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Storia complicata quella dell’amico Graffio De Malvonis (che, sicilianamente, per gli amici è identificato col salvifico vezzeggiativo di Affio). Storia che si potrebbe far cominciare proprio dal nome Graffio, che come sapete, appartiene all’onomastica gianica, cioè a due facce come quelle del mitico Giano, infatti può significare uncino e può significare ferita. Ma lasciando la mitologia agli appassionati del suo fascino e tornando alla curiosità onomastica a proposito dell’amico Graffio, debbo ammettere che quanto so non è esito di fantasie ma di fatti avvenuti, anche se talmente straordinari da potere essere classificati alla stregua di leggende metropolitane. E va bene. Dunque la eccentricità del nome Graffio scaturisce dalla volontà paterna. Il padre infatti, appassionato di approfondimenti giocosi sui segni zodiacali, al momento della nascita del suo primo figlio, Graffio, appunto, da uomo libero e indipendente come era sempre stato, decise di dare alla creatura il nome più appropriato alla data della sua nascita, che essendo stata sotto il Sagittario era di predestinazione, a vanto del soggetto, a graffiare e ferire con le parole. Non indagherò sulla morale insita in questa bizzarra scelta del signor De Malvonis padre, perché mi piace restare sul fronte della gratificazione verso un uomo che pratica la disinibizione e se ne dimostra coerente, anche nei momenti di personali contingenze. Graffio dunque col significato fisico di arnese di ferro uncinato, di uncino, raffio, voce di matrice gotica che si protende ad accorpare la sua omografa al diverso significato di ferita. Ma come dire adesso che il bambino, l’adolescente e il giovane Graffio altro ha continuato a dimostrare di sé rispetto alla timbratura paterna? Garbato fino alla dolcezza si sarebbe potuto definire Carezzo, a insegna ossimora del nome impostogli all’anagrafe. Ma procedono così le serpentesche evoluzioni della vita, combinazioni cui l’attributo serpentesco si addice per via della mutazione propria dei serpenti, i quali, di periodo in periodo, lasciano a chi la troverà la pelle, come fosse un guscio da cui si sono liberati, e assumono la nuova lievitata spontaneamente e sempre più luccicante, più attraente di mutazione in mutazione.

Quando ventura volle che incontrassi Graffio io ero tutto preso da pensieri altruisti e non solo verso l’umanità ma anche verso l’intero mondo animale, e non esagero se aggiungo anche verso gli insetti, che so: zanzare, pulci, zecche – parassiti schifosi, orripilanti – mi direte giustamente, fastidiosi quanto meno, aggiungerete, a tipo pappataci -. Pappataci il cui nome, appunto, del pappare silenziosamente, dice più di quanto si possa pretendere da una nomenclatura definitiva e definitoria. Lo incontrai,  – torno a Graffio de Malvonis – e solidalizzai subito e bene con lui, al punto che non posso omettere di averne ricevuto favorevoli segni e contributi affettuosi, da autentico slancio amicale, in diverse e a volte complicate occasioni a prova di sua generosità, che sembrava affetto. Poi come capita con i matrimoni di due innamorati la frequenza assidua produce meno slanci, pur lasciando integri, nei casi della normalità dei soggetti, la tensione affettiva di stima reciproca e mutuo soccorso. Graffio non solo mi è rimasto fedele, ci mancherebbe, ma incontrandomi in una occasione che ci aveva casualmente ed estemporaneamente riunito, mi confidò che si sentiva orgoglioso di potermi notificare la sua funzione, autoassuntasi, di mio difensore-paladino. Conoscendo Graffio e la sua anima colsi immediatamente la delicatezza dell’artistico messaggio. E dico messaggio, aggiungendo artistico perché debbo proclamare la differenza tra messaggio d’arte e avvertimento mafioso. Infatti la paladinità esercitata da intendere nel messaggio era la missione d’affetto che mi veniva dedicata al momento di rappresentare presso lippis ac tonsoribus la mia propensione alla attenzione verso ogni animale o insetto. Commosso e grato avrei voluto suggerire a Graffio di astenersi da simile gravosa missione. Ma non glielo esposi. Memore della sua suscettibilità potenziale ho preferito ringraziarlo, pensando che avrebbe provveduto da sé.

