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OH – O – HO ! Gabriele Nanfitò!

DAZEBAO DEL PARCO ORNITOLOGICO DI SICILIA

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IL MERLOGIALLO PRESENTA: FISCHI GORGHEGGI E ZIRLII

(Rubrica di botticelle e carote verdi di Sicilia ideata e scritta da Gabriele Nanfitò)

 

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Palermo, febbraio 2017Magnum cum gaudio… anche se – diciamolo pure – non è tanto il gaudium, quanto il suo retro a trionfare in queste ore e giornate palermitane impiattate per la mensa pubblica del 2018. Non sono suonate le campane della cattedrale e nemmeno le trombe di Eustachio al porto della capitale della regione Sicilia per Palermo capitale culturale d’Italia. Un omaggio postumo alla cara memoria di Leonardo Sciascia geniale anticipatore dell’esito inarrestabile della LINEA DELLA PALMA. La certificazione che la commissione rilascia per il 2018 si dirà che poteva essere ritenuta scontata. E qualche ambascia sorgeva tra pectora et fractalia a ogni annuncio pubblico di colpi mortali inflitti alla mafia. Non parlate al guidatore, piuttosto, detto in framatica e in fra-natica per chi ha orecchie e occhi e conosce il tremolar della marina di dannunziana calatura. E allora? Allora, applicato che avete un calcio sugli stinchi al capocambusa di turno cosa volete che resti? Resta che il calcio resta a chi se lo è goduto, anche se a chi l’aveva appioppato avranno comminato l’ergastolo. L’uso di comminare quando si parla di mafia è d’obbligo in tener di realtà che è proprio la minaccia che costituisce arma nelle mani di chi è stato minacciato (resta nella volontà, nelle azioni, nel cazz’e mortorio di ogni sentore di mafia). Mi si dirà: <Nanfitò, ma che discorso è questo suo? Palermo è stata consacrata Capitale della cultura italiana per il 2018, che barbaschiuma c’entra la storia della mafia, il comminare come minacciare, il calcio sugli stinchi, la linea della palma del compianto Sciascia? Ohe, Nanfitò! Non che anche lei vuol fare passare la mafia per cultura? Se fosse così allora chiudiamo l’intervista e passiamo la parola ai mafiosi riconosciuti e custoditi nella patrie galere! Il suo ragionamento potrebbe indurre a intendere che poiché la linea della palma ha completato la sua risalita verso il Nord, quindi l’unificazione d’Italia di fatto è avvenuta, era già maturo il momento di dare una capitale al nuovo stato anche, in tale caso, aggiungendo all’omaggio a Sciascia quello al Tomasi di Lampedusa del cambiar tutto perché tutto resti com’era ai tempi del Guareschi emiliano che inventò l’apologo di Peppone e don Camillo.> E meno male che di Giulio Andreotti si è già persa la memoria, se fosse stato vivo chissà quanti lo avrebbero indicato come responsabile della deliberazione, in onta ai meriti più che reali di Palermo dalla Cappella Palatina non tanto quanto alle origini fenicie, latine, bizantine, arabe, normanne, sveve, spagnole, borboniche, corleonesi dello scherzar coi fanti e non scherzar coi santi esistenti, della Scuola Poetica di Sicilia di Federico II, al Cristo pantocratore di Monreale, alla Palazzina cinese, cattedrale del centro, Quattro canti, dall’omicidio, nel 1893, del commendatore Notarbartolo che era presidente del Banco di Sicilia, all’ammazzatina di Salvo Lima, che da impiegato dello stesso Banco di Sicilia a deputato del Parlamento italiano, fu sacrificato esattamente un secolo dopo sul viale appendice dell’uscita di Mondello. Da Ciaculli e viale Lazio al Generale Dalla Chiesa, a Falcone prima e Borsellino dopo, metodi ed esiti avrebbero potuto far meritare un riconoscimento d’alta metafora fin da allora. Ma questo mio è solo un se ipotetico che reclama il congiuntivo. L’occasione di Palermo capitale culturale d’Italia a mio vero auspicio e diagnosi di siciliano ottimista e speranzoso è un segno ben deciso d’inversione di marcia, anche un monito per quanti nella seconda metà del secolo scorso scrivevano sui muri delle città della Penisola: “Forza Etna!”.

 

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