termine, una ricerca che mi ha portato a collocare il linguaggio del TG1 su un doppio livello: da una parte quello standard, più vicino alla comunicazione scritta, dall’altra e in misura minore quello neo-standard.

 

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Grazia Boemia

Classe 1983, si è laureata a Catania in Scienze della Comunicazione per poi continuare gli studi a Milano, dove ha conseguito la laurea specialistica in Cultura e storia del sistema editoriale. Attualmente risiede a Roma, dove lavora come formatore del personale.