Ma ecco la beffa della realtà: un uomo di legge a mezza strada tra l’alto magistrato e l’ufficiale superiore di Polizia giudiziaria, giovane e forse troppo giovane rispetto alla carica rivestita, mi convoca confidenzialmente con esibita affettuosità e, a quattr’occhi, dopo avermi mostrato una piletta di carteggi da intercettazioni e informazioni verbali raccolte, mi esorta a due intraprendenze (dico intraprendenze non a caso); primo: accettare di essere scortato; secondo: depositare presso la locale Procura un esposto di “protesta”, mirante a chiedere a quale tipo di mobbing ritenga l’Autorità giudiziaria assegnare l’interessamento di tante convergenti voci, tutt’altro che misericordiose nei miei confronti. Capirete, anzi l’avrete già capito, come io abbia sùbito pensato alla dichiarazione di paladinità non richiesta, fattami dall’amico di sempre Graffio De Malvonis.

Alla autorità dell’amichevole convocazione rivolsi parole di gratitudine ma, lo confesso, ero rimasto sconcertato, anche perché io sempre dico: “Chi è causa del proprio male pianga se stesso”. Che colpa ne hanno zanzare e pappataci se io mi occupo di insetti del genere che altri tende a eliminare con antiparassitari? Potrebbe avere ragione persino Graffio quando, per difendermi, dice che io sono andato di testa, o che illudo i giovani e poi li abbandono, o che la mia ignoranza è tale da poter sembrare sapienza. Anzi sono convinto che questo suo modo di paladineggiare in mia difesa, come ultimo e solo rimasto a difendermi dagli insetti, sia un metodo eccellente di cautela, un modo da avvertimento mafioso verso certa bassura, che in tal modo si allontanerà dall’odore della mia pelle. Che artista, però Graffio de Malvonis, che trovata elegante e centrata la sua! Ma… ecco il dubbio: se io acconsentissi al suggerimento del mio altolocato sodale giudiziario, e depositassi presso la Procura la “protesta” nella forma che mi è stata giuridicamente consigliata, dovrei o non dovrei fare, tra altri, anche il nome di Graffio de Malvonis, come di mio estremo paladino? E se poi la Procura lo convocasse come “persona informata sui fatti?” A quel punto rischierei di perdere l’ultimo paladino. Un vero artista della voce-sparsa, quando a Clelia dice che sono andato di testa a Francesca confida che sono un ignorante col cappello di sapiente, ad altra conoscente spiega come io illuda i giovani e poi li abbandoni, etc. etc. Ecco perché mentre me ne resto alla finestra, esposto alle zanzare e ai pappataci, preferiti ai paladini e agli insetticidi, aspetto un suggerimento da voi, cari lettori. Sarà anche questa una occasione da aggiungere alle mie Occasioni arrivate nelle librerie. La “protesta” giudiziaria può essere presentata in qualsiasi momento, quindi meditate bene prima di consigliarmi. Grazie!

 

pupi_siciliani

 

 

Mario Grasso

Ha pubblicato libri di poesia, narrativa e saggistica, ha fondato e dirige Lunarionuovo, è direttore letterario di Prova d’Autore nel cui sito (www.provadautore.it) pubblica un suo EBDOMADARIO (lettere a personalità e personaggi); dal 1992 collabora al quotidiano La Sicilia con la rubrica settimanale “Vocabolario”, i cui scritti sono stati raccolti nel Saggilemmario, di recente pubblicazione. Nato a Acireale, ha residenza anagrafica a Catania; viaggia spesso per il mondo. Il sito personale dello scrittore è www.mariograssoscrittore.it