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Schermata 2015-07-29 alle 15.00.22

 

Per creare uno “scaccia incubi” bastano pochi elementi. Fili, particelle decorative, tubi metallici o legnosi. Da riproduzione sonora. Un gancio. Per creare uno “scaccia incubi” si deve detenere una certa propensione al riconoscimento incubale. Se desidero realizzare uno “scaccia incubi” è implicita la consapevolezza della detenzione incubale. Ossia, devo credere o pensare di credere di avere degli incubi. Mancando la premessa A (ho incubi) perde senso l’evento, conseguente, B (creare la ragnatela). E, giacché, il collegamento A-B è determinato dalla presenza di un nesso causale, si potrebbe dedurre, mancando il ponte, che la volontà costruente è determinata da semplice necessità abbellente. O vezzo, belletto d’interni. Ipotizzando la presenza d’incubi, sarebbe, forse, opportuno indagare sulla qualità dell’incubo o, meglio, sulla sua consistenza. Incubus potrebbe essere un demone, “gemello” delle succubi del Medioevo cristiano. Spiegazioni sovrannaturali, entrambe, per intimi tabù dall’odierno contorno alieno. Abduction. O, evitando antiche acque e “nuove” immaginazioni, timori, preoccupazioni quotidiane rielaborate in sogno. Potrebbero, essere. Potremmo, forse, considerare l’incubo come scala discendente, strumento pervasivo, potenzialmente condizionante. Potremmo, forse, qualificarlo come stimolo facilitante attivazioni, moti contrari. Potremmo, forse, non ritenerlo, ed esorcizzare in confessioni verbali, scritte, variamente sublimanti gli stessi timori, senza negare il dato primo. La paura.

Di fallire. La paura. Di crollare, non riuscire, restare. Stagnanti. Senza opportunità. Un’Alice in squilibrio tra tavoli troppo alti, chiavi lontane e porte chiuse. Non sempre è semplice rintracciare biscotti o pozioni dimensionali, non sempre è possibile, non sempre è concepibile. In molti saranno tentati di giacere inermi all’angolo, dondolando capi e schiene nell’eterno ritorno del dramma. Alcuni vagheranno, confusi, per intricate selve. Altri, cercheranno grimaldelli. Se, dunque, voler di tradizione, impone l’incubo come capro espiatore, oggi, con slancio d’onestà, dobbiamo (o dovremmo) ammettere l’essenza perturbante dello stesso. Essenza, che risulta tale, nel momento in cui la mente turba se stessa con il pensiero dell’incubo. Ecco, così, che la necessità di ragnatele e sonagli, naturalmente vari, si fa impellente. Ecco che gli esorcismi e le confessioni mutano in riti. Diversi. Abitudini, cliché. La paura, dunque, come pericolo del reale o sensazione di un possibile, pseudo-concreto, pericolo diventa ponte e matrice. Crea il basilare stimolo (incubo-generante) e, il permanere della sensazione tremante, porta alla necessità esorcizzante. Ragnatele. Per imbrigliare, dimenticare. Sonagli. Per ammansire, scacciare, rasserenare. Innanzi dubbi e interrogazioni, l’incubo non avventa il puro dormiente. Colpisce il desto, sonnambulo, con il pericolo distorsivo. Risveglio dalle illusioni quotidiane mediante la distorsione percettiva. E se l’impatto con il reale rischia d’essere morbo, pericolo latente, la ragnatela dell’illusione apparirà velo, sottile e accecante.